«Gli incontri del giovedì» – Di Daniela Larentis

Grazie all’Associazione Castelli del Trentino, giovedì 6 ottobre nella Sala Civica di Mezzolombardo si parlerà di Risorgimento con Tullio Rigotti

Tullio e Domenico Rigotti.
 
L’Associazione Castelli del Trentino anche quest’anno ha in programma un ciclo di conferenze ricco di 15 appuntamenti che si terranno di giovedì, alle 20.30, nella Sala Civica di Mezzolombardo, Corso del Popolo 17.
Denominato «Gli incontri del giovedì», il ciclo di serate, organizzato dal presidente Bruno Kaisermann e dal vicepresidente, il giornalista, storico e critico d’arte Pietro Marsilli, si aprirà con l’appuntamento di giovedì prossimo e si protrarrà fino al 20 aprile 2017.
L’Associazione è nata nel 1988 per la volontà di alcuni appassionati di storia medievale che avevano già partecipato a progetti di ricerca archeologica sul territorio.
Anche in sinergia con diverse Amministrazioni Comunali trentine ha curato l’allestimento di mostre, organizzato incontri di studi, trekking culturali e visite guidate, oltre a pubblicare una ventina di monografie. In particolare, da due anni ha organizzato dei cicli di conferenze che hanno coinvolto una ventina di specialisti.
 

Giacomo Floriani, figlio Attilio, Domenico Rigotti, Riccardo Maroni davanti chiesetta S Rocco.
 
Nel primo appuntamento fissato per giovedì 6 ottobre 2016 si parlerà di Risorgimento, un incontro nel quale Tullio Rigotti presenterà il suo libro intitolato «Domenico Rigotti – Dalla cospirazione mazziniana (1863-1864) alla rete del fuoriuscitismo (1914-1915)», del Gruppo Culturale Nago-Torbole.
Tullio Rigotti, nato a Riva del Garda nel 1948, risiede da moltissimi anni a Nago. È un appassionato studioso della storia locale.
Dal 2003 è nel direttivo del Gruppo culturale di Nago – Torbole. E’ inoltre socio dell’Associazione Riccardo Pinter di Riva del Garda e socio collaboratore del Centro Studi Judicaria di Tione.
Spinto da una forte curiosità nei confronti delle vicissitudini che riguardarono il bisnonno Domenico Rigotti, il quale fu una delle guide dei fuoriusciti trentini dal settembre del 1914 e l’aprile del 1915, ha deciso di scrivere un libro per documentare non solo quel periodo, ma anche il processo per alto tradimento istruito contro una trentina di giovani mazziniani a Innsbruck nel 1865, dopo il tentativo di sollevazione che coinvolse anche l’allora giovanissimo Domenico Rigotti.
Abbiamo avuto occasione di intervistarlo.
 

L'ing. Riccardo Maroni.
 
Da dove nasce l’idea di questo libro?
«Il mio interesse per la figura di Domenico Rigotti risale ai tempi della scuola elementare, quando mi recai con la mia classe in visita al Museo Civico di Riva del Garda.
«Nella stanza dedicata alla Prima Guerra Mondiale ebbi modo di osservare una fotografia che raffigurava alcune persone in posa davanti alla chiesetta di San Rocco, a Nago. In calce vi erano i nomi dei personaggi ritratti: Giacomo Floriani, Attilio Rigotti, Domenico Rigotti e Riccardo Maroni.
«Una volta a casa chiesi a mio padre chi fosse questo Domenico Rigotti e lui mi disse che era il mio bisnonno. La cosa finì lì, solo più avanti, alla morte di mio padre, rovistando fra le sue cose trovammo un vecchio numero del quotidiano l’Adige datato 30 maggio 1963, in cui erano descritte alcune vicende della guerra lungo il fronte dell’Alto Garda.
«C’era un articolo che destò immediatamente il mio interesse, menzionava le spericolate fughe dei fuoriusciti trentini accompagnati, attraverso il Baldo, oltre il confine in Italia, dalla guida Domenico Rigotti.

Atto conchiuso n 251.

«L’articolo era del giornalista Elio Coneghi e descriveva tutte le peripezie vissute dal mio bisnonno tra il settembre 1914 e l’aprile 1915 per condurre oltre confine gli irredentisti provenienti per lo più da Riva del Garda, come Riccardo Maroni e Gaicomo Floriani, o da Arco, da Rovereto, da altri centri della Vallagarina, della Valsugana e della Val di Non.
«Rimasi colpito nell’apprendere che all’epoca il mio bisnonno aveva 67 anni; i gendarmi austriaci vennero a conoscenza delle fughe condotte da lui soltanto nel mese di aprile del 1915.
«Molto più avanti venni a sapere che l’ing. Riccardo Maroni, amico fraterno di Giacomo Floriani, era ancora in vita ed abitava a Trento. Alcune settimane dopo andai a trovarlo. Dopo aver suonato il campanello, un po’ in ansia, sentii una voce chiedere chi stesse suonando.
«Mi annunciai e appena udito il mio cognome lui aprì senza esitazione. Frettolosamente salii le scale e giunto al pianerottolo trovai la porta spalancata: curvo, mi stava aspettando e appena mi vide mi fece entrare.»
 
