Associazione Castelli del Trentino – Di Daniela Larentis

«Per «Gli incontri del giovedì», ospiti il 9 novembre tre laureati in materie storiche: Christian Giacomozzi parlerà di San Romedio

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Il ciclo di serate predisposte dall’Associazione Castelli del Trentino, denominato «Gli incontri del giovedì», organizzato dal presidente Bruno Kaisermann e dal vicepresidente, il giornalista, storico e critico d’arte Pietro Marsilli, prosegue con l’appuntamento di giovedì prossimo presso la Sala Civica di Mezzolombardo, Corso del Popolo 17.
Il 9 novembre alle 20.30 si parlerà di Christian Schneller, uno studioso di confine, di San Romedio e del Castello di Monreale con tre laureati in materie storiche, rispettivamente con Sonia Forrer, Christian Giacomozzi e Sabrina Michelon.
Ricordiamo che tutti gli incontri in programma godono del patrocinio della Regione Trentino Alto-Adige, della Provincia Autonoma Trento, della Comunità Rotaliana-Koenisberg e del Comune di Mezzolombardo e della collaborazione dell’Accademia degli Agiati di Rovereto, della Società di Studi Trentini di Scienze Storiche, del Museo degli Usi e Costumi della gente Trentina.
Sono, inoltre, riconosciuti da IPRASE e validi ai fini dell’aggiornamento del personale docente della Provincia Autonoma di Trento.
Particolarmente approfondito l’interessante studio condotto da Christian Giacomozzi, docente presso la Scuola Secondaria di Primo Grado «F. A. Bonporti», della tradizione agiografica su San Romedio.
 
Laureato in «Studi Storici e Filologico-Letterari», percorso in Lettere Moderne presso la Facoltà di Lettere e Filosofia dell’università degli Studi di Trento, con una tesi dal titolo «La Legenda Sancti Romedii di Giangrisostomo Tovazzi e le sue fonti», premiata dalla Soprintendenza per i Beni Culturali (Ufficio Beni archivistici, librari e Archivio provinciale), ha poi conseguito una laurea magistrale in «Filologia e Critica Letteraria», presso lo stesso Dipartimento, con una tesi dal titolo «La Vita sancti Remedii (BHL 7145). Edizione critica e commento», anch’essa premiata dalla Soprintendenza per i Beni Culturali della Provincia Autonoma di Trento (tesi riconosciuta di notevole e indiscusso interesse ai fini del rilevamento di fonti documentarie e bibliografiche del Trentino).
Fra i vari riconoscimenti collezionati, gli è stato assegnato anche un Premio di Merito, da parte dell'Università degli Studi di Trento, per l'impegno da lui mostrato e gli importanti risultati raggiunti durante il percorso di laurea magistrale.
 
È attualmente iscritto al corso di dottorato in «Le forme del testo» presso il Dipartimento (ha vinto il concorso, primo su 92 candidati, per l'ammissione al corso ed è assegnatario di borsa di studio; il suo tutor e relatore della tesi è Paolo Gatti, professore ordinario di Letteratura Latina Medievale presso l’ateneo).
Il suo progetto di ricerca è l'allestimento della prima edizione critica della «Vita» di san Nicola di Myra BHL 6126, agiografia scritta dal monaco tedesco Otlone di Sant'Emmerano attorno alla metà del secolo XI e tuttora inedita. Si tratta inoltre della prima edizione critica di una Vita latina di san Nicola.
Abbiamo avuto il piacere di porgere alcune domande a Christian Giacomozzi, il quale - ci piace ricordarlo - ha assistito il prof. Claudio Magris, scrittore di fama internazionale, nella revisione della traduzione tedesca del suo romanzo «Non luogo a procedere».
 

