Due artisti a confronto su vari temi – Di Daniela Larentis

«Conversazioni inedite»: Aldo Pancheri e Ivo Fruet – L’intervista

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Abbiamo incontrato due noti artisti trentini, Aldo Pancheri e Ivo Fruet, in un tiepido pomeriggio di primavera, invitandoli a un confronto su vari temi.
Elegante e pacato il primo, vivace e passionale il secondo, ambedue uniti dalla grande passione per il loro lavoro che svolgono con immutato entusiasmo.
Abbiamo rivolto loro alcune domande, alcune anche insolite, allo scopo di conoscere meglio la loro arte e la loro visione del mondo. Due parole sul loro percorso artistico prima di passare all’intervista.
 
Aldo Pancheri è figlio d’arte, nasce a Trento nel 1940 in una famiglia di artisti, viene iniziato alla passione per la pittura dal padre Renato.
Nel maggio del 1954 un grande ed indimenticabile poeta, Alfonso Gatto, lo presenta in un’esposizione personale alla Sala degli Specchi di Trento.
Diplomatosi all’istituto Statale d’Arte di Trento, studia all’Accademia di Belle Arti di Bologna nella scuola di Virgilio Guidi, dove si diploma nel 1962.
Consegue il primo premio Diomira nella X edizione e due secondi premi al San Fedele, a Milano.
Negli spazi dello stesso riproporrà negli anni seguenti più volte il proprio lavoro, singolarmente nel 1976 e successivamente con altri artisti.
Con Schmid e Senesi affronta per la prima volta un’esposizione in una sede pubblica al Museo Civico di Palazzo Sturm a Bassano del Grappa.
Negli anni ’70, pur mantenendo tutte le amicizie ed i contatti a livello culturale con Trento, la sua città, Pancheri si trasferisce a Milano.
 
Entra in amicizia con l’architetto Luciano Baldessari, artista di fama internazionale. Nel 1983 espone in una personale alla galleria Il Traghetto di Venezia, di Gianni De Marco che diviene il suo gallerista.
In quegli anni collabora con lo stampatore Giorgio Upiglio in tecniche sperimentali con composti plastici di propria invenzione. Numerosissime sono le mostre a cui partecipa nel corso degli anni, sia personali che collettive.
Pancheri è considerato il precursore e l’inventore dell«Arte Timbrica», la quale rende l’utilizzo del timbro un elemento centrale dell’esecuzione dell’opera.
Nell’arte timbrica è essenziale il segno, in quanto come afferma lo stesso ideatore di questa forma espressiva, «ogni artista, inventando una propria matrice timbrica, costruisce un proprio stilema, che può essere usato più volte, ma che per via della manualità che lo contraddistingue nessuna volta allo stesso modo».
 

Aldo Pancheri, Una lezione per la ribelle, 2015, pastelli, pasta acrilica e timbri su tela, cm 80x80.
 
Ivo Fruet nasce a Pergine Valsugana, Trento, nel 1942. Negli anni sessanta, dopo essersi diplomato all’Istituto d’Arte di Trento si trasferisce a Roma dove prosegue gli studi presso l’Accademia di Belle Arti sotto la guida di Gentilini. Significativa la frequentazione, in questi anni, dello studio dello scultore e pittore Aldo Caron.
Partecipa a una serie di mostre collettive e concorsi nazionali raccogliendo positive ed importanti conferme e riconoscimenti. Tra questi ricordiamo nel 1962 il Premio speciale per la pittura d’avanguardia all’estemporanea di Marina di Ravenna e nel 1966 il Diploma d’onore al Premio Internazionale Europa Arte a Bologna.
A metà degli anni sessanta si trasferisce in Danimarca a Randers e Copenhagen. Rientrato in Italia insegna, per pochi anni, all’Istituto d’Arte di Trento.
Il confronto con le realtà artistiche degli anni sessanta e settanta lo sollecitano ad intraprendere nuove strade espressive come la ceramica e successivamente il raku, l’incisione, la serigrafia e la grafica pubblicitaria.
 
