«Sulle rotte del mondo»: Oceania, tra culture e inculturazione

Incontro in Regione nell'ambito della manifestazione

Sì è parlato del controverso rapporto fra «culture e inculturazione» nell'incontro svoltosi nella sala di rappresentanza della Regione, nell'ambito della giornata dedicata all'Oceania.

Ospiti Bruce Birch, ricercatore all'università di Canberra, Australia, Stefano Girola, docente all'università di Brisbane, Jackie Huggins, scrittrice e storica di origini aborigene, Ferruccio Pisoni, già presidente dell'associazione Trentini nel mondo.

Moderatore Ferruccio Bertagnolli, salesiano di Taio, da sua volta da molti anni in Australia.

Ad aprire i lavori è stato Stefano Girola.

«Il multiculturalismo - ha spiegato - è una costante della storia australiana, anche se formalmente esso risale al 1972. È una costante perché l'Australia ha accolto persone provenienti da molti paesi diversi.
«In passato però la politica del governo era quella dell'assimilazione; gli immigrati erano incoraggiati ad abbandonare la propria lingua e a imparare l'inglese, assieme ad altri tratti della cultura anglosassone.»

«Gli italiani in Australia - ha proseguito - hanno dovuto affrontare il sospetto non solo degli altri australiani ma anche della chiesa cattolica australiana, di matrice prevalentemente irlandese.
«I siciliani ad esempio sono stati scoraggiati dal continuare a coltivare le proprie tradizioni, comprese le feste religiose, con il risultato che tendevano a collocarsi ai margini della società di accoglienza.
«Quando, nei primi anni '70, la politica è cambiata, l'immigrato ha cominciato a contribuire in maniera molto più forte alla crescita della società di accoglienza.»

Birch ha spostato l'attenzione sul fattore linguistico.

«La lingua è la cosa più importante per una cultura. - Ha esordito. - Per quanto riguarda gli aborigeni australiani, la perdita delle proprie lingue ha significato la perdita di culture millenarie, di un modo di vedere e interpretare il mondo circostante, l'ambiente.
«E teniamo conto del fatto che questi popoli hanno una conoscenza incredibile del proprio ambiente. In Australia le lingue aborigene non sono riconosciute per nulla. Io lavoro in una comunità molto remota.
«Il 95% delle persone non tentano affatto di imparare la loro lingua, non si accorgono nemmeno di essere all'interno di un nuovo contesto culturale.
«Si tratta di una perdita gravissima. In generale ogni società dovrebbe educare i propri figli ad abbracciare la diversità e il multiculturalismo.»

La signora Huggins (come detto dal moderatore) rappresentava al tavolo dei relatori una cultura quasi completamente annientata dai bianchi.
«Quello che gli aborigeni hanno sofferto - ha detto Bertagnolli nell'introdurla - è una cosa ignominiosa per l'Australia, anche per la chiesa cattolica.
«La cultura aborigena non ha bisogno di una o più macchine per ogni famiglia, non ha bisogno di conti in banca. Eppure gli aborigeni vivono lo stesso e hanno molto da insegnarci, contro il consumismo moderno.»

«Esistiamo ancora - ha confermato la Huggins - anche se abbiamo un'aspettativa di vita più bassa rispetto all'australiano medio e ci troviamo molto in basso nella scala sociale per salute, istruzione, accesso agli alloggi, accesso al lavoro.
«Abbiamo avuto una storia di incredibile brutalità nel nostro paese, di massacri, espropri, spoliazione culturale. Ci sono oggi in Australia circa 570.000 aborigeni, il 2% di tutta la popolazione.
«Siamo però quelli che crescono più velocemente. Riguardo alle politiche del multiculturalismo, gli aborigeni sono invisibili.»

«Siamo ancora in mano ai capricci del governo, cittadini di seconda classe. - Ha detto in conclusione. - C'è insomma ancora molta strada da fare, speriamo potranno farla le nuove generazioni.
«La storia va conosciuta, va raccontata, va interpretata. Noi oggi siamo persone moderne, che vivono nel presente, pensiamo al futuro come voi.
«Siamo una minoranza che lotta; per fortuna a livello internazionale molta gente ci aiuta, appoggia le nostre rivendicazioni.»

Pisoni ha ricordato invece l'emigrazione trentina in Australia.
«Le prime persone trentine che lasciarono il Trentino per Australia, - ha esordito - nel corso dell'800, erano attirate dall'oro. L'emigrazione era un'avventura, non rimasero a lungo. Le emigrazioni più consistenti avvennero fra le due guerre mondiali (meno di un migliaio di persone) e poi negli anni '50 (forse 2-3.000 persone).»

«Quando gli emigranti hanno contribuito a trasformare i paesi di origine? - Ha proseguito. - Non moltissimo; i luoghi di origine rimasero in fondo più o meno gli stessi.
«Quanto invece i trentini si integrarono nelle patrie di accoglienza? Una buona percentuale di trentini ha conservato a lungo caratteristiche dei paesi di origine, dai giudizi di valore ai principi di base all'attitudine al lavoro e così via. Dove potevano farlo si sono aggregati e hanno riproposto fuori dal Trentino modalità di esistenza simili a quelle dei paesi di origine, comprese le istituzioni di autogoverno che avevano, qui, i comuni e così via.»

«Gli inizi sono stati pieni di sofferenze. - Ha aggiunto - Molti lavoravano in miniera o nelle foreste, rimanevano lontani per mesi da casa e dalle famiglie. Non conoscevano la lingua, nemmeno per chiedere un passaggio lungo la strada.
«Poi col tempo le cose sono cambiate. Dal lavoro in foresta sono passati al lavoro nei campi. Si sono lentamente integrati. La volontà di aggregarsi non è sparita, anzi, si è rafforzata.
«Si è fatto più forte il desiderio di ritrovare una storia comune, un linguaggio comune. In Australia sono sorti 9 circoli trentini.
«Oggi molti non parlano più italiano: la conoscenza delle basi linguistiche arriva alla seconda generazione, che però conosce anche l'inglese. E' rimasto tuttavia un forte sostrato culturale.»

E l'evangelizzazione, di cui si parlerà più diffusamente stasera nel palazzo della Provincia, per la serata dedicata a padre Angelo Confalonieri?
È stata una storia di luci e ombre.

Alcuni missionari hanno cercato di difendere i diritti delle popolazioni indigene, ma in generale, ha detto la Huggins, venne imposto agli aborigeni un sistema di valori ad essi estraneo.

La coscienza della necessità di dialogare, non di imporre, e di valorizzare quanto di buono era presente nelle culture autoctone, anche in Australia si è fatta avanti molto più tardi.