I casi di omicidio che hanno diviso l'Italia – Di Nadia Clementi

Ne parliamo in esclusiva con il noto avvocato penalista Nicodemo Gentile

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Negli Studi di Mediaset a Milano durante la trasmissione d’inchiesta «Quarto Grado» su Rete4 abbiamo avuto il piacere di conoscere l’avvocato Nicodemo Gentile, penalista ed esperto in diritto dell’immigrazione, e legale di riferimento di numerose comunità di immigrati e di associazioni di volontariato a scopo sociale.
L’avvocato Nicodemo Gentile è un noto penalista della cronaca giudiziaria italiana. Nel suo studio di Perugia trovano spazio fascicoli riguardanti alcuni dei più noti fatti di cronaca nera. Un archivio di potenziali colpevoli e innocenti che raccontano storia e crimine della nostra bella Italia.
Gentile è stato infatti uno dei legali di parte civile per la madre di Sarah Scazzi nel processo per l'omicidio di Avetrana (Taranto) e si è occupato delle difese di Rudy Guedé, per l'uccisione di Meredith Kercher, e di Salvatore Parolisi, l'ex caporalmaggiore condannato per aver ucciso la moglie Melania Rea.
Inoltre è stato difensore di Winston Manuele Reves, il domestico filippino che confessò di aver ucciso la contessa Alberica Filo della Torre, nonché legale a cui si è affidata la madre di Brenda, la transessuale coinvolta nell’inchiesta Marrazzo, ritrovata cadavere dopo l’incendio del suo appartamento in via Gradoli a Roma. 
 

L'avvocato Nicodemo Gentile alla trasmissione «Quarto Grado» dedicata a Chico Forti. 
 
Ogni omicidio dietro la freddezza dei fatti nasconde vite umane che si incontrano e si intrecciano in una miscela mortale; vittima e assassino spesso si confondono, i morti non possono né difendere né accusare; l'omicida spesso nasconde un passato tormentato, una vita di repressioni, violenza, frustrazione che esplode nel momento sbagliato.
Esistono i crimini dettati da interesse economico, vendetta, gelosia, ma vi sono anche gli assassini compiuti in un «raptus» di follia (parola spesso usata a sproposito e di cui molti criminologi negano addirittura l'esistenza); infine vi sono gli omicidi seriali perpetrati dai cosiddetti serial killer, di cui è ben scarsa la casistica in Italia, la dove la motivazione che porta ad uccidere si nasconde nei meandri di menti squilibrate, persone disturbate che agiscono mossi da qualcosa che non riescono a controllare.
Sono tanti i casi, anche molto noti, in cui si è gridato al mostro che entra di notte dalla finestra e stermina una famiglia intera (questa fu la prima ipotesi in casi come quello di Erika e Omar, la strage di Erba oppure nel delitto di Cogne) quando poi la realtà è molto più dura da accettare: ad uccidere è molto spesso qualcuno di familiare che si incontra tutti i giorni, che vive sotto lo stesso tetto delle vittime.
Fortunatamente nella stragrande maggioranza dei casi i delitti vengono risolti grazie a poche settimane di indagini, dove fondamentali sono i testimoni oculari, i familiari, le telecamere di sorveglianza, le intercettazioni e i rei confessi.
Poi ci sono i grandi misteri che rimangono irrisolti per anni, sono quelli che più affascinano i non addetti ai lavori perché riescono a smuovere sentimenti forti e profondi, grazie anche alla grande copertura mediatica, e dividono la gente in vere e proprie fazioni.
Molti gli esempi degli ultimi anni: quello della giovane Yara Gambirasio o l'omicidio di Chiara Poggi a Garlasco, quello di Meredith Kercher a Perugia che, ad oggi, sono ancora senza colpevole. 
  
