In Francia sulla Via Podense, 4ª puntata – Di Elena Casagrande

Da Conques ci dirigiamo a Figeac, colta città mercantile sulle rive del fiume Célé e, da lì, lasciamo la Via Podense per il Cammino di Rocamadour

Il Giudizio Universale di Conques.
(Puntate precedenti)
 
A Conques alloggiamo nell’albergo dell’Abbaye. Quando apre, il monaco chiede a noi e agli altri pellegrini che sono in coda, di infilare gli zaini in sacchi di nylon, spruzzati di insetticida.
«Teneteli lì e lontano dal letto. È contro le cimici dei materassi che portate voi.»
«Aspetta, – gli dico. – Io non porto un bel niente. Uso anche lo spray antipunaises de lits [anti-cimici dei letti]! Comunque... va bene.»
Terminate le formalità mi godo il borgo e i negozietti, con le golosità dell’Aveyron, ma soprattutto la sua Chiesa, con le reliquie di Santa Fede (Sainte Foy d’Agen).
Il gioiello è il portale ovest, col timpano del Giudizio Universale: uno dei più belli del romanico. Il Cristo assiso, nella mandorla, ha il braccio destro alzato a indicare il paradiso e quello sinistro rivolto in basso, a indicare l’inferno.
Ci sono 124 figure di pietra a raccontare la venuta del Figlio dell’uomo secondo il Vangelo di Matteo. Lo ammiro più e più volte, quando ci passo davanti.
Ma me lo gusto davvero bevendomi un caffè proprio lì davanti, sotto il tendone del bar, quasi come il «curioso di Conques» che, da secoli, fa capolino dalla cornice del portale per guardare la scena.
 

La chiesa di Sainte Foy.
 
 Che meraviglia la visita notturna alla chiesa romanica di Sainte Foy  
In refettorio, sui tavoli, ci sono dei foglietti col testo del Deus adjuva nos.
«Non dirmi che si canterà?»
Certo e allegramente… grazie al vino dei monaci!
«Avanti, tutti insieme, cantiamo: Tous les matins nous prenons le chemin
E poi ancora… e ancora! Noi, però, dobbiamo andare all’appuntamento sotto il Giudizio, per la visita notturna, prenotata all’arrivo da Teo. Camminare tra la selva dei capitelli romanici e nei meandri del tetto, con la luce fioca e il suono dell’organo, è un’esperienza quasi mistica. Che privilegio!
Ce ne torniamo al rifugio dopo…un salto nel Medioevo! In camerata ci sono i 10 della famiglia «cattolica francese».
«Ma c’è un raduno?», – chiedo a Teo.
Siamo tutti a letto, ma loro non ne vogliono proprio sapere e continuano a rovistare tra i bagagli e a fare avanti e indietro dal bagno.
Vabbè, mi arrendo. Mi alzo, tanto non si dorme. Neanche il tempo di infilarmi i sandali che la mamma spegne la luce.
«Bonne nuit a tout le monde!» [buona notte a tutti], – urla.
Ed io: «Vive la France!»


La chiesa di Livinhac-le-Haute.
 
 Dopo l’Abbazia è tutta salita fino alla discesa verso la città di Decazeville  
Usciamo dalla Porta du Barry, attraversando il ponte romanico dei pellegrini.
Da qui inizia la salita, dura, tra ciuffi viola di erica, verso la cappella di Santa Foy e poi ancora su fino a Noailhac, dove troviamo un caffè aperto.
Salendo ancora, alla Cappella di San Rocco, si vede, sul fondovalle, la città mineraria di Decazeville, voluta dal duca di Decazes, ministro di Napoleone III, per sfruttarne le miniere di carbone a cielo aperto.
Non è per nulla affascinante, per cui proseguiamo verso Livinhac-le-Haute.
Al nostro arrivo il paese è deserto. Le case sono grigie, anni ’40, arrivano anche le nuvole… manca solo la camionetta dei tedeschi della seconda Guerra Mondiale.
Alla gîte comunale c’è un nuovo pellegrino, bavarese. Gira in mutande e maglietta (nere), ha lo sguardo fisso: è un po’ inquietante.
Gli chiedo: «Gibt es ein Lebensmittelgeschäft in der Nähe?» [C’è un negozio di generi alimentari nelle vicinanze?]
Mi risponde, in francese, dopo essersi sintonizzato: «Ehmm, ya, oui, juste a côté de la mairie» [sì, vicino al Comune.
Il ristorante, invece, è fuori dal paese, al campeggio, lungo il fiume Lot.
«Vabbè, cosa sono altri 3/4 km per cenare!», faccio a Teo.


Il fiume Lot a Linvinhac.
 
 Inaspettatamente, al campeggio sul Lot, ritroviamo tutti i pellegrini di Le Puy  
Al campeggio è tutto un po’ dejado (lasciato andare), direbbero gli spagnoli. Infatti, sembra di essere in un film di Almodovar.
«Ma non siamo in Francia?»
Ci viene chiesto di aspettare una mezz’oretta per la cena. In compenso il fiume, visto da qui, è meraviglioso.
Per fortuna l’attesa è ripagata: zuppa di cipolle con groviera e crostoni, confit d’anatra, île flottante. Certamente un menu da ristorante, non da camping!
La cosa bella è che… al dolce… arrivano tutti!
Cominciamo a ridere a crepapelle dall’allegria: non ci siamo persi! Da Kung Fu Panda (che aveva sbagliato strada a Decazeville), a Juan Carlos (che pensavamo avanti di una tappa), alle catalane.
Che bello rivedersi! Oramai siamo una piccola famiglia anche noi. Domani tutti a Figeac, città mercantile medievale, famosa per aver dato i natali all’egittologo più famoso al mondo: Champollion.
 

