Vino: Il J’accuse dei diplomati di San Michele. – Di Angelo Rossi

Nel periodo delle vacche grasse non sono state progettate azioni alternative. I sei anni del corso di vitienologia non è comprimibile nei 5 anni della riforma

Il tradizionale incontro d'inizio anno fra tecnici che si è tenuto nei giorni scorsi a San Michele, il centro culturale dell'agricoltura trentina, si è svolto all'insegna di due argomenti di stretta attualità.

Da un lato, la riforma scolastica Gelmini che, nel nobile intento di razionalizzare l'offerta di formazione nel nostro Paese, rischia di mortificare l'essenza stessa dell'Istituto Agrario, ridimensionando la specializzazione in viticoltura ed enologia che è stata fin dalla fondazione nel 1874 il suo asse portante e sul quale ha costruito la sua indiscussa notorietà.
Dall'altro, la grave situazione di crisi in cui è entrato lo stesso settore vitivinicolo trentino.

Non che gli altri comparti agricoli siano affaticati da problemi minori, alcuni dei quali si trascinano da oltre 30 anni.
Ad esempio la zootecnia di montagna, che di fatto è stata affossata negli anni '70 dal piano agricolo europeo voluto dall'olandese Sicco Mansholt, piano volto a favorire lo sviluppo industriale degli allevamenti non meno dei suoi derivati come il latte ed il formaggio.
E problemi, forse più contingenti, ne registra anche il comparto frutticolo.
Ma il focus di Udias - l'Unione Diplomati di San Michele - è stato il comparto vitivinicolo entrato in crisi dopo oltre un decennio di espansione ed elevata redditività.

Il monitoraggio del comparto vitivinicolo è durato per tutto il 2009 giungendo infine anche ad abbozzare le prime ricette per rimettere in pista una delle colonne portanti del sistema agricolo trentino.
La crisi è strutturale, si è detto, e non contingente come poteva lasciar intendere il ciclone della finanza virtuale abbattutosi sull'economia mondiale.
Se è strutturale, compete a noi e solo a noi trovare i rimedi.

Ma com'è possibile che dopo tanti anni di vacche grasse ci si accorga che le criticità sono annidate nella nostra organizzazione e non dipendano invece da fenomeni molto più vasti sui quali abbiamo scarsa capacità di intervento? Siamo o non siamo solo l'1,2% del vino italiano? Ed allora, perché battere la grancassa della crisi?

Il fatto è che pur essendo una parte minimale del vino italiano, in Trentino si sono sviluppate negli anni alcune fra le migliori e più efficienti aziende «marketing oriented», come si definiscono quelle che hanno capito come si deve affrontare il mercato globale, e come riescono a fare nonostante le difficoltà oggettive di orientare la produzione agricola al mercato.
Comunque sia, i risultati hanno dato loro ragione.

E allora, dove sta il problema?
Il problema è che il prodotto, attorno al quale si è costruito il business, si chiama essenzialmente Pinot grigio delle Venezie, un vino ottenuto perlopiù in Veneto e commercializzato sapientemente da queste nostre aziende, con ricaduta economica spalmata sui bilanci delle uve trentine.
Negli ultimi anni però gli Stati Uniti, mercato di riferimento, hanno iniziato ad affrancarsi da questa dipendenza producendo in proprio la metà del fabbisogno interno, mentre altri competitors italiani si sono attrezzati per erodere quote di mercato ai nostri.
Il resto lo hanno fatto l'apprezzamento dell'euro sul dollaro, il calo generalizzato dei consumi, la crisi per cui il vino cattivo scaccia quello buono e altro ancora.
Col risultato di rendere il tutto meno appetibile.

Orbene, durante il periodo delle vacche grasse, dimenticando la ciclicità dei fenomeni economici, non c'è stato spazio (o volontà) per progettare azioni alternative.
E a chi, come Udias, metteva in guardia i responsabili, è stato raccomandato di «non parlare al conducente» e di riservare invece gratitudine agli attori del business.

Gratitudine da condividere, va da sé, ma ora è di tutta evidenza il bisogno di recuperare il tempo perduto e di varare quel piano territoriale di rilancio dell'intero sistema vitivinicolo provinciale di cui ancora non si vede traccia.

Da Udias viene la disponibilità dei tecnici per collaborare alla sua definizione, sollecitando l'Assessorato all'agricoltura a riprendere il ruolo di indirizzo e coordinamento negli ultimi anni demandato alle grandi aziende.
Se del caso, anche con un rilancio del Consorzio Vini del Trentino quale espressione delle indicazioni provenienti dalla base degli imprenditori. Indicazioni che verrebbero fatte proprie, appunto, dal Piano poliennale.

In soccorso a questa proposta, potrebbe venire proprio la nuova OCM Vino europea (Organizzazione Comune del Mercato) che prevede, fra l'altro, due ipotesi operative per le imprese.
Da una parte, quelle che commercializzano vini di qualità «a marchio» aziendale dove origine e varietà del prodotto hanno un'importanza relativa.
Dall'altra, quelle che producono vini di Qualità che hanno nel territorio un plus spendibile e vincente, per un mercato tendenzialmente più domestico per interagire meglio anche col turismo.

La sfida, per il Trentino, sarà nel saper coniugare queste due anime che oggi, a livello di molte aziende, sono sovrapposte e confuse fra loro.
Una sfida che si può e si deve vincere, a patto che si segua un Piano condiviso dalla base e coordinato dall'Istituzione.

L'altro tema affrontato dall'assemblea Udias ha riguardato la salvaguardia del corso di vitienologia storicamente sviluppato in un sessennio di studi, difficilmente comprimibile nei cinque anni previsti dalla riforma Gelmini.
La formula del 5+1, o meglio quella del 2+2+2, costituisce la proposta finale sulla quale Udias ha registrato l'adesione anche dell'ex allievo Onorevole Fugatti, dopo che la disponibilità a salvaguardare il sesto anno era stata assicurata anche dall'Assessorato all'Istruzione della Provincia Autonoma di Trento.

In definitiva, un atteggiamento sostanzialmente positivo per la modernità che traspare dalla riforma, ma anche una preoccupazione per le molte situazioni specifiche che la ristrettezza dei tempi di approvazione del dispositivo di legge impedirà di definire in modo condiviso e consapevole.

Angelo Rossi