Missione a Herat/ 23 – Il «recupero» dei nostri ragazzi

I nostri psicologi al lavoro. L'esperienza di Soraya e Samantha Barna

Tra le varie figure professionali che ho incontrato alla base militare italiana a Herat, in Afghanistan, ne ricordo una che merita decisamente di essere menzionata, perché rappresenta una delle punte del sistema militare moderno.
Si chiama Soraya Barna, ricopre il grado di sottotenente con l'incarico di Ufficiale psicologo ed è specializzanda (manca poco) in Psicoterapia cognitivo-comportamentale.

Soraya è una bella e giovane donna che si occupa dello stato psicologico dei militari.
Chiunque abbia problemi o senta la sola necessità di confidarsi con qualcuno, può farlo rivolgendosi a lei.
A volte sono gli stessi medici curanti che invitano il paziente a rivolgersi a lei. E questo accade soprattutto quando si tratta di ragazzi che hanno subito uno scontro a fuoco, un attentato o altri fatti che non accadono mai nella vita civile.

«Si tratta di un lavoro che richiede particolare sensibilità e aperture ai problemi degli altri, - ci ha detto Soraya. - Chi viene da noi a volte ha solo bisogno di confidare qualcuno le proprie ansie, i propri problemi. Ma a volte si tratta di ragazzi traumatizzati, usciti da un attentato o una sparatoria, magari che hanno perso un compagnoche era diventato intimo proprio perché aveva condiviso con loro i momenti di maggiore tensione.»
Sono stati assistiti da un team dove c'era anche lei, purtroppo, anche i commilitoni dei ragazzi che sono deceduti lo scorso 9 ottobre nel Gulistan (vedi articolo).

Ovviamente non può dirci nulla dei colloqui che i ragazzi hanno avuto con lei, ma come si può immaginare si è trattato di momenti particolarmente toccanti.
«Il mio compito è quello di convincerli che la vita continua - precisa Soraya - e che non è colpa loro se sono rimasti vivi, né se i loro compagni sono caduti.»
Il più delle volte si tratta di applicare la disciplina socratica della maieutica.
«Bisogna aiutarli a trovare la verità dentro di sé - aggiunge. - Alla fine, quando riescono superare il trauma… si sciolgono in un pianto liberatorio.»
Questa è una nostra opinione, ma riteniamo importante che sia una donna a farli confidare. Forse per un uomo è più facile lasciarsi andare in tutta libertà tra le braccia virtuali di una donna.

Soraya Barna ha finito il suo turno di 92 giorni in Afghanistan ed è tornata a casa con il nostro volo. Era spiaciuta di lasciare i reparti operativi.

Lo sono un po' tutti. In volo su un C 130, un marine americano di colore mi ha chiesto se ero un giornalista. Gli ho risposto di sì.
«Allora tieni queste. - Si era staccato dalla spallina le insegne della sua missione. - Io parto. Ho chiuso con questa merda di pace…»
«Dicono tutti così. - Mi ha confidato un aviatore italiano. - Ma poi tornano. Tornano tutti. È una specie di sindrome di Stoccolma
In volo notturno su un elicottero americano da Shindand a Herat, erano saliti con me sette marines con la borsa valigia, per tornane a casa. Erano sfiniti, tanto vero che l'addetta alla mitragliera di sinistra (era un donnone) aveva dovuto allacciare personalmente le cinture di sicurezza a tutti.
«Alla fine della missione sono come bambini. - Mi aveva urlato in un orecchio assordata dal rombo del rotore. - Giurano tutti di non tornare più. Poi li rivedo salire a bordo qualche tempo dopo. E alla partenza si allacciano le cinture da soli. Si comportano da veterani… he he»
Poi si è messa alla mitragliera e ha dato il via al pilota. «Go, Joe!»
Un normale servizio di un volo da cani.


«I ragazzi che superano il battesimo del fuoco - ci dice Soraya - diventano dei veterani a tutti gli effetti. Cioè sanno come si comporteranno nei momenti di pericolo perché lo hanno già vissuto sulla propria pelle. Vengono mandati a casa in licenza per un po' e poi non vedono l'ora di tornare qui. Sono motivati più che mai, sentono il bisogno di vivere per i propri commilitoni scomparsi.»
La Sindrome di Stoccolma. La necessità di tornare lì dove senti che il pericolo dà valore alla tua vita, rimasta miracolosamente intatta. Dove il drago cattivo convive con il drago buono, ognuno con la propria missione da compiere

Proprio riferendoci a quest'ultima considerazione, Soraya risulta essere un caso molto particolare, che con ogni probabilità farà scuola nelle fila dell'Esercito.
Lei ha una sorella gemella, che si chiama Samantha. Ha fatto esattamente gli stessi studi di Soraya e anche lei ha scelto la carriera militare. Anche Samantha è, come la sorella gemella, sottotenente con l'incarico di Ufficiale psicologo ed è specializzanda anche lei in Psicoterapia cognitivo-comportamentale.

Il fatto che siano gemelle è, non solo secondo noi, un'opportunità un po' sottovalutata dai responsabili della salute psichica dell'esercito. L'idea di non sapere di avere due confidenti donne uguali e contraeie per un medesimo problema potrebbe funzionare benissimo nel rapporto medico-paziente in un settore dove la personalità del medico c'entra moltissimo.
Si provi a pensare al papà e alla mamma. Il severo e l'indulgente. Il castigo e il perdono. Il bastone e la carota. Due personalità volutamente diverse in un corpo apparentemente medesimo potrebbero gestire problemi davvero complicati.

Soraya e Samantha sono uguali e sono pure del segno dei gemelli.
Spero di incontrarle ancora e di vederle all'opera in uno studio privato, che possono aprire pure restando nei quadri dell'esercito.
Nel frattempo, ragazze, buon lavoro! Riportate a casa i nostri ragazzi meglio di quanto non sia accaduto per i reduci delle guerre che hanno seguito la Seconda guerra mondiale.