«Utopia», mostra-installazione al Muse – Di Daniela Larentis

Realizzata da «Il Funambolo» in collaborazione con Klimahouse, è visitabile fino a ottobre 2016 a Trento: l’incontro con il curatore Guido Laino

Foto di Marco Parisi.
 
Il Muse sta ospitando dal mese di giugno «Utopia», una straordinaria mostra-installazione realizzata dall’Associazione «Il Funambolo», Trento, curata da Guido Laino, Marco Furgeri e Tiziana Poli in collaborazione con Klimahouse, Bolzano.
Composta da una serie di pannelli di grande formato a forte impatto estetico, su cui sono stati raccolti un corpus di contributi letterari, storici e utopici, nonché una selezione delle proposte sviluppate dagli architetti invitati a cimentarsi sul tema dell’utopia dell’abitare, è visitabile fino a ottobre 2016 nel prato su cui si affaccia il cinquecentesco Palazzo delle Albere.
L’iniziativa, resa possibile anche grazie al sostegno di ITAS Assicurazioni, si inserisce in Utopia500, progetto della casa editrice «Il Margine» e della Provincia di Trento che, coinvolgendo numerosi enti culturali trentini, tra cui il museo delle scienze, indaga l’attualità del messaggio del grande umanista e filosofo inglese Tommaso Moro, in occasione del 500° anniversario della prima uscita del suo celeberrimo scritto.
 
Fu proprio nel dicembre del 1516 che uscì la prima edizione di «Utopia», a cui seguì quella definitiva pubblicata a Parigi nel 1517.
L’opera è divisa in due parti, nella prima emerge l’ideale politico di Moro attraverso un dialogo tra Raffaele Itlodeo (sua la teoria sull’«ottima forma dello stato»), personaggio immaginario, e l’autore stesso.
Nella seconda parte vi è la costruzione del progetto utopico vero e proprio, con la descrizione di Utopia, divisa in 54 città, un’isola abitata da una società ideale.
 

Foto di Marco Parisi.
 
«Il Funambolo» ha come obiettivo quello di raccogliere attorno a sé una rete di artisti, intenzionati a produrre e promuovere la propria arte in modo autonomo e a partecipare a lavori collettivi.
Da qui la propensione a ideare, curare e realizzare eventi e progetti artistici che permettano l’incontro fra artisti e arti differenti. In questo caso si tratta di un percorso espositivo che invita alla riflessione ed emoziona il visitatore: da una parte si può prendere visione dei progetti di architetti molto noti, tra cui quello di Carlo Ratti, Kengo Kuma, Thomas Herzog e Thomas Auer, degli elaborati di progettisti meno conosciuti ma dalle idee altrettanto interessanti, infine dei disegni e progetti di studenti e persone comuni che hanno raccolto la sfida (ancora aperta, come verrà spiegato più avanti). Dall’altra si diventa protagonisti di un interessantissimo viaggio attraverso una selezione di contributi letterari che si prestano a più letture e che si gustano, passo dopo passo, immergendosi nell’atmosfera di un’ambientazione davvero unica; di grande suggestione le emblematiche immagini che accompagnano i testi, raccontandoli.
Prima di porgere a uno dei tre curatori, Guido Laino, alcune domande, ci aggiriamo nell’isola soffermandoci ad ogni tappa.
Siamo particolarmente attratti dall’illustrazione intitolata «Edificio ingombro di tecnologia obsoleta poggiato su ideale architettonico volante», relativa a «I viaggi di Gulliver», ovvero «la satira dell’utopia».
Si tratta – come ci viene detto - della prima opera che possa definirsi anti-utopia: i viaggi di Lemuel Gulliver lo portano in terre sconosciute in cui, in chiave satirica, vengono rappresentati i principali difetti del mondo di provenienza.
 