Cosa la colpì di lui?
«Rimasi impressionato dall’affabilità che dimostrò, a dispetto del suo carattere burbero, nei miei confronti. Al solo nominare Domenico Rigotti si commosse.
«Fu proprio lui ad accompagnarlo oltre il confine, nell’agognata Italia, nella lontana notte del 3 febbraio 1915.
«Naturalmente le mie indagini non si limitarono agli incontri con l’ing. Maroni, con il quale si instaurò un’importante amicizia, proseguirono nei musei, nelle biblioteche.
«Ne nacque dapprima un primo scritto, curato dal prof. Cesare Bertassi.»
 
Il libro fa riferimento anche alla fallita cospirazione mazziniana del 1863-64, ci può raccontare come è nata l’idea di parlarne, accennando al fenomeno cospirativo mazziniano anche e soprattutto attraverso il ricordo di Domenico Rigotti?
«Recentemente, e del tutto fortuitamente, mi è capitato di ricevere dalla signora Pia Giuliani di Nago un prezioso manoscritto relativo al processo per alto tradimento istruito contro una trentina di giovani trentini ad Innsbruck nell’aprile del 1865. Si trattava dell’atto di accusa n.6 del Procuratore di Stato dott. Ziller, preceduto dal conchiuso d’accusa N. 251.
«Con mio grande stupore mi accorsi che nell’elenco degli arrestati dalla gendarmeria austriaca nell’autunno del 1864 figurava anche il mio bisnonno Domenico. Quindi, mezzo secolo prima rispetto a quel 1914-15 in cui, già anziano, si era prodigato per aiutare i giovani trentini a oltrepassare clandestinamente il confine, l’allora giovanissimo Domenico venne coinvolto in attività cospirative promosse dal Partito d’Azione mazziniano.
«Alla luce di quanto venni a scoprire, in occasione del centenario della Grande Guerra, ho voluto onorare la figura di Domenico Rigotti attraverso questo libro, una pubblicazione che integra ciò che si è venuti a sapere della sua attività di guida al servizio dei fuoriusciti con un approfondimento sulla fallita insurrezione del 1864.»

La copertina del libro.

La rete cospirativa aveva un’estrazione prettamente borghese?
«Coinvolse soprattutto gli intellettuali, certo, ma vi fu un’adesione convinta anche da parte di frange contadine, come dimostra il processo di Innsbruck.»
 
Fra l’estate del 1914 e la primavera 1915 le zone del monte Baldo furono teatro del fuoriuscitismo trentino: ci può raccontare brevemente cosa accadde in questi luoghi nel periodo antecedente l’ingresso dell’Italia in guerra?
«Le zone che meglio si prestavano per la fuga, soprattutto per chi risiedeva nel Basso Sarca, ma non solo per loro, erano le pendici del monte Baldo e la Val di Ledro.
«Le persone che volevano oltrepassare il confine si affidavano a guide esperte come Domenico Rigotti, il quale non era l’unica guida presente in zona, naturalmente.
«Le fughe venivano organizzate per lo più da agenzie clandestine, che facevano da ponte fra chi voleva scappare e chi era in grado di offrire loro aiuto. Ne esistevano a Trento, Rovereto e Riva.
«Una di queste era coordinata da Giovanni Battista Trappmann, un insegnante della scuola elementare di Torbole, e dal suo collega Giovanni Mandelli.
«Fuggire era molto pericoloso, lo testimonia una fuga finita male, quella della notte del 27 dicembre 1914, nella quale furono fermati dalla gendarmeria austriaca, sul monte Baldo, non lontani dal confine, due giovani trentini che volevano espatriare e le due guide che avrebbero voluto realizzare il loro sogno, Giusto Ferrari e Cornelio Tacchelli, entrambe di Nago (furono in seguito all’arresto spedite nel campo profughi d Katzenau).»
 
Quanti furono gli irredentisti accompagnati oltre il confine in Italia da Domenico Rigotti?
«Domenico Rigotti condusse oltre confine più di settanta persone fra il settembre del 1914 e l’aprile del 1915.»
 
Come avvenivano le fughe?
«Verso la mezzanotte si inoltravano lungo gli impervi sentieri innevati, il dislivello da affrontare era di circa 800 metri. Alle prime luci dell’alba la guida faceva ritorno a casa.»
 

