A teatro nel carcere di Spini di Gardolo – Di Nadia Clementi
«Qui si resta passando» è il titolo dello spettacolo per cui sono andati in scena i detenuti del carcere di Trento
Il nostro giornale aveva visitato il carcere di Via Pilati e ne aveva più volte sollecitato la chiusura. Era invivibile. Così, quando quello vecchio è stato chiuso e siamo andati alla presentazione e all’inaugurazione del nuovo carcere di Spini di Gardolo, ci siamo sentiti sollevati. Vedi i servizi della presentazione e dell’inaugurazione. Ora, carcerati e guardie carcerarie almeno potevano respirare. Naturalmente è rimasto un «carcere vero» a tutti gli effetti, per cui quando abbiamo sentito che sarebbe andato in scena uno spettacolo nel carcere, l’abbiamo presentato con un senso di sollievo. Per noi è andata Nadia Clementi ad assistere allo spettacolo e scrivere il pezzo che segue. Uno spettacolo teatrale non è molto, ma se si pensa al principio che «dilettando educa», possiamo dire che un piccolo passo avanti per il recupero della gente che ci vive e ci soffre è stato fatto. |
Sabato 13 dicembre 2014 dodici detenuti del nuovo Carcere di Trento, assieme ad un gruppo esterno di giovani attori italiani e stranieri, si sono esibiti con singolare entusiasmo sul palcoscenico della sala presente nella struttura penitenziaria.
In scena lo spettacolo «Qui si resta passando», il lavoro conclusivo di un laboratorio educativo che i detenuti hanno seguito sotto la direzione artistica del regista Emilio Frattini e con la collaborazione di Francesca Sorrentino e Chiara Ore Visca.
Lo spettacolo è stato co-prodotto dal Centro Servizi Culturali S. Chiara, dalle Associazioni «Con Arte e con pArte» di Trento e «Sagapò Teatro» di Bolzano, con il sostegno del Servizio Attività Culturali della Provincia Autonoma di Trento, il patrocinio del Consiglio dell'Ordine degli Avvocati e il contributo della Fondazione Cassa di Risparmio di Trento e Rovereto.
In sala è tutto esaurito, c’è fermento, attesa, inquietudine e un rincorrersi di sguardi rapidi e intensi tra gli agenti della polizia penitenziaria e il pubblico presente in sala, composto da un centinaio di detenuti e rappresentanti istituzionali della Provincia di Trento.
L’atmosfera è quella di una recita per dilettanti, le emozioni quelle che ogni attore in erba prova durante la prima esibizione sul palco; questa volta però non si è trattato di un teatro normale, gli attori non sono appassionati di filodrammatica e il pubblico non è composto da parenti e amici.
Un teatro che ha visto applausi, euforia, urla e risate, ma dove si è anche respirata la tensione dovuta al dispiegamento delle forze dell’ordine in sala che hanno vigilato sulle due ore di… «evasione» e di insolito divertimento.
Il sipario si è alzato alle 15.30, sullo sfondo di una scenografia essenziale: una piazza irreale fatta di semplici quinte nere dove bighellona un barbone, interpretato con maestria dal regista Emilio Frattini.
Seduto sulla panchina il clochard è spettatore di brevi scene di vita quotidiana, di gente che attraversando la piazza si racconta, ignara di essere osservata. Così il barbone rappresenta la figura incognita che diventa il filo conduttore tra disperazione e humor e funge anche da specchio interiore dei singoli personaggi.
Ma sono i detenuti dallo spiccato accento straniero i veri protagonisti del palcoscenico: si alternano celermente in personaggi comuni interpretando con disinvoltura la parte di fidanzato, criminale, ubriaco, agente di polizia, sportivo, ambulante, accompagnati e sostenuti dalla bravura di giovani attori professionisti.
Assieme rivivono sul palco quella vita che li aspetta al di là delle sbarre, fatta di ricordi, sogni e aspettative di un domani che ricorderanno un giorno come «Qui si resta passando».
Il pubblico applaude, divertito e sorpreso, apprezzando il lavoro svolto dal regista Frattini, che saluta e ringrazia tutti i presenti attraverso la sua mimica facciale carismatica e sorniona che ha saputo conquistare la simpatia dei detenuti, donando loro risate e momenti di riflessione sui contenuti della vita.
L’obiettivo del progetto era quello di colmare la distanza tra «il dentro e il fuori», analizzare il carcere attraverso la creatività e l’arte della recitazione cercando di favorire la crescita dei partecipanti rispetto la consapevolezza di sé, l’armonia con gli altri, le competenze umane, civili e sociali, nonché le capacità relazionali e di convivenza.