Tra i fondatori di «Pergine Spettacolo Aperto», nel 1976 realizza scenografie e manifesti; nel 1984 disegna i costumi dello spettacolo «Lanzadoro» di Andrea Castelli, premiati con il «Sipario d’oro» a Rovereto. Le sue opere sono esposte in numerose rassegne che documentano i percorsi dell’arte in Trentino, ma anche a Cannes al Gran Palais du Cinemà, al Palais Liechtenstein a Felldkirk e a Arte Padova. Nel 2000 tiene tre importanti mostre personali: allo spazio Foyer del Centro Santa Chiara di Trento, a Bologna alla galleria Castiglione Arte, sull’isola di Ischia presso galleria Del Monte.
Nel 2003 partecipa al MART Museo di Arte Moderna e Contemporanea di Trento e Rovereto alla mostra Situazioni Trentino Arte 2003.
Vive e lavora a Pergine Valsugana. Numerose, negli anni, le esposizioni personali e collettive in Italia e in varie località europee.
 

Ivo Fruet, Hong Long (drago rosso), 2017, acrilico su compensato diametro 170 cm.
 
Cosa è la pittura oggi, secondo voi, che cosa la rende diversa dalle altre tecniche artistiche come la fotografia o la scultura, citandone alcune?
Pancheri:
«La pittura è anche gioia. Io mi esprimo attraverso la pittura perché non solo è ciò che faccio da una vita, ma mi dà anche gioia.
«La pittura non è immediata come la fotografia, per realizzare un quadro ci vuole più tempo, e in un mondo sempre più veloce impiegare del tempo per realizzare qualcosa diventa anche un valore; anche la pittura si adegua ai tempi, per esempio l’astratto è più veloce rispetto al figurativo, è, in un certo senso, un modo di esprimersi più vicino all’uomo contemporaneo.
«Per me conta anche la necessità di essere riconosciuto, il riconoscimento è il segno timbrico che utilizzo in entrambi i casi, sia nell’astratto che nel figurativo.»

Fruet:
«Contrariamente a quanto detto da Pancheri, secondo me nella pittura non ha molto senso parlare di astratto o figurativo, per me esistono modi di esprimersi e basta. La diatriba tra astratto e non astratto, figurativo e non figurativo, concettuale e non, a mio avviso non ha molto senso di esistere.
«Al giorno d’oggi abbiamo a disposizione diversi mezzi espressivi nel settore, potremmo dire, delle arti figurative, grazie anche alla tecnologia che offre molte opportunità. La pittura come la si è sempre intesa sta morendo, anche se non ne siamo del tutto consapevoli.
«Io ne sono ancora legato per ragioni mie, ragioni quasi affettive, sono legato ancora a un modo di esprimermi dove la mano deve in qualche maniera segnare, su un foglio, su una superficie o dentro un volume. Si tratta per me, comunque, di un costruire ancora con le mani.
«Oggi questo modo di esprimersi che ha alle spalle secoli di storia può anche essere superato, si può anche andare oltre esprimendosi con il computer e utilizzando strumenti tecnologici.
«Da questo punto di vista io, come gli artisti che ancora usano le mani, mi sento un po’ l’epigono di un modo di fare arte che appartiene al passato, il mondo futuro sarà infatti sempre più automatizzato e questo tipo di espressione umana andrà a morire poco a poco, probabilmente.»
 

Aldo Pancheri, A ferro e fuoco, 2017,  pastelli, pasta acrilica e timbri su tavola, cm 70x70.
 
Le vostre opere più recenti verso cosa intendono indirizzare lo sguardo dell’osservatore?
Pancheri:
«L’importante è che l’opera abbia la capacità di emozionare. Di per sé, almeno per quanto mi riguarda, non c’è la volontà di indirizzare lo sguardo, anche se i miei quadri generalmente ispirano sentimenti positivi.
«Anche il segno da me utilizzato serve solo per rafforzare l’immagine, non ha l’intento di indirizzare lo sguardo dell’osservatore.»

Fruet:
«Io ho una necessità autentica, quando lavoro, quella di staccare la mente e di non preoccuparmi di cosa gli altri potranno vedere nella mia opera, di come potranno interpretarla. Io mi auguro che chi osserva il quadro finito possa poi gioire di quella vista, l’opera per un artista è un pezzo di mondo che mostra agli altri, lo si fa per sé e poi lo si mostra, non c’è quindi una volontà di indirizzare lo sguardo, almeno da parte mia.
«Tu diventi il lavoro che fai, sei il lavoro che fai, attraverso l’opera proponi te stesso. Un tempo cercavo di affrontare artisticamente, per un certo periodo, un tema ricorrente, perché magari ero interessato alla guerra o alla violenza dell’uomo, alla distruzione dell’habitat naturale, i lavori all’epoca ruotavano attorno a un grande soggetto.
«Attualmente, per quanto mi riguarda, assolutamente non è più così.»
 