 
Le è stato assegnato un premio, da parte della Soprintendenza per i Beni Culturali della Provincia Autonoma di Trento, prima alla sua tesi di laurea triennale dal titolo «La Legenda Sancti Romedii» e poi alla sua tesi di laurea magistrale dal titolo «La Vita sancti Remedii», riconosciuta di notevole e indiscusso interesse ai fini del rilevamento di fonti documentarie e bibliografiche del Trentino. Quando è nato in lei l’interesse per l’agiografia e in particolare l’interesse per San Romedio?
«La passione per l’agiografia e in particolare per la figura di Romedio, del quale mi sto occupando ormai da quasi sei anni, è nata, come credo accada per tutte le cose destinate a lasciare un segno, quasi per caso.
«Mi è sempre piaciuta la lingua latina, fin dai tempi del liceo. Non so stabilire se mi abbia affascinato di più il rigore con cui è strutturata la sua sintassi o il pensiero che essa ha veicolato nei secoli. Di fatto, mi è sempre risultato piuttosto facile, nonché fonte di soddisfazione, approcciarmi a essa.
«Procedendo nei miei studi, ho preso consapevolezza di come la lingua di Roma antica fosse stata anche la lingua dell’Europa e della cultura europea, almeno fino alla fine del Medioevo se non oltre, che ha plasmato chi siamo noi adesso. Lingua dell’Europa, e dunque anche lingua viva e vitale sul suolo trentino, che ad esempio ha dato i natali a uno dei più importanti agiografi mediolatini della storia, Bartolomeo da Trento, domenicano attivo attorno alla prima metà del XIII secolo che, con la sua opera di predicazione, divulgata criticamente solo in tempi recenti, è stato fonte per altri nomi ora assai più noti al pubblico, come Iacopo da Varazze con la sua Legenda aurea.
«Cito il nome di Bartolomeo, ma potrei farne molti altri, nella convinzione di nominare perfetti sconosciuti, almeno ai più. Esiste dunque un sottobosco di opere e autori misconosciuti se non ignorati, su cui non risplendono le luci riservate, in ambito accademico, scolastico ma non solo, alla cultura antica.
«Queste opere e questi autori, che il più delle volte non hanno nulla da invidiare a chi li ha preceduti – del resto, il Medioevo leggeva gli antichi, mentre non è mai avvenuto il contrario – possono rappresentare una vera sfida: molto spesso si tratta di fare i conti con opere inedite o mal edite, che trascinano con sé questioni affascinanti, meritevoli di approfondimenti circa la storia della loro tradizione – fino all’invenzione della stampa, rigorosamente manoscritta e proprio per questo facilmente soggetta a corruzioni e guasti – o del bagaglio culturale – fatto di letture personali, mode, ma anche inattesi colpi di scena – che le ha prodotte. In tutto ciò, mi attirava e attira tuttora l’idea di poter essere il primo a sigillare il risultato da me raggiunto, unico proprio perché si confronta con l’inedito.
«Con questa visione della ricerca in mente, giunto al tempo di pensare alla prima tesi di laurea, ho preso contatti con il prof. Paolo Gatti, ordinario di letteratura latina medievale presso il Dipartimento di Lettere dell’Università di Trento, il quale mi ha lanciato l’idea di lavorare su Romedio e la sua leggenda.
«Di lì è iniziato per me un percorso di ricerca e di scambi, professionali ma soprattutto umani, che ha allargato, giorno dopo giorno, i miei orizzonti e le mie competenze, permettendomi di acquisire autonomia di giudizio e di valutazione nel processo di ricostruzione storica e filologica.»
 
