SkyWine 2012: Trentino, nascerà un «vino della montagna»?
I risultati del forum che si è svolto all’interno delle iniziative attivate lo scorso fine settimana ad Ala
Vignaioli, artigiani, produttori, enologi, politici, giornalisti, wine blogger e consumatori sono stati invitati domenica 14 ottobre a SkyWine per provare a rispondere a questa domanda e offrire il loro punto di vista con interventi brevi, rapidi e concisi.
Perché da troppo tempo il mondo del vino va discutendo su queste e altre questioni, ma ora è arrivato il momento di trarre delle conclusioni, di trovare dei punti fermi su cui fondare le future prospettive di sviluppo.
Un’esperienza nuova e originale per scoprire il pensiero di chi produce e diffonde il vino che beviamo.
E riflettere su questioni importanti che interessano il settore vinicolo locale, da tempo alla ricerca di una nuova governance e anche una nuova identità.
Alcune considerazioni suonavano come provocazioni, ma il loro scopo era quello di riportare l’attenzione al tema centrale della questione: il vino.
In generale è emerso che il vino è un descrittore della cultura di un territorio, in primo luogo per ragioni fisiche, perché è legato alla zona d’origine, al terreno, al clima; ma in senso più ampio anche perché è espressione di una gente, di un’intera regione.
Lo stesso sistema attuale della viticoltura trentina è il risultato dell’applicazione di antichi saperi e tecniche colturali tramandate dalla civiltà contadina, che col tempo si sono specializzate, raffinate ed evolute.
La viticoltura, poi, è un fenomeno che non si limita alla produzione del vino, ma che agisce sul territorio dal punto di vista agricolo, lo plasma e lo modifica, interviene su di esso.
Per questo motivo e poiché le coltivazioni sono strettamente legate al territorio su cui si innestano, è chiaro che l’equilibrio tra le due componenti – agricoltura e natura – è fondamentale per garantire prospettive di sviluppo sostenibile e a lungo termine e di conseguenza anche di essere competitivi a livello economico.
Attualmente, però, il vino trentino non sembra avere un legame saldo con proprio territorio e questo è alla base di numerosi problemi.
Un passo da fare in tal senso sarebbe quello di legare maggiormente – a cominciare dal nome – il prodotto con il luogo di provenienza, perché è il territorio il vero protagonista e come tale va valorizzato e comunicato.
Due esempi pratici: non Teroldego ma Rotaliana, non Marzemino ma Vallagarina.
Basti pensare al caso del Trentodoc: nel settore degli spumanti il territorio di origine viene spesso a sparire, ma visto che in Trentino questo tipo di prodotto ha ottime potenzialità di sviluppo, si potrebbe provare a far diventare la provincia di Trento come una zona specifica dello spumante.
E poi bisogna far capire che il Trentino è una realtà complessa, con molte identità e molti protagonisti e che dietro ad ogni prodotto ci sono delle persone, storie di vita vissuta con dedizione.
Impossibile a questo punto non considerare il ruolo chiave della comunicazione, fondamentale nel diffondere qualitativamente e quantitativamente il vino trentino.
Affinché il “locale” diventi “globale” («glocale»), tutto ciò che si produce in una zona deve essere comunicato, se ciò non avviene il messaggio non passa e non accade nulla.
Per avere successo oggi nel mercato globale – ma potremmo restare anche a quello nazionale, il concetto è lo stesso – occorre essere identificabili.
Il modo più efficace affinché l’identificazione sia immediata sembra essere quello di unire indissolubilmente il marchio con il territorio.
Questa strategia è interessante anche se si considera che il consumatore medio – in Italia come all’estero – manca di «educazione», se non è consigliato adeguatamente spesso sceglie il vino in base al luogo di provenienza, alla gradazione alcolica, all’etichetta.
Un esempio su tutti: diversi prodotti si fregiano delle denominazioni “biologico” o “biodinamico” e, pur trattandosi di concetti ben distinti (come ben sanno i produttori), per il consumatore medio tutto sommato sono la stessa cosa.