In tutti questo che ruolo ha la giustizia italiana, con tutte le polemiche alimentate dalla sua lentezza e macchinosità? Gli esperti hanno sottolineato più volte come in Italia il sistema giudiziario sia lento e farraginoso, incapace di rispondere con efficacia alle esigenze del cittadino.
I processi possono prolungarsi anche per dieci, quindici anni. La lentezza e l'inefficienza nell'amministrazione della giustizia non soltanto ledono i diritti e la fiducia dei cittadini, ma provocano anche concreti danni economici.
Tra i 47 Paesi aderenti al Consiglio d’Europa, l’Italia è quello più arretrato nell’ambito penale, al secondo posto per quello civile e sempre sul podio per il numero di giorni che occorrono per vedere la fine di un processo di primo grado.
Questa, in sintesi, la fotografia scattata dal quinto rapporto della Commissione per l’Efficienza della Giustizia (Cepej) dell’organismo paneuropeo.
Da anni nel nostro Paese si discute di una colossale, quanto difficile, riforma della giustizia. Un lavoro legislativo enorme che però sarebbe necessario per alleggerire il lavoro dei tribunali, ma al tempo stesso una manovra che si è trasformata più volte in ricatto politico snaturandone così la vera missione e trasformandola nell'ennesima pedina nel gioco al massacro tra partiti. 
Parliamo di giustizia penale con l’illustre avvocato Nicodemo Gentile che di esperienza sul campo ne ha davvero molta. 
 
Avv. Gentile, parliamo del caso dell'omicidio della quindicenne Sarah Scazzi, uccisa il 26 agosto 2010 dalla zia Cosima Serrano e la figlia Sabrina Misseri, entrambe condannate all'ergastolo. In qualità di difensore della famiglia Scazzi, vi attendete ulteriori sviluppi in merito alla vicenda nel processo d'appello?
«Noi avvocati difensori della parte civile, in questo caso la famiglia Scazzi, siamo molto soddisfatti dell'istruttoria finale che convalida l'accusa penale. Abbiamo lavorato bene sia dal punto di vista delle intercettazione e delle indagini del caso ed è stato fatto tutto il possibile.
«Siamo quindi fiduciosi e crediamo di arrivare tranquillamente alla conferma della sentenza accusatoria per gli imputati. Vale a dire l'ergastolo per madre e figlia accusate di aver strangolato con una cintura la giovane Sarah.
«Otto anni di reclusione, invece, per il padre Michele Misseri accusato della soppressione del cadavere. Tutte condanne, queste, che sono state emesse dalla Corte d'Assise di Taranto.»

Sara Scazzi.

Secondo lei la gelosia può scatenare un'azione tanto brutale? Come è possibile che le due donne abbiamo avuto il coraggio di strangolare Sarah?
«Certamente, anche se la gelosia nel caso Scazzi è solo una concausa di un contesto psicologico complesso. Dalle perizie era emerso come Sabrina fosse una ragazza con fragilità emotiva e alternasse momenti di aggressività e ferocia, tanto che il padre la chiamava la Tigre.
«In quel periodo era in corso la separazione dei genitori, Sabrina ne soffriva molto e litigava spesso con la madre. Aveva anche problemi con se stessa, non si piaceva fisicamente, era una ragazza sfiduciata e complessata che viveva una forte frustrazione emotiva, particolarmente invidiosa della cugina.
«Il ruolo della mamma secondo la pubblica accusa è stato quello di collaborare e coordinare la fine dell'orrendo crimine per salvare la reputazione della figlia, che era già compromessa da occasionali relazioni sessuali con ragazzi del posto.
«La mamma ha perso la testa perché la figlia aveva portato all'esterno, nel piccolo paesino di Avetrana (TA), le proprie debolezze, che andavano a compromettere il buon nome della famiglia.
«È stato chiaro fin da subito agli inquirenti che Sabrina uccise per gelosia in un contesto emotivo di fragilità, mentre la madre è stata spinta dalla necessità di tacere la fuga di notizia per l'onore e la dignità della figlia e della famiglia.»
   
