Storie di donne, letteratura di genere/ 182 – Di Luciana Grillo
Linda Lê: «Lettera al figlio che non avrò» – Una lettera che ci invita a rispettare le decisioni altrui, senza commenti e senza retropensieri
Titolo: Lettera al figlio che non avrò
Autrice: Lê Linda
Traduttore: T. Gurrieri
Editore: Edizioni Clichy 2015
Pagine: 96, Brossura
Prezzo di copertina: € 10
Non è facile scrivere una lettera a un figlio che non nascerà mai, per precisa scelta della potenziale madre.
Allora, per capire, bisogna scavare nel cuore e nella mente di una donna che si autoproclama libera di non avere un figlio, che si rifiuta di aderire a un modello per così dire imprescindibile, che si ribella ad una consolidata tradizione.
L’autrice, nata in Vietnam, ma arrivata a Parigi con la madre e le sorelle a quattordici anni e quindi francese di adozione, è un’apprezzata critica del «Magazin littéraire» ed autrice di romanzi tradotti in varie lingue.
Scrive in prima persona e racconta la infanzia e l’adolescenza di una ragazza, descrivendola come un naufrago: «mi affezionavo alla mia solitudine, la mia scialuppa di salvataggio… la mia introversione mi rendeva incline alla freddezza, ogni effusione mi sembrava grottesca, le carezze, i vezzeggiativi, le esplosioni di tenerezza erano proibiti. I miei genitori in ogni modo ne erano avari».
Forse è da qui che bisogna partire per capire: un padre freddo che affogava nel vino le sue insoddisfazioni, una madre anaffettiva, che rendeva impacciata l’atmosfera in casa, non sono certo modelli da imitare. Soprattutto il rapporto madre-figlia è complesso: la madre, detta «Big Mother» «sorvegliava da vicino i nostri spostamenti, non avevamo il diritto di farci invitare alle feste…, di imparare a ballare…, di ascoltare dischi…, di annotare le nostre impressioni su un diario…, di occuparci di poesia…, di dedicarci alla pittura… nonostante i nostri sforzi di essere alla moda… eravamo, con i nostri vestiti grigiastri, irresistibili quanto delle bertucce».
Sembra che in Big Mother, invece dell’affetto materno, sia presente una voglia insana di vendetta, come se le figlie dovessero scontare un peccato.
«Lei era la regina, l’ereditiera di una famiglia d’alto rango che si era sposata con una persona di livello inferiore», le figlie erano le discendenti di un uomo «senza patrimonio, senza posizione, senza relazioni… creature inutili da accasare a ogni costo».
Cosa sarebbe successo se avesse avuto un figlio maschio? Forse «le avrebbe permesso di vendicarsi di tutti coloro che l’avevano denigrata… come i suoi genitori, irritati che lei non fosse alla loro altezza».
E tutto questo l’io narrante – se fosse diventata madre – avrebbe mai potuto raccontare a suo figlio? «…ti avrei parlato di quelle sere in cui, con la testa sotto il cuscino per non sentire le sentenze di Big Mother, rimpiangevo di non essere stata soffocata in culla?».
C’è un senso di inadeguatezza, di mancanza di autostima: «Che cosa ho da trasmettere oltre alla mia impotenza di essere nella norma, alle mie perplessità di fronte a ciò che affascina i miei simili…? Big Mother ha distrutto la poca sicurezza che avevo».
Eppure c’è un uomo – S. – che le sta vicino, che vorrebbe un figlio da lei («lo prendevo in giro, voleva un figlio come un bambino vuole un giocattolo»), che le consiglia di leggere storie di madri esemplari, ma lei preferiva piuttosto le storie di Elettra e Medea.
La non-madre amava scrivere, «sta di fatto che eludevo il problema della tua nascita votandomi interamente alla redazione del mio racconto», per dirsi successivamente «che era troppo tardi per rimproverarmi di non aver concepito. Non era rimorso, ma un’indefinibile impressione di mutilazione, come se mi avessero amputato un arto».
Eppure, questo figlio mai nato vive comunque nella mente di chi scrive: «Ho spesso un pensiero per te, non perché soffro della tua assenza… ma perché, tra le pieghe del mio essere, fai parte di me».
E conclude confessando al figlio non voluto: «Tu mi rigeneri, mi sei più vicino che mai, tu, il figlio che non avrò… per me non sei una fantasia, esisti, sei dotato di vita».
Strana questa lettera, che ci invita a rispettare le decisioni altrui, senza commenti e senza retropensieri.
Luciana Grillo – [email protected]
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