Come prendono forma i soggetti delle vostre opere?
Pancheri:
«Per quanto mi riguarda io osservo una serie di immagini che mi colpiscono e le utilizzo per dei collage che costituiscono la mia partenza, potremmo dire. Parto da delle emozioni di base che scaturiscono da delle immagini per iniziare a creare l’opera.»

Fruet:
«Io, invece, no. Non parto basandomi da delle immagini, la mia partenza è rappresentata da una superficie completamente bianca, dalla quale poi partire con un segno.
«Aggiungo poi macchie di colore, fino a quando non riesco a dare corpo a quello che inizialmente era vuoto. Non c’è consapevolezza di quello che andrò a creare, non voglio che ci sia.»
 
Pancheri:
«Nella nostra epoca tutto è arte e niente è arte. La pittura un tempo aveva una funzione diversa.
«Ora viviamo nel mondo dei social, della televisione, della pubblicità. Personalmente credo nell'arte analogica in quanto c'è evidentemente un'interazione fra l'opera e quanto la circonda. Un dipinto di Leonardo ha all'incirca lo stesso significato in una soffitta che in un museo.
«Non così un'opera di Lucio Fontana o Alberto Burri. Harold Rosenberg (1906-1978) dichiarava che l'opera d'arte nella nostra epoca è composta metà di parole e metà di materia.
«Con l'arte concettuale anche questa definizione è ormai riduttiva in quanto molte volte la parola è la parte più importante dell'opera e sembra quasi aver raggiunto un'ipertelia in rapporto all'immagine.»

Fruet:
«La pittura, fino all’Ottocento, Novecento, era un mestiere che presupponeva l’abilità, ora come ora rappresenta un tipo di mestiere che va perdendosi, lasciando il posto ad altre espressioni artistiche nate grazie alle moderne tecnologie.
«Le passate abilità iniziano a non essere più importanti come un tempo, ora come ora servono ancora, ma chissà se serviranno in futuro. Una volta bisognava essere abili, ma essere abili rappresentava anche l’uccisione dell’espressione libera. La grande abilità ha dato vita a una serie di disegnatori e pittori, incisori, ceramisti ecc. , abilissimi nel realizzare tecnicamente opere fatte con arte, come si vuole dire.
«I grandi pittori moderni hanno cercato in un certo modo di distruggere questa abilità, questo insieme di regole rigide, per essere da un punto di vista espressivo molto più liberi.»
 

Ivo Fruet, L'araba fenice ,2017, acrilico su cartoncino, 50x70cm.
 
Come capire quando un quadro è finito?
Pancheri:
«A volte riprendo un dipinto anche a distanza di mesi. Se non sono assolutamente sicuro che sia finito non lo firmo.
«Ascoltare anche le opinioni degli altri non è mai sbagliato, non sempre l’artista sa giudicare con obiettività il proprio lavoro, in quanto è troppo coinvolto.
«È difficile valutare e capire sempre con esattezza se l’opera è finita o meno. C’è da dire che alle volte bisogna sapersi fermare.»

Fruet:
«Anch’io, come Pancheri, alle volte riprendo un quadro anche dopo molto tempo e lo firmo nel momento in cui mi rendo conto che non lo toccherò più.
«Alle volte l’artista è la persona meno adatta a giudicare il proprio lavoro, perché essendovi immerso lo vede meno.»
 
Parliamo del concetto del tempo, come lo affrontate dal punto di vista pittorico? Cosa rappresenta per voi, artisticamente, il tempo?
Pancheri:
«S. Agostino, a proposito del tempo, diceva So cos’è ma non so come spiegarlo. Tutti noi veniamo da un tempo e andiamo verso un altro tempo.
«È importante, a ogni modo, assumere la consapevolezza del proprio tempo, anche artisticamente. Il nostro è diventato un mondo velocissimo, dove tutto nel bene e nel male è in continuo e rapido mutamento.
«Quando dipingo dimentico me stesso, entro, se così vogliamo dire, in una sorta di eternità (in senso lato, naturalmente).»