Lei è l'avvocato difensore dell’ex caporalmaggiore Salvatore Parolisi, accusato di aver ucciso la moglie Melania Rea il 18 aprile 2011 con 35 coltellate, e condannato in appello a 30 anni di carcere.
Nella sua difesa emergono nuovi importanti indizi a favore del suo assistito per i quali Lei ha chiesto alla Corte di Cassazione di annullare la sentenza in appello prevista in febbraio. Cosa si aspetta in proposito?«Fra pochi giorni nella sentenza di Cassazione Parolisi si giocherà il terzo grado di giudizio. Abbiamo lavorato molto sugli indizi delle tracce disponibili sulla scena del crimine.
«L'accusa si avvale delle tracce del DNA di Parolisi nella regione labiale di Melania, che secondo noi è un dato ambiguo, discutibile, non soddisfacente, e non dimostrabile come traccia attinente al momento dei fatti.
«Noi difensori, invece, abbiamo sempre sostenuto che ci siano altre tracce non identificate, come l'impronta di scarpa imbrattata di sangue corrispondente e non superiore al nr. 40, mentre Parolisi calza il nr. 43.
«Forti della nostra consulenza tecnica siamo convinti che questa potrebbe essere un’altra importante prova di innocenza. Sarà la Suprema Corte a decidere, noi siamo convinti della sua innocenza.» 

Nota.
La Cassazione riunitasi il 10 febbraio (dopo l'intervista) ha annullato l'aggravante della crudeltà nei confronti di Parolisi, senza toccare l’impianto processuale.
Sarà ora la Corte d'Assise d'Appello di Perugia a determinare la diminuzione della pena che secondo avv. Gentile potrebbe scendere anche sotto 20 anni, rispetto alla condanna in appello a 30 anni.

In questo delitto apparentemente manca il movente. Chi potrebbe secondo Lei aver ucciso la giovane donna? Cosa pensa dell'ipotesi del maniaco solitario?
«Purtroppo i casi di cronaca testimoniano che vari soggetti con disturbo psichico possono agire in modo imprevedibile e incontrollato. Posso ricordare il caso della professoressa di Sora, amante del jogging, che è stata aggredita da uno sconosciuto e ritrovata dopo alcuni mesi; il caso di due giovani aggrediti alle spalle da una sconosciuta, o altri episodi di persone scomparse e mai più ritrovate.
«L'azione di uno psicopatico nel caso di Melania potrebbe essere molto probabile, anche perché è stata trovata con i pantaloni abbassati e aveva preso due botte in testa. Tutto potrebbe essere successo.
«Non è da escludersi qualsiasi ipotesi, ma quello che possiamo affermare è che sulla scena crimine non ci sono segni a nostro parere sufficienti a incolpare il marito.» 
 

Scena del delitto M. K.  
 
Il 25 marzo è prevista l’udienza in Cassazione per il processo a Raffaele Sollecito e ad Amanda Knox per l’omicidio di Meredith Kercher.
Sollecito e la Knox sono stati condannati rispettivamente a 25 e 28 anni e mezzo di reclusione dalla Corte d’Assise di Firenze. Entrambi si sono sempre proclamati estranei al delitto compiuto a Perugia.
Meredith Kercher venne uccisa a Perugia con una coltellata alla gola, la notte tra il primo e il 2 novembre del 2007. Quattro giorni dopo la polizia arrestò Sollecito, la Knox, allora sua fidanzata, e Patrick Lumumba, risultato poi però totalmente estraneo al delitto e quindi prosciolto.
In cella finì invece, il 20 novembre, Rudy Guede che, processato con il rito abbreviato, sta scontando una condanna definitiva a 16 anni di reclusione definitivo.
Quali sono le Sue considerazioni in proposito?
«In qualità di difensore di Rudy Guede, condannato con rito abbreviato, posso dire che si tratta di un’udienza molto importante che dovrebbe dar fine ad un percorso giudiziario che si trascina dal 2007.
«Noi siamo assolutamente convinti che in quella casa la violenza sessuale non ci sia mai stata, e Guede lo ha sempre detto.
«Purtroppo sul profilo tecnico non ci sono stati concessi degli approfondimenti e pertanto anche noi attendiamo il risultato di quest’ultima sentenza.
«Gli altri due imputati chiedono l'assoluzione, cercando in qualche modo di incolpare Guede come unico presente in casa. Per i giudici si tratta di concorso in omicidio e di violenza sessuale a tre, ma è stato dimostrato che Guede non risulta essere l'esecutore dell'omicidio.» 
 

L'avv. Nicodemo Gentile.
 
