Storie di donne, letteratura di genere/ 248 – Di Luciana Grillo

Heidemarie Brosche: «Figli imperfetti» – L'autrice ci suggerisce di non giudicare ma rispettare l’identità di ciascuno, la sensibilità, il carattere

Titolo: Figli imperfetti. Come riconoscere i punti di forza 
            nei difetti dei nostri figli

 
Autrice: Heidemarie Brosche
Editore: Erickson 2018
 
Pagine: 186, Brossura
Prezzo di copertina: € 16,50
 
Il sottotitolo di questo saggio è estremamente indicativo: «Come riconoscere i punti di forza nei difetti dei nostri figli».
Ci invita a riflettere sulle parole che usiamo, sui nostri atteggiamenti, sugli sguardi che rivolgiamo ai nostri figli quando vorremmo che corrispondessero a modelli ideali.
In realtà, dice l’autrice, «Ciascuno di loro era ciò che era» e dunque «che senso aveva questo continuo ripetere Tu sei troppo…?».
Il troppo ritorna molto spesso in queste pagine, perché nasce dal confronto con altri bambini: se il figlio di un’amica dorme 8 ore e il nostro 6, non dorme forse troppo poco?
 
«Quel gran dono che si chiama bambino è messo al banco di prova…un cucciolo d’uomo sottoposto a giudizio.»
Il troppo ritorna nei discorsi di familiari, amici e conoscenti «che dispensano al bambino osservazioni negative e saccenti» e Brosche riporta testimonianze efficaci di adulti che quel troppo hanno conosciuto e vissuto sulla propria pelle. La delusione che talvolta i genitori manifestano nei confronti dei figli e dei loro comportamenti è un dolore per gli stessi figli che «sono particolarmente vulnerabili, non hanno ancora una pellaccia che li protegga… Ed è ancora peggio nell’adolescenza…».
L’autrice riporta una riflessione acuta di Epitteto, antico e saggio filosofo, secondo il quale «a complicare la vita non sono i fatti, bensì il giudizio che gli uomini ne danno», e come esempio propone la trama del film «L’incomparabile Crichton» in cui in occasione di un naufragio è il maggiordomo a salvare il gruppo di naufraghi aristocratici: «Com’è tutto relativo! Quanto dipende dalla situazione!... Possiamo presumere che in patria il maggiordomo fosse considerato troppo povero, di ceto troppo basso, troppo sempliciotto, troppo ignorante…».
 
La testimonianza di un’insegnante offre altri spunti di riflessione relativi alla scuola: un ragazzo vivace può essere considerato troppo turbolento… Salvo poi, nella vita da adulto, mettere a buon frutto vivacità e creatività e diventare un uomo di successo: «È solo che per la scuola non era sufficientemente capace di adattarsi».
La psicologa Judith Gluck esalta l’originalità di chi non si adatta: «Ha la soddisfazione di non dover correre insieme alla massa e di poter vivere se stesso come libero pensatore…» e una giovane germanista, Julia Schauble, ricorda di essersi chiusa nel suo piccolo mondo per non «essere sotto tiro di nessuno. La mia occasione di fuga erano i libri, perché mi davano uno spazio in cui non ero più troppo intrattabile, troppo indisciplinata o troppo asociale… Oggi guardo alla mia infanzia e alla mia giovinezza e ci vedo un campo di battaglia. Una battaglia per affermarmi…Quelli che gli altri chiamavano difetti io li vedo come la mia capacità di combattere».
 
Di testimonianza in testimonianza, Brosche ci suggerisce di non giudicare ma di accettare, rispettando l’identità di ciascuno, la sensibilità, il carattere.
E anche io, da ex insegnante, vorrei non leggere che è per molti «la scuola, finora, il periodo più brutto della mia vita».
La giornalista televisiva Janne Evers sostiene che «è stato solo all’università che sono potuta sbocciare».
Dopo aver letto «Figli imperfetti», spero che nessuno usi più l’avverbio «troppo»!
 
Luciana Grillo – [email protected]
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