Paesaggio rurale delle Causses.
 
 A Figeac, oltre agli edifici medievali, c’è anche un po’ di antico Egitto  
Si arriva a Figeac lungo il fiume Célé, dopo una tappa sull’altopiano carsico de les Causses, salendo da Montredon e Guirande (con la cappella gotica della Maddalena) sino a San Félix.
La cittadina di Figeac, cresciuta attorno all’abbazia benedettina voluta da Pipino il Breve, ammalia per gli edifici civili medievali, solitamente a tre piani e con grandi finestre gotiche al piano nobile.
Molto suggestive le case-bottega, con banconi in pietra come espositori e sporgenze alle finestre, per agganciare le tende in caso di pioggia.
In città c’è anche l’Hôtel de la Monnaie, l’antica zecca. Quello che mi rapisce, però, è la Place des Ecritures.
La pavimentazione della piazza, 14 metri per 7, in granito nero inciso, riproduce la stele di Roseta, che ha dato modo a Champollion di decifrare i geroglifici. Per me è stupenda. In centro vedo le catalane e Juan Carlos.
Ci aggiorniamo: le ragazze, domani, torneranno a Barcellona. Noi devieremo verso il Cammino di Rocamadour e Juan Carlos smetterà il 21 agosto a Moissac. Non c’è dubbio: la compagnia di Le Puy si sta sciogliendo.
Non ci resta che salutarci.
 

La piazza delle scritture a Figeac.
 
 Noi decidiamo di deviare e fare le Chemin de Rocamadour  
Vogliamo dare un senso a questo pellegrinaggio e, dato che abbiamo 3 settimane e non le solite 4, Rocamadour ci sembra una valida meta per quest’anno, anche se torneremo sulla Podense.
All’ufficio del turismo ci danno le informazioni necessarie. Il mattino seguente, all’uscita dalla città, rivediamo anche la coppia conosciuta a Le Puy, diretta a Rocamadour.
Si cammina tra boschi, paesini con torri merlate e vecchie case, ma niente caffè o negozi.
Quando vediamo il furgone ambulante degli «alimentari» facciamo la spesa per il pranzo, che consumiamo vicino a un laghetto pieno di ninfee.
Nel pomeriggio arriviamo a Lacapelle-Marival, col suo bel castello. C’è la sagra.
Alloggiamo all’Hôtel Les Glacier, dove il tempo si è fermato agli anni ‘50. La padrona, a cena, ci porta la terrine de foies de vollaille (terrina di fegatini) e un vassoio di escalopes aux champignons (fettine ai funghi): possiamo prenderne quanto vogliamo.
 

Le château de Lacapelle-Marival.
 
 A Gramat non troviamo l’accoglienza parrocchiale promessa  
Ultima località intermedia, prima di arrivare al Santuario, è Gramat. Attraversiamo altopiani solitari, dove, ogni tanto, compaiono case di campagne con finieli e nulla più.
Finalmente, a Thémines, trovo una boulangerie (panetteria) e possiamo fare la colazione, saltata alla partenza perché tutto era chiuso.
Una bella «quiche à l’oignon et aux lardons» (tortina cipolle e pancetta) va benone: è quasi ora di pranzo!
Una strada bianca, dove passa anche un gruppo di ciclisti, ci porta finalmente in paese. Nella piazza de la Halle ci sono tanti turisti attirati dal mercatino delle pulci.
All’accoglienza parrocchiale, invece, non c’è nessuno.
Ce ne andiamo all’Hôtel-Restaurant de l’Europe, visto all’arrivo, sulla strada, così non dobbiamo più pensare a niente: pernotto e cena sono garantiti.
Alla S. Messa, al Convento, rivediamo i due della coppia che cammineranno con noi. Si parla un po’ e, in due parole, ci raccontano la loro vita.
 

Il mercato coperto e la chiesa di Gramat.
 
 L’arrivo a Rocamadour, passando dalle gole dell’Alzou, è sorprendente  
Partiamo presto. Il G.R. 6 è ben segnato. Dopo aver visto degli aironi su uno specchio d’acqua, entriamo nel bosco, fino ad addentraci nelle tetre gole dell’Alzou. Mi mancano aria e luce.
L’unica compagnia che abbiamo sono le rovine dei vecchi mulini arroccati sui bordi della forra, finché, d’un tratto, mi trovo davanti un ragazzo che cammina in senso contrario al nostro.
È entusiasta. Viene da Rocamadour, ma ci racconta che è partito da Fatima (Portogallo) ed è passato per Santiago de Compostela...
«Non proprio due passi! Che grande!» – gli diciamo.
Mi apre il cuore e, di lì a poco, si apre pure il canyon. Era ora: respiro! Il Santuario si nasconde un po’, ma poi, improvvisamente, si svela!
Imponente, maestoso, appigliato non so come alla roccia. Mi batte forte il cuore. Il villaggio assomiglia a Minas Tirith. Ce lo gustiamo dal basso, prima di fare la scalinata di più di 200 gradini.
È davvero mitico e, quest’anno, è Anno Giubilare. Non vediamo l’ora di vedere la Vergine nera.
 
Elena Casagrande
(La quinta puntata della Via Podense sarà pubblicata mercoledì 13 luglio)
 
La scalinata di Rocamadour.