La dimensione educativa, rieducativa e terapeutica del teatro è da anni oggetto di riflessioni ed esperienze: da un lato l’espressione artistica, dall’altro l’elaborazione emozionale a livello psicologico.
Perché l’essere «attori» del proprio disagio o delle proprie problematiche, nel senso di agirli e di rappresentarli, consente di operare a fine terapeutico per favorire la diluizione del singolo conflitto interiore.
Come è nato il Teatro in carcere
L’idea è nata con l’entrata in vigore della Legge 663/1986, che costituisce la principale modifica alla legge di riforma dell’ordinamento penitenziario del 1975 (n. 354). Ispirandosi a esigenze di risocializzazione e rieducazione, la legge Gozzini prevede misure alternative alla pena che permettono ai detenuti di uscire dal carcere e introduce attività affidate a operatori provenienti dalla società civile.
È così che il teatro è entrato in carcere grazie ai primi esperimenti di attuazione della legge e all’iniziativa di compagnie e di registi professionisti che hanno inaugurato una serie di percorsi laboratoriali destinati, nel giro di pochi anni, a disegnare una mappa di esperienze articolata sul piano nazionale.
È chiaro fin da subito che nel Teatro Carcere convivono due prospettive differenti: da una parte riconduce l’attività teatrale all’offerta «trattamentale», ossia al programma di «interventi diretti a sostenere interessi umani, culturali e professionali» del detenuto, favorendone una «costruttiva partecipazione sociale»: dall’altra la ricerca teatrale scopre nella scena reclusa uno straordinario potenziale di linguaggi, storie, attitudini e risorse personali.
Entrare in un carcere non è un’esperienza di tutti i giorni, per questo abbiamo chiesto agli agenti presenti in teatro come è il nuovo carcere di Trento e come vivono i detenuti.
Il nuovo carcere Il nuovo penitenziario di Trento inaugurato nel gennaio 2011 è classificato come istituto di «media sicurezza”, ossia è destinato a coloro che non devono scontare più di 5 anni di pena. I detenuti sono 260 (capienza massima), di cui il 75% circa sono stranieri e il 25% italiani, mentre gli agenti in servizio sono circa 130. Il personale di Polizia Penitenziaria che presta servizio nella nuova sede, collabora attivamente con la locale Procura della Repubblica e segue le indagini per fatti di reato commessi all’interno della struttura o di cui ne apprenda la conoscenza per ragioni istituzionali. Nell’anno 2014 sono state numerose le operazioni che hanno sventato i tentativi di ingresso all’interno dell’istituto di sostanze stupefacenti; operazioni che si sono concluse spesso con l’arresto o la segnalazione all’A.G. dei familiari responsabili. Il carcere è strutturato principalmente in otto sezioni, ciascuna delle quali è composta da 15 stanze detentive con due posti letto. Le celle sono pulite e piuttosto spaziose, ognuna con un bagno e un cucinino che permette il consumo di altri pasti rispetto ai tre previsti nel regolamento. La tv è incassata al muro e può essere vista fino alle due di notte. I padiglioni sono divisi in due corpi suddivisi tra uomini e donne. Negli stessi sono previsti dei locali appositi riservati alle visite esterne programmate nei giorni lunedì, mercoledì e il sabato dalle ore 8.00 alle ore 16.00. Tra le varie strutture vi sono una caserma agenti, una sala teatro da 211 posti, un’ampia sala computer, una biblioteca, una palestra, un campo da calcio e spazi per i bambini figli di detenuti, una cappella cattolica degli uomini, una per le donne, nonché un’ampia sala per i credenti di religione diversa da quella cattolica. La caratteristica principale del nuovo carcere di Trento è l’alta tecnologia. Dalla torretta di controllo si gestisce tutto il monitoraggio della sicurezza, dai portoni automatici della struttura alle porte dei corridoi e delle celle. L’orario d’aria per i detenuti è dalle 9 alle 11 di mattina, mentre il pomeriggio dalle 13.30 alle 15.30. I detenuti spesso svolgono diverse attività lavorative contrattualmente retribuite, come pulizie nei locali, aiuto in cucina, commissioni di manufatti, opere intramurarie, parrucchiere, barbiere etc. |
L’impressione è quella di un carcere all’avanguardia dove i detenuti scontano la loro pena con dignità e con la prospettiva di un futuro migliore, grazie a progetti rieducativi di formazione e di lavoro mirati al reinserimento nella società, come previsto dai protocolli del Ministero della Giustizia.
Nadia Clementi - [email protected]