Il suo intervento verterà sulla tradizione agiografica su san Romedio, può anticiparci qualche informazione per inquadrare l’argomento?
«Romedio, almeno a partire dal XVIII secolo, è stato al centro di aspre polemiche, tese ora a destrutturare la sua leggenda, ritenuta da alcuni insostenibile dal punto di vista storico a causa di insanabili incongruenze contenute nei più antichi documenti che ne parlano, ora a difendere con ogni mezzo – anche a costo della ragionevolezza – il dettato della tradizione. Il dibattito, che va sotto il nome di Questione romediana, non è però mai andato a fondo nell’analisi della vita del santo, narrata da cinque distinte agiografie composte tra il Trentino e la Baviera tra XIII e XIV secolo. Ogni ricostruzione storica deve basarsi su documenti attendibili.
«Spetta alla filologia – e forse non solo a essa, ma è indubbio il suo indispensabile contributo – analizzare le tracce di un passato nel corso del quale molto è andato irrimediabilmente perduto, ripulire la volontà originaria di chi ha confezionato un testo dalla patina di una tradizione spesso secolare, che trascina con sé, sovente, problemi interpretativi o, per le più diverse ragioni, di censura, per offrire edizioni scientificamente fondate.
«Io e il prof. Gatti abbiamo realizzato la prima edizione critica di tutte le Vitae medievali di Romedio, provvista di contestualizzazione, traduzione e ampio commento. Essa sarà pubblicata a breve a Firenze.
«Durante questo lavoro di ricerca, patrocinato dal MiBACT, mi sono imbattuto in alcuni elementi che mi hanno permesso di riconoscere una sicura costruzione letteraria della figura di Romedio, almeno in alcune parti della sua leggenda.
«Apporti dalla tradizione agiografica relativa a sant’Antonio Abate e dalla letteratura classica con le Metamorfosi di Apuleio permettono forse di precisare meglio ciò che è historia e ciò che è fabula nella vicenda del santo.»
 

 
Chi era Romedio, da dove veniva e quando nacque?
«Secondo il racconto agiografico, Romedio sarebbe nato a Thaur, nei pressi di Innsbruck, nel IV secolo, dato l’accostamento alla figura – sicuramente storica – di Vigilio di Trento.
«Giovane rampollo di una famiglia di conti o di baroni, dopo l’ascolto, avvenuto casualmente, di un passo del Vangelo di Matteo, egli avrebbe deciso di dare nuovo corso alla sua esistenza: avrebbe così donato tutti i suoi averi alle chiese di Trento e di Augsburg e, di ritorno da un pellegrinaggio a Roma, si sarebbe ritirato in eremitaggio nella solitudine della montagna in Val di Non, spendendo il resto dei suoi anni nella preghiera e nella meditazione. Il dato storico, tuttavia, induce a collocare l’esperienza romediana attorno all’anno Mille.
«Nelle Vitae del santo si ravvisano elementi che inducono a pensare all’epoca feudale; inoltre tra X e XI secolo si registrò, in Europa e anche in Trentino, l’aumento del fenomeno dell’eremitismo.
«L’immagine agiografica e il dato storico non collimano: è opportuno perciò, nonché metodologicamente più corretto, separare l’uomo-Romedio dal personaggio-Romedio.»
 
Quando avvenne l’incontro con i due compagni Abramo e Davide e in che contesto?
«Le agiografie non sono concordi nello stabilire quando l’incontro tra i tre sia avvenuto. Per qualche autore, esso sarebbe successo prima del pellegrinaggio a Roma, per altri dopo. Ma i dati positivi derivanti dalle agiografie sono veramente modesti.
«I due sono descritti come giovani di nobile famiglia, affascinati dall’esempio di Romedio al punto tale da volerne imitare lo stile di vita, ritirandosi con lui in eremitaggio e morendo poco dopo la dipartita del santo.
«Qualche tempo fa mi sono occupato più nel dettaglio di queste due figure e ho dato alle stampe una leggenda latina intitolata ai nomi di Abramo e Davide, composta verso la fine del XVIII secolo dal francescano Giangrisostomo Tovazzi, illustre rappresentante della cultura trentina.
«Il risultato principale di quella ricerca è stato evidenziare la stretta dipendenza della narrazione del Tovazzi dalle Vitae medievali di Romedio. Non sembrano esistere altri documenti autonomi sui due santi compagni.
«Anche la storia delle loro reliquie è altrettanto incerta ed evanescente: qualcuno afferma di averle venerate nel santuario, mentre non esiste memoria storica attendibile della loro presenza lì nel corso degli anni o della loro traslazione altrove.
«C’è addirittura chi ha proposto un’identificazione di Romedio, Abramo e Davide con i martiri d’Anaunia Sisinnio, Martirio e Alessandro. Quando mancano dati concreti, è facile aprirsi a congetture e speculazioni sovente infondate. Io preferisco invece evidenziare i limiti di una ricostruzione.»
 

