Storie di donne, letteratura di genere/ 47 – Di Luciana Grillo
Helga Fè: «Qualunque cosa il cuore ci rimproveri» (potrà essere perdonata)
Titolo: Qualunque cosa il cuore ci rimproveri
Autrice: Helga Fè
Editore: Editrice Montegrappa 2014
Nota: tre edizioni
Pagine: 168, copertina flessibile
Prezzo di copertina: € 13
Helga Fè, piemontese di origine toscana, è l’autrice di un’opera prima interessante, il romanzo «Qualunque cosa il cuore ci rimproveri», vincitore della VI edizione del Premio Letterario Nazionale «Un fiorino».
Questo romanzo breve, o racconto lungo, si legge molto velocemente, è scritto in modo scorrevole, incuriosisce il lettore che segue le vicende narrate, immedesimandosi forse anche in una delle protagoniste.
In realtà, la storia si articola e si sviluppa seguendo un doppio registro: è come un binario sul quale parallelamente corrono i pensieri, i ricordi, le sofferenze della vecchia Obilia e le emozioni, i bronci, i contrasti con i genitori della giovane Beatrice.
Le due protagoniste sono accomunate dal luogo di residenza, Selvena, un piccolo centro toscano, abitato da poco più di 500 anime: le loro case sono vicine, dalla finestra di una si seguono le vicende e si ascoltano le voci dell’altra.
Obilia a Selvena è nata, da Selvena si è allontanata per andare «a servizio» a Roma, da giovane, a Selvena è tornata per sposarsi, da Selvena è ripartita alla volta di Torino, infine a Selvena si è rifugiata per trascorrervi la sua non serena vecchiaia.
Beatrice, invece, è stata trasferita per decisione dei genitori da Roma a Selvena, e naturalmente rimpiange la grande città, le amiche, il ragazzo che le faceva battere velocemente il cuore.
Le discussioni con il papà e la mamma, l’isolamento in cui si sente, la solitudine che la opprime non le rendono piacevole la nuova vita in un paese piccolo e periferico…passa il suo tempo seduta sul muretto alle prese con il cellulare e con i messaggi che non ricevono risposte.
Obilia la osserva, le parla, la comprende, trova il modo per liberarla da un bullo che l’aveva corteggiata, le racconta – e sembra che racconti a se stessa – avventure e delusioni che hanno costellato la sua vita.
Per entrambe questo incontro è salutare, sia Obilia che Beatrice cercano di capire il mondo dell’altra e se pure è diverso il loro modo di esprimersi, se pure i loro mondi sembrano antitetici, trovano un filo che le congiunge, ed è l’intelligenza del cuore che le aiuta a conoscersi, ad apprezzare le caratteristiche dell’altra, a considerare un piccolo tesoro quello stare insieme, anche solo per preparare un tiramisù.
In tal modo, per Beatrice diventa accettabile la vita di paese e gradevole il rapporto con Giovanna e Matteo; per Obilia, invece, l’amicizia con Beatrice è un aiuto per comprendere – come forse non è accaduto con sua figlia – le esigenze di una giovane donna e per metabolizzare i suoi errori e accettare serenamente i lutti che l’hanno colpita.
L’autrice nel raccontare queste vicende che corrono parallele, non ci risparmia episodi sgradevoli, come le violenze che Obilia ha subito dal marito o quella di Massimiliano nei confronti di Beatrice, per farci riflettere sui comportamenti umani che non cambiano anche se i tempi sono diversi.
La saggezza e l’esperienza fanno dire alla vecchia Obilia che «uno schiaffo non è mai un semplice schiaffo e soprattutto non sarà mai il solo…(Vincenzo) mi ha picchiata tutto il tempo che sono rimasta con lui. Anche davanti ai bambini…Quella volta finii in ospedale, col viso tumefatto, una costola rotta e una forchetta piantata in una coscia.
Il medico entrò nella mia stanza, prese una sedia, la accostò al letto e si sedette.
Aspettò un po’, poi mi disse: Signora Obilia…perché non lo denuncia? Lo sanno tutti che non è caduta dalle scale…»
Quanto dolore e quanto rammarico in questa donna che sente di non aver forse amato quanto doveva i suoi figli!
La mamma di Beatrice, invece, «ha superato se stessa».
«Ho preso la scatola, l’ho sentita muoversi e non ho quasi fatto a tempo ad aprirla che ne è sbucato fuori un batuffolo color miele…
Così Beatrice ha la compagnia di un cagnolino, un amore di cagnolino, dice Obilia.
Come fanno i cani ad amarci così, in maniera incondizionata, ancora prima di conoscerci?
E come si fa a non amarli?
Anch’io, quando rimasi sola, acquistai un cagnolino.»
Ancora una volta, i due mondi si sfiorano.
Poi, si sa com’è la vita, Obilia muore, mentre Beatrice accetta la vita di paese, le levatacce per andare a scuola, l’amicizia di Giovanna, il tenero amore di Matteo.
Il lettore ha l’impressione di aver conosciuto queste due donne, di aver condiviso i pensieri di Obilia e le inquietudini di Beatrice, perché tutta la storia è stata raccontata con semplicità e garbo.
Con il romanzo di esordio, la Fè ha tracciato una strada; ora la attendiamo ad altre e alte prove letterarie.
Luciana Grillo
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