Fruet:
«Il tempo che cosa è? È un fatto squisitamente mentale. Quando si hanno alle spalle molti anni il tempo tende a dilatarsi. Lo si percepisce in maniera differente. Mentre lavoro il tempo non coincide con quello percepito nella quotidianità.
«Il nostro tempo quotidiano è la cronaca di noi stessi, in definitiva il tempo è cronaca quotidiana. Tutto ciò che appartiene al quotidiano è già passato nel momento in cui accade.
«Quando dipingo, quel tipo di tempo sparisce, mi ritrovo immerso in un tempo completamente diverso, che esula da tutto il resto. Quello è il mio tempo, non il tempo secondo la concezione americana per cui tempo è denaro (ossia la massima volgarizzazione del tempo). Ma un tempo mio.»
 
Scegliendo solo un’opera, fra tutte quelle realizzate - e sono davvero moltissime, - quale secondo voi mette più a fuoco la vostra personalità?
Pancheri:
«Dipende dal periodo preso in esame. Se fossi obbligato a sceglierne solo e unicamente una, forse sceglierei Sulla riva della felicità

Fruet:
«Rispondendo alla domanda, potrei dire che a ogni periodo che ho attraversato corrisponde un’opera che più d’altre mi rappresenta, tuttavia, se ne dovessi scegliere una sola direi la prossima che farò.
«Sono sicuro che quella sarà sicuramente la migliore, quella che riuscirà a rappresentarmi meglio.»
 

Aldo Pancheri, Cieli senza scala, 2017, pastelli, pasta acrilica e timbri su tavola, cm 70x70.
 
In che modo vi ponete di fronte alle problematiche della società?
Pancheri:
«La mia arte può essere in qualche momento un’arte di denuncia, ma in linea di massima non lo è. Per scelta.»

Fruet:
«Io mi sento un pezzettino della società, di un mondo popolato da individui, di uomini che cercano di vivere al meglio. Io sono grato a questa società, perché io posso grazie a questa società, di cui io stesso faccio parte, fare quello che mi piace maggiormente e cioè esprimermi artisticamente, senza sottostare a obblighi e doveri (come invece avveniva un tempo, pensiamo agli artisti del passato).»
 
Da artisti, qual è la vostra idea di libertà e pace?
Pancheri:
«Le due cose un po’ coincidono. C’è una libertà interiore che è importantissimo poter coltivare, certo la libertà assoluta di fatto non esiste. Io mi sento davvero libero quando dipingo.»

Fruet:
«Questi termini spesso vengono banalizzati, strumentalizzati. La pace è una delle cose più difficili e terribili da conquistare, come la libertà, e va conquistata quotidianamente.
«La libertà di tutti che però rispetti anche quella individuale è una delle cose più difficili da raggiungere.»
 
L’Unione Europea è in grado, a vostro avviso, di incarnare questi valori?
Pancheri:
«Se concepiamo la società, e quindi anche l’Unione Europea, come un insieme di individui, come diceva Fruet, allora può incarnare i valori di pace e libertà attraverso il dialogo fra le nazioni.»

Fruet:
«Sì, se intendiamo l’Unione come una società composta da individui. La pace è un valore da perseguire ma è anche molto difficile da raggiungere».
 
Qual è il colore preferito da Aldo Pancheri? E in assoluto qual è il suo e a cosa lo associa?
Fruet:
«Secondo me, il colore preferito da Aldo Pancheri è il blu o viola. Il mio colore preferito, invece, è il rosso. Lo associo a un pugno in faccia, a qualcosa che mi colpisce con potenza.»
 

Ivo Fruet, Rifugio della memoria, 2016, acrilico su tela, 64x72cm.
 
Qual è il colore preferito da Ivo Fruet? E in assoluto qual è il suo e a cosa lo associa?
Pancheri:
«Sono convinto sia il rosso per Ivo Fruet. Se io, invece, ne dovessi scegliere uno, credo che sceglierei il blu. Lo associo a un senso di profondità».
 
Confermate?
Pancheri: «Sì».

Fruet: «Sì».
 
Progetti futuri.
Pancheri: 
«Negli anfratti del cuore; Poesia, eros, castigo opere d’arte e poesia visiva di Aldo Pancheri. L'evento è ospitato all' ottava edizione del festival book di Trento presso il centro d'Arte La Fonte di Caldonazzo».

Fruet: «Continuare a lavorare con passione».
 
Daniela Larentis – [email protected]