Pensare con chiarezza – Di Daniela Larentis
Non è sempre facile, soprattutto con il sopraggiungere della calura estiva
Giovanni Verga.
Pensare con chiarezza non è sempre facile, specie con l’afa di questi giorni, ma esiste una sorta di divertente manuale con tanto di consigli pratici per le varie occasioni, un libro scritto da Rolf Dobelli intitolato «L’Arte di pensare chiaro» (edito da Garzanti).
È piuttosto spassoso leggere le risposte che lo scrittore (fra le varie cariche ed esperienze lavorative è interessante ricordare che lui è fondatore di Zurch.Minds, community di personalità di spicco nel mondo scientifico, della cultura e dell’economia) dà alle cinquantadue domande contenute nel libro.
Fra queste sono stati scelti alcuni argomenti particolarmente intriganti, uno dei quali riguarda proprio la facoltà di scegliere.
L’autore introduce l’argomento riportando l’esempio di sua sorella, la quale avendo da poco acquistato casa è presissima nella scelta delle piastrelle.
Fa presente qualche riga più avanti che nel passato per qualsiasi prodotto non c’era tutta la varietà di cui si dispone ora e non si fatica a ricordarlo: pensiamo ai primi cellulari, tanto per fare un banalissimo esempio, o semplicemente a qualsiasi genere alimentare.
L’osservazione che Dobelli fa, del tutto condivisibile, è che la troppa scelta conduce spesso alla paralisi.
La saggezza popolare insegna che «el masa l’è el fradel del miga» detto in dialetto trentino, ossia «il troppo è il fratello del niente».
Molto più spesso di quanto si vorrebbe ammettere chi ne fa le spese sono i figli; quante volte li si sommerge di troppe cose, frastornandoli e destabilizzandoli, dimenticando che dando loro troppo in realtà è come non dare niente.
Privandoli dell’esperienza di desiderare qualcosa si toglie loro una grande opportunità, ossia la voglia di lottare per raggiungere un sogno o appagare un desiderio (che poi questo sia grande o piccolo poco importa, ormai il danno è fatto, il meccanismo a orologeria è innescato e la bomba non potrà che esplodere in un tempo difficilmente prevedibile…).
A pag. 72 Rolf Dobelli afferma: «… troppa scelta rende infelici; come potete essere sicuri di aver scelto bene fra duecento opzioni? Risposta: non lo saprete mai. Più scelta c’è, più si è insicuri e infelici a scelta effettuata. Che fare?
«Pensate bene a quello che volete prima di vagliare le diverse opzioni. Annotate su un foglietto i vostri criteri e attenetevi a quelli. E sappiate che non esiste la scelta perfetta.»
«Massimizzare – a fronte di una scelta troppo vasta – è sintomo di un perfezionismo irrazionale. Accontentatevi di una buona soluzione. Sì, anche nella scelta del partener.
«Volete solo il meglio? In tempi di grande insicurezza, buono abbastanza è il meglio (tranne, ovviamente, che nel mio e nel vostro caso).»
Così dichiara l’autore, passando qualche pagina più in là ad analizzare l’effetto proprietà, nel capitolo intitolato «L’effetto proprietà (Endowment) – Non attaccatevi alle cose».
Secondo lui semplicemente il fatto di possedere qualcosa, a maggior ragione qualcosa a cui si è emotivamente legati, le attribuisce valore, non solo, ma sottolinea che abbandonare le cose è molto più difficile che accumularle.
Lo sanno bene molte donne quando è l’ora di riordinare l’armadio per il cambio di stagione e di far spazio ai nuovi acquisti: ci sono dei capi che non si indosseranno mai più eppure non si riesce a separarsene!
Quante cose del tutto inutili si trovano dentro le nostre case e quanto coraggio, talvolta, occorre per sbarazzarsene!
A pag. 79 Dobelli scrive: «Se vi candidate per un impiego e non ottenete il posto, avete tutte le ragioni per essere delusi».
«Se sapete di aver lottato fino all’ultimo prima di ricevere un rifiuto, sarete ancora più delusi, ma vi sbagliate. Perché o avete ottenuto il posto o no, il resto conta ben poco.
«Quindi, non attaccatevi alle cose. Considerate i vostri possessi come qualcosa che, provvisoriamente, vi ha dato un mondo, sapendo però che da un giorno all’altro può togliervi tutto.»
A questo punto, a proposito dell’attaccamento ai beni materiali e al desiderio di accumularli, viene in mente una novella di Giovanni Verga (facente parte della raccolta «Novelle rusticane»), la quale termina con la desolata e celeberrima frase del vecchio contadino Mazzarò, il quale rivolgendosi alla sua roba, la terra accumulata durante la sua vita, così impreca: «Roba mia, vientene con me!».
La sua disperazione poco gli serve, poiché nessuno può portare i propri averi nell’aldilà, e quell’uscire febbrile in cortile, colpendo le anatre e le galline con la furia di un matto non fa che suscitare pena per un uomo che nella vita, pur attraverso il duro lavoro e i sacrifici, non si è dedicato che all’accumulo.
Daniela Larentis
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