Continuando il nostro percorso a un certo punto indugiamo innanzi a «Condominio popolare con ubiqua effigie del despota, retto da pilastri ideologici», un’immagine che ben rappresenta la distopia del potere tirannico di «1984», la famosissima opera di George Orwell a cui si riferisce, «la più celebre – come viene definita – fra le opere distopiche, emblema della svolta negativa che segna l’utopia letteraria nel ’900».
Come viene evidenziato dal curatore «il mondo che vi si racconta è dominato dal Grande Fratello, il leader (più simbolico che reale) di una struttura di potere fondata sul consenso assoluto e sulla violenza dispotica. Il televisore è lo strumento principale attraverso cui si esercita il potere: da una parte la propaganda incessante, in grado di cambiare il passato con la falsificazione sistematica della storia, dall’altra un onnipresente apparato di controllo e tortura.
Davanti a un potere tirannico che riesce a essere ovunque e per sempre, l’essere umano non può che essere ridotto a macchina di obbedienza».
Terminato il nostro viaggio approfittiamo dell’occasione per porgergli alcune domande.
 

 
Ci può parlare del percorso espositivo e come si suddivide?
«La mostra parte da una mappa immaginaria, dove le 54 città di cui parla nella sua opera Thomas More diventano altrettante opere significative all’interno del variegato universo letterario dell’utopia, in una sintesi cartografica che non può e non vuole essere esauriente, ma che si propone come gioco di assonanze e prossimità fra opere, temi e intuizioni della storia dell’utopia letteraria e che ne comprende, naturalmente, anche distorsioni e rovesciamenti.
«Oltre alla capitale Utopia, sovrapposta ad Amauroto, la capitale del regno del testo di More, vi sono altri nove capoluoghi, ossia testi chiave. I dieci pannelli di grande formato sono costruiti mettendo in evidenza da un lato il titolo dell’opera, l’autore, l’anno di pubblicazione, un’immagine grafica con cui abbiamo cercato di raccontare l’opera stessa e i suoi elementi fondamentali, una citazione con cui si dà un assaggio del testo e alcune informazioni, commenti.»
 
«Aggirandoci per l’isola ci imbattiamo in vari scritti, ne citiamo solo alcuni fra quelli proposti: partiamo per esempio da Repubblica di Platone, un’opera molto importante, in realtà precedente a Utopia, ma come sappiamo Utopia dà il nome a un genere letterario, non lo inventa, il genere letterario nasce, quasi, con l’essere umano e con la letteratura.
«Abbiamo poi selezionato, fra le varie opere, La città di Dio di Agostino, ovvero l’utopia escatologica, scritta in un’epoca di grandi trasformazioni (la crisi dell’impero romano, lo scontro tra cristianesimo e mondo pagano), la quale contrappone all’ansia per il futuro la fede nell’eterno.
«Noi è un romanzo di Zamjatin, ovvero l’utopia che si rivela distopia. E’ un’opera scritta nei primi anni successivi alla rivoluzione bolscevica, mostra una dinamica pienamente riconosciuta dall’utopia letteraria del ’900: il progetto utopico, se compiuto, può dimostrarsi un incubo. Come si può vedere lungo tutto il percorso ci sono tante opere diverse che sono significative per motivi differenti.»
 
«Sull’altra facciata dei pannelli sono presentate delle proposte di architettura utopica scelte fra quelle pervenute durante il progetto, sviluppate da architetti (un primo bando rivolto a studi di architettura locali e nazionali si è tenuto in dicembre-gennaio scorso da cui è derivato un primo gruppo di opere) o in taluni casi anche da gente comune, studenti e bambini, disegni di abitazione o città utopica scelte fra quelle realizzati lo scorso gennaio a Klimahouse, la fiera di settore che si tiene a Bolzano annualmente, in collaborazione con la Fondazione Architettura Alto Adige.
«L’iniziativa ha avuto un notevole successo, numerosissimi sono stati gli elaborati raccolti. L’aspetto interessante è che le opere di architetti molto importanti sono affiancate a opere di architetti meno conosciuti e a disegni e proposte di gente comune, fra cui molti studenti, persone che si sono fermate e hanno disegnato con grande impegno ed entusiasmo la propria casa utopica.
«Senza grandi gerarchie si sono volute mettere tutte le idee insieme, questo per confermare che l’utopia è alla portata dell’immaginazione di chiunque, non occorre essere un architetto di fama mondiale per avere una propria idea, un proprio progetto di utopia».
 

