EXPO 2015: Nutrire il pianeta – Di Giuseppe Maiolo, psicanalista

L’alternanza tra fame e senso di sazietà, tra sicurezza e insicurezza, tra angoscia e benessere: lo stretto legame tra «cibo e psiche»

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Il tema dell’Expo 2015 che si è appena aperto è: «Nutrire il pianeta».
Una grande sfida che, come dice Umberto Veronesi, si muove tra due estremi paradossali, la malnutrizione e l’obesità.
Ci sono quindi molti aspetti che ci spingono a non perdere l’occasione per riflettere su questo argomento e, dal mio punto di vista, provare a coniugare le due facce del problema cui allude il grande oncologo italiano con quello che è non solo un significato biologico ma anche psicologico del cibo.
L’atto di alimentarsi, sia quando avviene in modo sbagliato o eccessivo, costituisce il primo gesto di contatto con il mondo esterno che vive ogni essere umano.
Il bambino infatti attraverso la madre, o la figura che ne fa le veci, conosce l’ambiente esterno, il mondo oggettivo, l’altro da sé e l’universo affettivo che gli viene offerto.
 
Ed è un incontro particolare che, fin dai primi istanti di vita, è mediato da due sensazioni fondamentali: la fame, esperienza spiacevole e carica di angoscia, e il senso di sazietà che, al contrario, dà un senso di benessere e di piacere.
Per il neonato, infatti, il modo più immediato per placare la tensione e la paura di non sopravvivere, ma anche per trovare un senso di piacere totale, è quello di succhiare.
In questo modo, fin dall’allattamento, la bocca diviene la zona più significativa per la sopravvivenza fisica, ma anche per ciò che riguarda la funzione psicologica.
Da grande non si perderà questa valenza simbolica, caso mai si trasformerà, ma andrà ad alimentare, in modo non sempre consapevole, ad esempio il bisogno di gratificarsi con il mangiare, il bere o il fumo.
 
Come sosteneva Freud, il cavo orale in fondo, è la prima zona erogena che per un lungo periodo e sicuramente fino allo sviluppo del linguaggio, sarà strumento di comunicazione non verbale capace di trasmettere soddisfazione o scontentezza, benessere o di malessere.
E questo perché insieme con il nutrimento del corpo, il neonato percepisce il calore del corpo che lo nutre, ma anche il suo affetto, l’amore e la protezione, l’accettazione e la soddisfazione emotiva.
Oppure il contrario di tutto questo.
Percezioni che andranno nel corso della vita a coniugarsi con la sicurezza o l’ansia, la tranquillità o il senso di precarietà, l’amore o il rifiuto affettivo.
Se l’alternanza tra fame e senso di sazietà, tra sicurezza e insicurezza, tra angoscia e benessere, saranno adeguate e le figure importanti del bambino offriranno atteggiamenti equilibrati in questo primo periodo della vita, anche e soprattutto in età adulta, il rapporto con se stessi e con gli altri potrà essere sano o, viceversa, disturbato.
 
Infatti se il rapporto con il cibo nelle prime fasi della vita sarà sbilanciato, è molto probabile che il valore simbolico del cibo acquisisca significati particolari e condizioni in senso negativo il comportamento.
È questo che fa dire comunemente che si mangia per placare l’ansia, che il cibo è un modo per compensare la mancanza di affetto.
Oppure che il rifiuto di alimentarsi il quale, in età adolescenziale dà origine a una delle patologie più gravi chiamata anoressia, è un attacco diretto al corpo percepito come nemico da negare, rifiutare, o addirittura eliminare.
Così le condotte alimentari, almeno nel mondo occidentale, che producono disturbi psicosomatici e vere e proprie patologie, perché significativamente collegate a livello profondo e inconscio con i processi emotivi, l’affettività e le relazioni interpersonali.
 
Giuseppe Maiolo - [email protected] - Precedenti
Psicoanalista di formazione junghiana, scrittore e giornalista, specialista in clinica dell’adolescente.