Quanto è importante l'esame del DNA al fine di un'inchiesta?
«A mio avviso il DNA può avere un'importanza fondamentale o rappresentare solo un indizio del mosaico di eventi che, valutati nell'insieme, possono portare alla colpevolezza o innocenza. Dipende dai casi e dal tipo di DNA.
«Per esempio, nel caso del delitto dell'Olgiata, nel 1991, il filippino Windston Manuel Raves, che si trova ora in carcere per l'omicidio della contessa Alberica Filo della Torre, l'esame del DNA è stato fondamentale.
«Grazie alle tecniche moderne, nel 2007 (16 anni dopo) si è potuto analizzare il lenzuolo trovato sul cadavere della Contessa e le tracce trovate del DNA hanno determinato la presenza del filippino nella scena del crimine, per cui in seguito è stato condannato.»
 
«Pertanto con la sola prova del DNA si può arrivare alla soluzione del caso e può essere considerata come prova certa sia di condanna che di assoluzione. Tanto è vero che la Cassazione parla di DNA come prova assoluta, come elemento schiacciante quando lo stesso è puro, leggibile e non contaminato, attraverso analisi e protocolli direttivi internazionali.
«Nei casi, invece, come quello di Parolisi, il DNA della moglie ritrovato nella sua automobile, o il suo sul corpo della vittima, è per così dire contaminato, perché si tratta di soggetti che si frequentavano già in precedenza e assiduamente. Il caso sarebbe diverso se il DNA ritrovato fosse di un estraneo.
«Stiamo aspettando che anche in l'Italia si attivi la banca dati del DNA. Sono certo che darebbe risposta a molti casi che, per ragioni diverse, rimangono irrisolti.»
 
Quanto incide nella soluzione del caso la valutazione scientifica?
«Dipende da caso a caso, potrebbe essere un elemento fondamentale e in altri, invece, rimarrebbe solo compresa nella serie di indizi.»
  
Quanto è difficile gestire un processo mediatico?
«Il processo mediatico secondo me non esiste. Il processo è sempre uno solo e si celebra con intervento dei gip e nelle aule del tribunale.
«Se invece parliamo dell'attività mediatica di informazione, questa è molto utile nel processo penale, tanto è vero che un avvocato penalista deve essere particolarmente attento a tale aspetto. Negli ultimi casi gli articoli e le interviste ai telegiornali hanno assunto particolare importanza nella valutazione dei soggetti dei singoli casi, permettendo di individuare aspetti molto utili alle indagini.
«Per questo motivo l'attività giornalistica entra a pieno titolo nel processo e i documenti vengono valutati dai giudici.
«Nella mia esperienza è capitato più volte che alcuni testimoni siano stati trovati tramite indagini giornalistiche. Ricordo, nel caso di Meredith, che il clochard individuato per caso da un reporter è risultato un valido testimone nella ricostruzione della notte del fatto.
«In particolare è bene segnalare che le interviste rilasciate prima del processo penale vengono assunte come materiale probatorio utilizzato dai giudici per i loro provvedimenti.» 
 
Può dirci più o meno quanti sono i casi di omicidio rimasti irrisolti in Italia e secondo lei perché?
«Non sono a conoscenza di una statistica precisa, comunque non sono pochi. Molte volte si sbaglia la prima ipotesi e poi è difficile trovare la soluzione del caso.» 
 
Ci può dare una Sua risposta alla domanda sul perché secondo Lei la giustizia sia così lenta in Italia?
«Uno dei fattori sono i finanziamenti: alle ore 17 noi avvocati dobbiamo sgomberare le aule del tribunale assieme ai giudici, non possiamo lavorare di più perché mancano i cancellieri ai quali non vengono pagate le ore straordinarie. Si tratta di figure necessarie per effettuare le trascrizioni e le formalità che un processo prevede.
«Qualcuno pensa che ci siano troppi avvocati che paralizzano i procedimenti, ma io aggiungo che in Italia c'è troppo diritto penale e quindi le procure vengono invase da notizie di reati minimi e sciocchi.
«L'obbligatorietà dell'azione penale il più delle volte prevede in caso denuncia, di istanza, di querele o di esposto un'apertura di procedimento che porta a processi. Procedimenti che contribuiscono all'inceppamento della macchina, già complessa e arrugginita, della giustizia.
«Questo è uno dei fattori che portano a rallentare i tempi, creando dei disservizi che noi ogni giorno viviamo continuamente. Questa potrebbe essere una ragione di fondo, anche se ne possiamo elencare delle altre. Credo sia giunto il momento di pensare ad una razionalizzazione dei casi per far sì che tante vicende, che si possono risolvere diversamente, non arrivino all'attenzione dei giudici.» 
 
