Vinitaly 2008. – L’Italia esporta bene, il Trentino va ancora meglio
L'immagine del Trentino nel suo insieme sta rendendo i soldi che sono stati investiti per costruirla. Si sente parlare di Trentino come sinonimo di «serietà, qualità e tecnica fuori discussione»
Siamo stati al Vinitaly,
accompagnati cortesemente da Trentino Spa che ha fatto del
marketing territoriale una delle portanti dell'immagine del turismo
trentino e che, giustamente, sta restituendo ai propri prodotti
l'immagine fin qui raggiunta.
Dobbiamo dire che il Trentino si presenta bene, fortemente
compatto, un po' più forse di quello che non sia in realtà. Ad ogni
modo, negli altri padiglioni e stand dove siamo stati, abbiamo
sentito sempre dire che «il Trentino è un'altra cosa». «Il Trentino
ha mezzi, ha prodotto, ha gente seria e ha una grande
Autonomia».
«Ma, - come ci ha detto un Abruzzese, - da noi neanche
un'autonomia speciale come la vostra ci consentirebbe di
risollevare le sorti della nostra agricoltura.»
In effetti, collocando il Trentino nell'ambito delle Tre Venezie,
possiamo dire che abbiamo superato l'Alto Adige e che il Friuli sta
provando a venirci dietro. Il Veneto, tuttavia, ha i grandi numeri,
cioè le quantità che possono fare mercato in tutto il mondo.
E il mondo abbiamo provato ad ascoltarlo da vicino. Il dollaro che
è sceso a livelli del 1990, in pratica non dovrebbe concedere
mercato. E invece anche lì (lo dicono i dati ufficiali del
Vinitaly, non solo gli operatori) il vino di qualità regge come e
meglio di prima. Due le possibili ragioni. La prima è che chi l'ha
provato quando poteva permetterselo, adesso non riesce farne a
meno, ma questa è forse una favola metropolitana. Più probabile la
seconda versione, cioè che l'Americano che acquistava il nostro
vino prima del crollo del dollaro non aveva problemi di danaro
prima come non li ha adesso e quindi continua a consumarlo.
I nostri vini mediocri hanno maggiore difficoltà all'esportazione,
ed anzi non è escluso che i Veneti vadano ad inserirsi proprio in
quei segmenti dove il Trentino presenta queste debolezze. Uno
spumante charmat di qualità ha maggiori possibilità di vendita in USA di un
champenoise di qualità e prezzo inferiori.
La salute delle nostre aziende è solida, lo dimostrano non solo i
fatturati e i programmi, ma la situazione dinamica delle principali
cantine. Nessuna azienda importante ha rinunciato ad acquistare
tenute agricole out-doot, meglio se in zone vocate alla qualità, ma
ancora prive di qualità tecniche e di attrezzature finanziarie
adeguate.
Ferrari ha acquistato splendide tenute in Toscana e in
Umbria, dove produrrà vini rossi di alta qualità, in linea con il
proprio prestigio. La Vis ha un centinaio di ettari in
Maremma, dove produce olio e morellino di Scansano, un vino che
avrà un futuro anche se deve essere migliorato, e che sarà
migliorato proprio perché ha i mezzi, le conoscenze, le tecniche.
Le Cantine Mezzacorona hanno una tenuta in Sicilia che è
già stata trasformata in un gioiellino riconosciuto dall'intera
Trinacria. La Sociale di Avio ha un rapporto di
partnerariato con una tenuta siciliana che produce il Nero d'Avola,
un vino davvero superbo, che diventerà in breve tempo leader di
mercato. La Cavit stava per acquistare la Mionetto, non
l'ha fatto e ci dispiace. Anzi, questo tentativo, che probabilmente
è stato inibito dalle polemiche che aveva sollevato, è
significativo di una situazione d'oro che l'intera economia
vinicola trentina sta attraversando. Diciamolo chiaramente, è mille
volte meglio essere in grado di acquistare cantine in giro per il
mondo che essere oggetto di acquisto.
D'altronde, non occorre essere degli osservatori per capire come
stanno le cose. Un ettaro di morellino di Scansano lo si acquista a
50 - 60.000 euro, contro i quasi 500.000 euro per ettaro per un
ettaro di vigneto in Trentino.
Per restare in tema di prezzi e di futuro, merita fare un cenno a
quanto abbiamo visto nello stand dell'olio. Il settore fa fatica
non solo a sostenere la concorrenza spagnola, ma addirittura ad
assicurarsi che in un prossimo futuro ci sia ancora qualcuno che abbia la volontà
di produrre olio di oliva italiano al 100 percento. Anche qui diamo
dei numeri: un ettaro di ulivi rende all'incirca 3.000 euro
all'anno… Cioè ci vogliono 100 ettari per mettere insieme uno
stipendio appena sopra la soglia della sopravvicenza. L'ettaro può
essere comperato per 30.000 euro. Il risultato è che i figli dei
produttori di olio non sono assolutamente interessati a proseguire
l'attività dei padri.
«Tempo una generazione - ci ha detto un produttore - non ci saranno
più persone interessate a lavorare negli uliveti. Lo stato non ha
fatto nulla per salvare la dignità del nostro olio e la Spagna la
farà sempre più da padrona.»
In effetti, i grandi marchi come Bertolli, Sasso,
Dante, non sono più italiani, sono spagnoli. I quali
continuano a venderli come marchi italiani (perché così in effetti
sono) anche se vi commercializzano olio iberico al 100%. Non che
sia un cattivo olio, sia ben chiaro (anche se il «piqual»
è spagnolo al 100 percento), ma non certamente come quello
italiano.
F. de Mozzi