Quindi, una corretta comunicazione deve agire anche su questo: offrire al consumatore una preparazione di base, in modo che quando egli si trova in un bar o in un ristorante sappia cosa chiedere.
Questo passo è fondamentale, perché se un prodotto è diffuso nei locali e nella piccola e media distribuzione è perché i clienti lo richiedono.
L’attività di promozione dei vini trentini dovrebbe trovare presto un appoggio istituzionale in Trentino Marketing con la collaborazione del Consorzio dei vini e dell’Istituto Trento doc e si auspica che questa promozione avvenga nel segno di un costante coinvolgimento degli organismi che rappresentano gli operatori del settore.
Ma nel frattempo i piccoli produttori cosa fanno? In generale c’è la tendenza ad attribuire a internet e ai nuovi mezzi di informazione un grande ruolo nelle dinamiche di promozione.
In questo senso alcuni produttori in particolare hanno scoperto che è fondamentale lanciarsi nei nuovi social media, insomma, lavorare sull’innovazione e tenersi sempre aggiornati.
E questo significa frequentare in maniera assidua blog vari, facebook, twitter, insomma, tutto quello che la rete può offrire.
Il resto lo fanno i wine blogger, che spesso hanno un folto seguito di lettori, che tengono continuamente stimolati con interventi interessanti e con il continuo aggiornamento dei contenuti.
Un’altra causa importante delle difficoltà attuali del settore è certamente la corsa al ribasso dei prezzi, praticata negli ultimi anni per cercare di risultare competitivi sui mercati esteri.
Ma questo si è dimostrato essere un modo errato di essere competitivi e alla lunga non ha ripagato.
Anzi, una regione come il Trentino, che eccelle per qualità in tanti settori, lo dovrebbe fare anche nel vino.
Anche perché a lungo andare, assecondando solo il mercato, i punteggi delle gare e i gusti dell’ipotetico «bevitore globale», si perde di vista il legame con la propria terra e la propria tradizione.
La strada giusta è, invece, cercare di insistere sulla qualità, abbinata al giusto prezzo.
Altrimenti si rischia il tracollo, insidiati da gruppi enologici del sud del mondo, una concorrenza che è impossibile pensare di battere sul piano dei prezzi.
Il Trentino dovrebbe puntare di più sulla sua peculiarità, cioè quella di essere una regione che ospita nel medesimo territorio colossi enologici e cooperative, accanto a piccole e interessanti realtà, che si sono votate a un tipo di produzione mirata, curatissima, di qualità eccellente.
I loro prodotti basano la loro particolarità, oltre che sulla qualità intrinseca del vino, anche su aspetti emozionali, che rimandano a bellezze ambientali, storie, sensazioni, aspetti che da soli valgono il prezzo (talvolta anche elevato) dei loro vini.
E questo ci riconduce ancora una volta all’importanza del legame con il territorio. In questo discorso rientra anche la scelta di alcuni viticoltori di convertirsi al biologico, spinti da convinzioni personali che vanno dal desiderio di un contatto diverso con la terra e la vite, a quello di difendere la biodiversità, a quello di produrre uva genuina, perché non credono ai metodi chimici e alle conseguenze nefaste che possono avere sulla salute del loro stesso luogo di residenza.
Nessuna motivazione economica, quindi, perché, come loro stessi affermano, con il biologico non si diventa né più ricchi né più poveri; ma ora che hanno intrapreso questa scelta, non tornerebbero più indietro.
Insomma, per attuare un’inversione di rotta è necessario ripensare alcuni modi di agire e mettere in atto dei cambiamenti, partendo in primo luogo dalla corretta valorizzazione delle proprie risorse.
Tutto questo con un reale coinvolgimento delle parti, affinché il vino trentino possa finalmente diventare espressione fedele della nostra specificità territoriale.
Giada Vicenzi