Galas Conosser/ 6 – L’enciclopedia dei Trentini per i Trentini
Sesta puntata sull’analisi semiotica del linguaggio trentino corrente
Prosegue la dotta analisi comparata che il nostro Cornelio Galas conduce ricostruendo la semiotica del parlare trentino, con particolare attenzione alla sintassi, alla grammatica e alla fonetica
Anche questa volta ci siamo permessi di aggiungere le nostre osservazioni, ma solo per dovere di completezza e senza nulla togliere all’encicolpedico Galas.
FOGAMERDE – Si tratta dello scarabeo stercorario. Insetto che evidentemente ha nello sterco il suo habitat naturale. Ma «fogàr» (o fodegàr o ancora sfodegàr) sta per frugare. Quindi il significato di ficcanaso. O peggio di chi ama invischiarsi nello sporco. Non in senso lato, ben s'intende.
MAGNANUGOLE – Chi vive tra le nuvole, perdigiorno. Insomma per aria, elemento del quale addirittura si alimenta.
NAR A PASCOLAR LE GALINE DE L’ARZIPRET – Non vuol dire dare una mano all’arciprete nel pollaio (o al parroco, o comunque al sacerdote del paese), ma di fatto morire, trapassare, finire sotto terra.
TE BATO VIA I COIONI E GHE I DAGO AL GAT CHE ‘L FAGA MATERIE – Minaccia grave. Con prospettive non solo di cruente evirazioni, ma anche di spettacoli orrendi. Col gatto che gioca con… poveri resti della virilità perduta. [Nota 1]
TI TASI CHE TE GH’AI ANCORA LA PEZOTA BAGNADA – (vedi anche pezotèr, pezotèra, pisòt, pisòta). Invito a un ragazzo o a una ragazza, presuntuosi, saputelli, a ricordare la loro inesperienza. Anche nei bisogni fisiologici, primari, infantili.
DESFIZAR LE BUDELE – Mangiare in abbondanza. In modo da togliere l’intestino da una sorta di raggrinzimento. Da notare che «desfizàr» vuol dire sfilare l’ago. Quindi in senso figurato si tratta di rompere le cuciture e… liberare il passaggio del cibo. Vedi anche «brontolàr de budèle», gorgogliare degli intestini, a causa della fame.
RASPAR SU TUT – Raspàr sta per limare, usare la raspa, ma anche tirar su. In questo caso significa proprio mangiare tutto quanto c’è nel piatto, senza lasciarvi nemmeno una briciola. Limando tutto… ciò che è commestibile. [Nota 2]
NA SGEVA DE FORMAI – Una scheggia di formaggio. Assaggio che prelude sempre a «Oscia, dàme n’altra sgéva de sto formài bòm».
NA SBERLA DE POLENTA – Nulla a che fare con le torte in faccia. Sbèrla sta qui per «grande porzione». Anche sbèrla de carne, sbèrla de formài (diverso, molto più abbondante dalla sgèva). [Nota 3]
PREPARAR EL CAFE’ BON – Il caffè buono è semplicemente quello che non è caffè di orzo (o de zicòria) o quello che adesso si chiama decaffeinato. Insomma il caffè vero, non suoi derivati o sostituti.
FAR EL FIOZ – Letteralmente: fare il figlioccio. In realtà in questo caso il Padrino è quello che sottrae la porzione di un altro commensale. O perché è lento a servirsi o perché è arrivato tardi a tavola.
L’È ’N PORO TÉTA – Tonto, imbambolato, anche «tetìna». [Nota 4]
POCI MANINA – Bacia la manina. Ringrazia il cielo che è andata bene. Frase spesso accompagnata dal gesto di baciare la mano prima sul palmo e poi sul dorso. Vedi anche: «basàrse le man».
BELE CHE FINÌ ‘L FILÒ – Chiusura dei discorsi, della festa, della pacchia. Filò erano le veglie invernali dei contadini nella stalla. In queste riunioni ci si dedicava al desvolzò, ovvero a dipanare le matasse dei filati di lana, canapa o cotone, si sgranavano le «mànze de zaldo», si raccontavano storie ai bambini, si ascoltavano i racconti degli anziani. Far filò: chiacchierare, raccontarsi fatti e novità.
Note della nostra redazione.
Nota 1: C’è anche una minaccia più feroce e molto più volgare. Anzi, volgarissima, maialerrima. È molto usata ma solo perché non si conosce il reale significato: «Ghe la fago stagnàr». Significa letteralmente «Gli scopo la moglie fino a metterla incinta».
Nota 2: C’è un altro modo di dire legato alla Provincia autonoma di Trento. Nell’ultima Giunta dell’anno, quando so sa cosa è rimasto, si inseriscono tutte le delibere fino ad arrivate al tetto. Questa giunta si chiama «Spazasutut».
Nota 3: A volte si dice anche solo «damene na sberla». Ma da quando si è perso il significato iniziale si usa meno, perché si rischia di prendere uno sberlone.
Nota 4: A volte non si unisce l’aggettivo «poro» o «por». Stranamente i riferimenti allegorici agli organi sessuali vengono spesso usati in senso spregiativo all'interno di una medesima accezione. Basti pensare a l'è en gran figo o l'è en pòr mona.