Regali o doni? – Di Giuseppe Maiolo, psicoanalista
Il regalo è qualcosa che presuppone un ritorno, il dono è un atto di coraggio che rappresenta l'essere della persona che lo fa
Tempo di feste e tempo di doni che, con il prevalere delle società dei consumi, vengono generalmente chiamati «regali».
Doni e regali però non sono parole equivalenti ma indicano concetti diversi.
Con il termine «regalo», di probabile provenienza spagnola, si allude ai doni materiali da offrire al «re» con i quali si voleva testimoniare la sua grandezza e al tempo stesso mostrare pubblicamente devozione e gratitudine personale perché ne ritornasse la benevolenza del sovrano.
Nel regalo, così, c’è un che di utilitaristico, una sorta di «do ut des» a volte adulatorio, ma necessario per ottenere ulteriori vantaggi.
Il regalo può essere il corrispettivo concreto del mio «grazie» ma pure il segno della riconoscenza che io riservo a chi mi ha procurato benessere.
A volte è quella particolare attenzione all’utilità del regalo per chi lo riceve.
Nella parola «dono», che invece è di derivazione latina, prevale l’aspetto del «dare liberamente» e senza contropartite.
Non è di certo l’utilità del dono quello che conta e tantomeno c’è un tornaconto personale del donatore. Al contrario il dono in genere ha uno scarso valore materiale.
Può essere «solo un pensiero» che nella cultura del consumo viene sentito come regalo misero o insufficiente che richiede scuse.
In realtà il pensiero è dono di enorme valore perché fondamentale nella relazione. Indica l’attenzione e la cura che noi possiamo dare all’altro e, allo stesso tempo, descrive quale posto affettivo occupa nella mia mente chi è destinatario del mio dono.
I bambini e gli adolescenti, ma anche gli adulti sanno cosa vuol dire essere nei pensieri di chi ti vuole bene.
E noi sappiamo che di fatto si cresce solo se si è pensati. Così non è importante l’oggetto che viene dato ma ha valore la relazione tra chi dona e chi riceve.
Conta l’azione circolare dello «scambio» che non il semplice ricambiare i doni ricevuti, quanto un mettere in moto quei sentimenti di fiducia e di speranza che stanno alla base dei legami importanti come quelli familiari.
Gli studi sulle dinamiche intergenerazionali, ad esempio, evidenziano il fatto che nelle famiglie in cui manca la rappresentazione del dono come scambio, viene a mancare un’importante modalità di interazione affettiva che finisce per originare vere e proprie patologie della relazione.
Fare doni, allora, non è mai cosa facile e semplice.
A differenza del regalo che è più sbrigativo, il dono richiede tempo per essere pensato e presuppone la necessità che colui che dona sia in sintonia con la persona che riceve.
Nel dono non vi è la logica della partita doppia, tipo dare/avere, e nemmeno esso è il frutto di un algoritmo che in questo nostro tempo digitale regola sempre di più le nostre scelte.
Il dono è uno sforzo, un atto di coraggio, anche se è solo un «piccolo presente», perché nel dono vale la nostra presenza.
È l’essere al posto dell’avere di cui parlava Fromm. È il donare presenza che significa offrire attenzione, ascolto e tempo.
Esserci è il dono più grande che possiamo fare, il cui valore effettivo è difficile da misurare soprattutto oggi in cui i regali sono quasi tutti esclusivamente materiali, in genere prevedibili e per nulla sorprendenti perché abbiamo eliminato il tempo dell’attesa e dell’immaginazione mentre, per effetto dei sensi di colpa derivati dal poco tempo che disponiamo per gli altri, abbiamo amentato la quantità di regali in modo da compensare le nostre mancanze e i nostri vuoti.
Giuseppe Maiolo
Università di Trento
www.officina-benessere.it