Ovviamente una sentenza che arriva dopo 15 o 20 anni deve essere definita giustizia. Ma perché in America un processo viene rinviato al pomeriggio o all’indomani e qui invece (se va bene) a sei mesi dopo?
«Purtroppo sì, una sentenza può arrivare anche dopo 10 anni. Non succede spesso ma normalmente il processo penale è abbastanza lungo, sia rispetto a quello americano che ai nostri partner europei.»
  
Parliamo del caso Chico Forti a noi tanto caro. Secondo Lei l'avvocato Tacopina riuscirà a chiedere la revisione del processo?
«Sono uno dei fan accaniti del caso Forti, mi auguro di cuore che tutto vada per il meglio e se potessi contribuire in qualche modo lo farei volentieri. Purtroppo gli americani, che io ho avuto modo di incontrare e sentire per il caso di Amanda Knox, sono molto feroci e critici dei confronti della giustizia italiana. In realtà guardano la pagliuzza negli occhi degli altri ma non ci fanno vedere la trave.
«Il caso di Chico Forti è un vero caso di malagiustizia e soprattutto un errore giudiziario che fa venire i brividi. Non a caso persone importanti, qualificate ed illustri come il magistrato Imposimato si sono offerte di dare assistenza a questo nostro sfortunato concittadino.
«Mi auguro di cuore che in Italia il movimento a favore di Chico possa divenire forte, fortissimo, perché credo sia stata una persona molto sfortunata che è incappata in un sistema giudiziario, come quello americano, che non permette la revisione del processo e, qualora possibile, lo vedrebbe sicuramente innocente.» 


Chico Forti con gli amici che sono andati a trovarlo in carcere.

 
Lo Stato difende effettivamente le vittime degli errori giudiziari? Oppure le vittime per essere risarcite devono muovere un’altra causa che può durare altri 10 anni?
«Per quanto riguarda l'aspetto penale, conosco vicende in cui lo Stato è arrivato a dover pagare cifre anche considerevoli per cause ingiuste. Si tratta della riparazione per ingiusta detenzione che, per essere ottenuta, prevede l'apertura di un’ulteriore causa che normalmente non dura così tanto. Questo è uno dei casi in cui la giustizia arriva con celerità.
«Per quanto riguarda il processo civile abbiamo creato un mostro: la legge Pinto dava diritto ai cittadini, che avevano in corso dei processi lunghi ed interminabili, la possibilità di chiedere la riparazione economica in ragione di queste lungaggini non giustificabili. Con il tempo però anche la legge Pinto, a sua volta, si è rivelata un'ulteriore fase della giustizia lumaca e le cause di risarcimento sono più lunghe della stessa causa.
«Mentre nel caso penale le cose vanno più spedite, per i casi civili non abbiamo riscontrato un grande successo.» 
 
La condanna a Fabrizio Corona per un’estorsione da 25.000 euro è diventata per la stampa un po’ come un metro di misura. Se diamo “peso 10” a Corona e valutiamo le altre sentenze, ci sentiamo sconcertati. Cosa dobbiamo dire ai nostri lettori? Di avere fiducia lo stesso nella giustizia?
«La vicenda Corona la conosco poco, ma penso che la giustizia nel suo caso dovrebbe avere un po’ più di cuore. Corona è una persona che ha fatto i suoi errori li sta pagando.
«Credo che per lui il tempo trascorso in carcere sia stato sufficiente per farlo ritornare sulla retta via. Nel suo caso si dovrebbe procedere a un percorso di rieducazione attraverso forme alternative come quella degli arresti domiciliari con la possibilità di lavorare.
«Nella vita dobbiamo avere tutti una seconda possibilità di credere che non tutto sia perduto.»
 
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