 
Molti sono i miracoli che gli vengono attribuiti dalla tradizione popolare. Ce ne potrebbe ricordare qualcuno svelandoci qualche curiosità?
«Il miracolo più celebre è l’addomesticamento dell’orso. Romedio, desideroso di recarsi a Trento per salutare il vescovo Vigilio, avrebbe chiesto a Davide di sellargli il cavallo, diventato però nel frattempo pasto di un famelico orso.
«Romedio non si sarebbe dato motivo di pena e, dopo aver chiesto al compagno un atto di piena fiducia, si sarebbe fatto sellare il plantigrado, con cui sarebbe sceso fino a Trento, completando il suo viaggio.
«Forse non tutti sanno, però, che questo miracolo, fondamentale per l’iconografia dell’anacoreta, è assente nelle versioni più antiche della Vita del santo. Esso, infatti, è comparso solo tardi, mediato dalle Metamorfosi di Apuleio.»
 
Da un punto di vista metodologico come ha condotto lo studio delle fonti?
«L’impostazione del mio lavoro è stata prevalentemente filologica. Esistono cinque o forse sei Vitae di Romedio, anonime tranne il breve epilogo di Bartolomeo da Trento, trasmesse da alcuni manoscritti e qualche antica stampa. Nessuna di queste testimonianze coincide con l’originale delle opere, che è andato dunque perduto nel corso dei secoli.
«Attraverso il confronto – in termini tecnici si dice collazione – di tutti questi manoscritti, conservati in varie città d’Europa – da Trento a Monaco, da Innsbruck a Karlsruhe fino a Berlino – è stato possibile ricostruire il testo delle leggende secondo la forma che, con ragionevole sicurezza, si può ritenere risalente alla penna del loro autore.
«Lo scambio con il prof. Gatti e con altri illustri studiosi mi ha permesso di analizzare questioni e problemi da più punti di vista, appropriarmi di altri metodi di lavoro, ripensare ad alcuni passaggi e giungere a un risultato attendibile.
«Una volta ricostruito il testo delle leggende, ho cercato di interpretarne anche il contenuto in chiave storica e la forma in chiave letteraria.»
 
Quali sono stati i risultati principali del lavoro svolto?
«Credo che il risultato più importante del mio lavoro di ricerca sia stato quello di portare alla conoscenza del pubblico, in più occasioni, una delle più belle leggende delle Alpi.
«Ho avuto la fortuna di pubblicare diversi articoli e saggi, anche su riviste prestigiose come Hagiographica, edita a Firenze, fondata da un grande filologo mediolatinista, Claudio Leonardi, originario di Sacco di Rovereto.
«Ho tenuto qualche conferenza pubblica e ho partecipato a un seminario interdisciplinare presso l’Università di Trento. Sono stato addirittura coinvolto nel documentario Il tempo del silenzio, su Romedio e il suo santuario, diretto dalla regista trentina Katia Bernardi su commissione della Soprintendenza Provinciale per i Beni Culturali.
«Ora sono in attesa di correggere le bozze prima della pubblicazione del volume contenente tutte le edizioni delle Vitae del santo. Agli inizi di questa avventura, mai avrei potuto immaginare una tale ricchezza di risvolti e ricadute.
«Ma le questioni da trattare erano veramente molte, lasciate nella polvere per secoli, in attesa che qualcuno ci mettesse mano. Il risultato, mi pare, è stato apprezzato.»
 