Panorama dei sentieri per le fughe.
 
Nel libro viene menzionata un’importante figura storica trentina, Riccardo Maroni, il quale venne accompagnato oltre confine da Rigotti nel 1915: ci può raccontare qualcosa a riguardo?
«Riccardo Maroni nacque nel luglio del 1896. Frequentò la Scuola reale Elisabettina di Rovereto, superò brillantemente gli esami di maturità nel 1915 e poi si recò a Vienna per intraprendere gli studi di ingegneria.
«Qui apprese che l’Italia si stava preparando alla guerra, quindi a dicembre tornò a casa. Nella notte fra il 3 e il 4 febbraio oltrepassò il confine e successivamente intraprese gli studi a Torino, interrotti per arruolarsi volontario nell’esercito italiano con l’amico e compagno Damiano Chiesa.
«Dopo la laurea in ingegneria conseguita a Torino nel 1922 fu assunto dalla SCAC di Mori dove lavorò per oltre 40 anni. Fu anche giornalista, scrittore ed editore.
«Negli anni Cinquanta iniziò con la Collana Artisti Trentini una importante attività editoriale. Preziose le monografie dedicate a poeti, scrittori, commediografi, musicisti, scienziati, critici trentini (ne pubblicò più di una ventina).
«Fu insignito dal Comune di Rovereto della medaglia d’oro per meriti culturali. Era l’ottobre del 1924 quando l’ing. Riccardo Maroni si incontrò con il mio bisnonno nella sua abitazione a Nago, per rievocare la fuga effettuata nella notte fra il 2 e il 3 febbraio 1915 assieme a Fausto Miori e Angelo Ballardini e per esprimergli la sua gratitudine.
«Maroni ebbe in quell’occasione l’idea di far conoscere l’opera meritoria svolta da Domenico Rigotti, uscì di lì a poco un articolo su La Libertà

Fuga disegnata da Maroni.

Quando, nell’aprile del 1915, fu scoperta l’attività di guida dei fuoriusciti, cosa fece Domenico Rigotti e cosa accadde alla sua famiglia?
«Quando nell’aprile del 1915 venne scoperta la sua attività di guida dei fuoriusciti, anche Domenico Rigotti dovette scappare in Italia e raggiungere Milano.
«A Nago restarono le nuore Pasqua e Oliva con la prole e uno dei due figli, Attilio, il quale rimase in paese esentato dal servizio militare per motivi di salute.
«In maggio, prima dello scoppio della guerra fra l’Italia e l’Impero austro-ungarico, la moglie di Adone Rigotti, Oliva, e i cinque figli, con la morte nel cuore dovettero lasciare la loro casa per raggiungere una famiglia di contadini a Trebic, in Moravia.
«La stessa sorte, e cioè quella di abbandonare la propria terra, toccò a decine di migliaia di abitanti del Trentino.
«Furono circa 60.000 i trentini arruolati nell’esercito austriaco, come Adone, nel corso del conflitto e, specialmente nei primi mesi, inviati in Galizia a combattere.
«Ne morirono più di 10.000, i feriti furono 14.000, i prigionieri 12.000. Come Oliva e i cinque figli, furono circa 75.000 i profughi costretti ad abbandonare i territori vicini al fronte, mandati in altre regioni dell’impero.»
 
Come avvenivano le fughe allo scoppio della guerra e successivamente, quali espedienti venivano usati per scappare?
«All’inizio della guerra, quando i controlli erano più blandi, bastavano gli espedienti più semplici per varcare il confine: alcune persone fuggivano vestite da ferroviere, altre si nascondevano sotto il carbone, altri ancora aspettavano i treni merci per salirvi dopo le stazioni.
«Più tardi, le persone si misero a fuggire spinte dal desiderio sempre più forte di non essere arruolati nell’esercito austriaco.»
 
C’è un messaggio, un pensiero, che lei vorrebbe trasmettere, relativo alla guerra in genere?
«La storia la scrivono di solito i vincitori, sarebbe bello ascoltare però la voce di tutti, soprattutto la voce di coloro che fanno realmente la storia, vivendola sulla loro pelle, vinti o vincitori che siano.»
 
E a proposito della storia locale?
«Sarebbe auspicabile introdurre la storia locale nelle scuole, quale materia scolastica».
 
Quando uscirà il suo prossimo libro e di che cosa tratterà?
«Il prossimo libro, intitolato El nòs parlar de Nac, uscirà questo mese.
«Si tratta di un libro sul dialetto della mia zona, Nago, una raccolta di modi di dire, un glossario scritto a quattro mani con l’arch. Gino de Bonetti di Nago.»
 
Daniela Larentis - [email protected]