Foto di Marco Parisi.
 
Da chi sono realizzate le immagini che affiancano i testi letterari?
«E’ tutto parte del progetto del Funambolo. Sono state pensate da me e dall’altro curatore, Marco Furgeri, e realizzate tecnicamente da Tiziana Poli.
«Attraverso le immagini abbiamo cercato di raccontare il testo. Non hanno solo una funzione estetica: chi ha letto l’opera potrà riconoscere degli elementi che rimandano alla stessa, chi non lo ha fatto ne coglierà la suggestione.»
 
Come nasce «Utopia», la speciale mostra-installazione ospitata nel grande prato su cui si affacciano l’architettura contemporanea del MUSE e il cinquecentesco Palazzo delle Albere?
«Il Funambolo, fin dalla sua fondazione, dieci anni fa, ha lavorato sul tema dell’utopia. In occasione del cinquecentenario dell’opera di More abbiamo voluto dare vita a questo progetto, proponendo a Klimahouse, con cui avevamo già collaborato, di creare qualcosa insieme.
«Klimahouse nasce con un’idea utopica chiara, quindi abbiamo pensato che la proposta potesse interessare: così è stato, infatti ha sostenuto il progetto, ci siamo relazionati con Cristina Pucher, la quale si occupa della comunicazione per Klimahouse e per Fiera Bolzano.
«Il lavoro è stato incentrato sulla presentazione che è stata fatta nei giorni di Klimahouse, dal 28 al 31 gennaio 2016, riscuotendo grande successo.
«Una volta terminata, è nata una collaborazione con il con il Margine, che aveva avviato il progetto Utopia500, e assieme al Muse e a Itas, che ha sponsorizzato l’evento, abbiamo dato vita a questa mostra-installazione.»
 

 
Qual è il principale obiettivo della mostra, ci può spiegare a grandi linee in cosa consiste l’iniziativa?
«L’idea chiave è quella di dimostrare come utopia sia un elemento fondante di tante cose fra cui l’architettura. La proposta che abbiamo fatto a Klimahouse è stata quella di far ragionare il pubblico sul fatto che il discorso ambientale, il discorso dell’architettura a impatto zero ecc. siano tutti concetti imbevuti di utopia.
«Per portare avanti questo tipo di concetto è necessario ovviamente procedere ponendo l’attenzione all’aspetto tecnologico, cercando di creare soprattutto una svolta culturale. Questa sensibilizzazione, questa svolta culturale, deve avvenire sulla base di un’ottica migliorativa: tutto quello che facciamo, quello che potremmo chiamare progresso, quando si realizza come progresso, è spinto da un desiderio di migliorare, quindi di arrivare a una destinazione che è migliore del luogo di partenza, il principio dell’utopia: immaginare un luogo che non c’è a cui tendere.
«Da qui nasce tutto il lavoro che abbiamo fatto. Da una parte è stato mostrare in che modo tutto questo si svolge praticamente, attraverso i progetti utopici: magari non se ne realizzerà nessuno, ma alcune delle idee che contengono potranno essere utili alle costruzioni di domani.
«Dall’altra parte abbiamo voluto dare sostanza al concetto di utopia, un termine spesso usato a sproposito, indicando qualcosa di impossibile, un sogno completamente disarticolato dalla realtà, non è così; lo abbiamo fatto tornando alle basi, le basi sono l’Utopia di Tommaso Moro e tutto quello che utopia significa a livello letterario.
«Quando noi scegliamo quei 54 testi e li raccontiamo come città di un’isola utopica non lo facciamo per mostrare una qualche erudizione letteraria: dentro quei 54 libri ci sono 54 mondi che in qualche modo hanno costruito o aiutato a costruire o tuttora costruiscono un’idea di mondo che abbiamo tutti noi.»
 
Gli architetti interessati possono ancora partecipare alla proposta?
«Certo, fino a ottobre si possono inviare i propri elaborati a [email protected]».
 
Daniela Lartentis – [email protected]