 
Quali sono state le principali difficoltà affrontate?
«Ogni edizione di un testo antico trascina con sé infinite problematiche. Il contesto culturale che ha prodotto un’opera è diverso dal contesto in cui vive lo studioso che la analizza.
«Diversa è la lingua usata, in un’epoca, quella medievale, in cui il latino era ben lontano dal rigore normativo dell’età classica. Diversa è anche la storia della tradizione dei testi: di alcune opere esistono centinaia di codici, di altre un unico manoscritto se non, addirittura, solo qualche citazione indiretta.
«Di alcune opere conosciamo l’autore, cosa che ci permette di contestualizzare meglio le circostanze della composizione e di adattare abitudini grafiche e linguistiche alla nuova situazione; di altre, invece, non sappiamo nulla. Tutti questi punti devono essere ben chiari prima di intraprendere qualsiasi discorso.
«È importante, in una ricostruzione, distinguere le ragionevoli sicurezze dalle supposizioni, evidenziando sempre i limiti di ogni ragionamento. Questa, secondo me, è la traccia che orienta la ricerca in campo filologico.
«Il risultato è l’edizione di un testo, ma la condizione di partenza è potenzialmente infinita, spesso influenzata anche da scoperte che possono complicare il quadro. Sotto questo punto di vista, più che di difficoltà, dunque, parlerei di stimolo a mettersi continuamente in discussione.
«Ciò non toglie, tuttavia, che a volte ci siano degli ostacoli difficili da superare, dettati dal fatto che non tutti hanno la stessa percezione del valore della ricerca. Nel mio caso, è da più di un anno che tento di accedere a un archivio privato in Val di Non, riconosciuto di interesse storico regionale dall’ente pubblico, per recuperare un antico manoscritto con una Vita di Romedio di cui si sa, purtroppo, poco.
«L’archivio, stando alla normativa, dovrebbe essere riordinato e accessibile agli studiosi, ma a oggi non mi è stato possibile consultare il codice né ricevere altre informazioni.
«Cultura dovrebbe significare apertura, mentale nonché fisica dei luoghi che hanno trasmesso la memoria. La ricerca soffre di mancanza di finanziamenti ma, spesso, anche di sensibilità.»
 
Lei è laureato in Filologia e Critica Letteraria presso l’Università di Trento, che consiglio si sentirebbe di dare a chi volesse intraprendere questo interessante percorso universitario?
«Il consiglio che rivolgo a qualsiasi studente, avendo anche la fortuna di essere insegnante da qualche anno, è di diventare padrone del proprio percorso di crescita. Cogliere gli insegnamenti, le letture, gli approfondimenti, le scadenze e gli impegni didattici come occasioni in cui maturare il proprio pensiero e costruire la propria visione del mondo.
«Abbiamo bisogno di persone che riescano a dare nuove letture del mondo che ci circonda, se vogliamo che qualcosa cambi. I nostri piedi poggiano su una storia millenaria, che è indispensabile conoscere per radicare qualcosa di stabile.
«Ma nella continuità è bene cercare anche la discontinuità, affinché si dia progresso. Ognuno, purché sia disposto a dedicare tempo alle cose e a farsi trascinare dalla curiosità, può raggiungere un risultato valido, che da personale può diventare collettivo.»
 

 
Un’ultima domanda: a cosa sta lavorando e quali sono i suoi progetti futuri?
«In questi mesi sto ultimando la mia tesi di dottorato, che verte ancora sull’agiografia, anche se è dedicata a una questione molto più complessa di Romedio. Sto infatti allestendo la prima edizione critica di una Vita latina di san Nicola di Myra, composta da un monaco benedettino di origine bavarese, Otlone di Sant’Emmerano, all’incirca tra il 1055 e il 1062, ovvero trent’anni prima che il santo diventasse il patrono di Bari.
«Anche nel corso di questa ricerca ho scoperto diversi elementi, di cui vorrei dare conto in qualche saggio o articolo a parte. Quando si scava nel passato, è facile imbattersi in questioni inedite, che è bene riportare alla luce. Perciò vorrei anche realizzare l’edizione di una breve Vita di san Vigilio, anch’essa dimenticata, che ho scovato casualmente, mentre ero intento ad approfondire un dettaglio sulla leggenda di Romedio, in un manoscritto conservato alla Biblioteca Comunale di Trento, il quale reca inoltre una Vita di santa Massenza che invece uscirà, a mia cura, a breve.
«Ci sarebbe poi da approfondire anche la questione della tradizione agiografica in Alto Adige. Ma la letteratura latina medievale non si riduce alla sola agiografia: proprio per questo motivo, da qualche tempo ho iniziato a interessarmi alla lessicografia e, con ogni probabilità, curerò una nuova edizione di un’antica raccolta di sinonimi. Chissà cos’altro verrà fuori.»
 
Daniela Larentis - [email protected]