Storie di donne, letteratura di genere/ 260 – Di Luciana Grillo
Maria Serena Mazzi: «La mala vita - Donne pubbliche nel Medioevo» – Un testo amaro che rivela impietosamente la crudeltà umana (prevalentemente maschile)
Titolo: La mala vita. Donne pubbliche nel Medioevo
Autrice: Maria Serena Mazzi
Editore: Il Mulino 2018
Genere: Storia nazionale
Pagine: 184, Brossura
Prezzo di copertina: € 14
Indagando il mondo della prostituzione femminile nel Medioevo, l’autrice si chiede perché le donne svolgano questa attività: forse per denaro? Forse perché costrette da altri? Forse per spirito di indipendenza?
È difficile trovare una risposta convincente, ma è evidente che queste donne erano presenti ovunque, anche se con nomi diversi: in Castiglia erano putas, rameras, mugeres erradas; in Toscana donne cortese e donne di partito, a Ferrara mammole, nel sud della Francia femmes dissolues, bagasse, putaine.
Comunque e dovunque erano donne che vendevano il loro corpo, in luoghi nascosti o in postriboli ufficiali.
Nei confronti di queste donne, solo disprezzo, tanto che Machiavelli fu indotto «a vomitarle addosso pagandone la prestazione a questo modo» e Tommaso d’Aquino scrisse che «la donna pubblica è, nella società, ciò che la sentina è sulle navi, e la cloaca nel palazzo». Assente la pietà cristiana.
«La sessualità è dunque un comportamento che la Chiesa si è impegnata a disciplinare e che permette solo all’interno del matrimonio poiché il vincolo coniugale depura dal peccato l’atto sessuale. Purché… sia compiuto nel debito modo».
Ma, dal momento che comunque la prostituzione non si può debellare, «la Chiesa cominciò un’opera di conversione e soccorso, rivolta verso le donne pubbliche».
Parallelamente, nei confronti delle donne si scatenava anche ogni sorta di violenza che – come accade ancora – non sempre veniva resa nota, «per vergogna o paura».
Una indagine a questo riguardo fu effettuata negli archivi giudiziari di Digione (sec. XV), ma si ha ragione di credere che le violenze contro le donne fossero praticate in ogni luogo, a Venezia come in Sicilia, a Firenze come in Provenza o in Catalogna.
E se anche qualche donna denunciava la violenza subita, «l’indulgenza nei confronti della giovinezza, degli ardori giovanili, degli impulsi lascivi dei maschi non sposati sembra essere una costante nell’atteggiamento di comprensione e di discolpa di coloro che devono giudicare e reprimere i reati».
A partire dalla metà del 1300, in Europa si diffusero i postriboli pubblici la cui presenza sul territorio fu segnalata anche dai nuovi nomi delle strade: Malacucina, Malborghetto, Inferno, eccetera.
Le donne che li abitavano erano vincolate a regole e restrizioni; molte decisero di lavorare segretamente, qualcuna coinvolgeva anche le figlie, qualche altra era protetta dal marito, altre infine erano libere e ricevevano gli uomini nelle loro abitazioni.
Numerose sono «in letteratura le brutte avventure capitate a mercanti, viaggiatori, forestieri, a casa di donne di facili costumi…». Il ricordo di Andreuccio da Perugia è «automatico»!
Queste donne, sole e disprezzate, vivevano spesso in condizioni di miseria e diventavano facile preda di «criminali che intendevano vivere alle loro spalle».
L’autrice riporta notizie di processi a carico delle prostitute, accusate di facili costumi da uomini respinti e vicine di casa ed elenca alcune regole riguardanti l’abbigliamento, ad esempio: «nei confronti delle meretrici lasciavano cadere ogni divieto, permettendo loro di indossare capi proibiti invece alle donne dabbene, perpetuando in questo modo comunque una divisione, una differenza che le avrebbe rese diverse e riconoscibili… era imposta la vergogna del sonaglio sulla spalla… in chapo uno velo quadro almeno di braccia uno di colore rosso, verde, giallo o sbiadato» e gli ambienti da frequentare: «erano diffidate dall’abitare in alcune vie… o nelle vicinanze di un luogo di culto… si arrivava a prevedere la fustigazione per le donne trovate in luoghi non consentiti… a Carcassonne e a Tolosa furono relegate fuori dalle mura cittadine…».
E furono accomunate agli ebrei e ai lebbrosi e, anche nei secoli successivi, costrette a vivere in luoghi chiusi, delimitati da muri (particolarmente in Spagna) o boschetti, giardini, «una sorta di luogo ameno» in Francia, mentre «le città italiane si adattavano ai modelli indicati».
I postriboli venivano gestiti da intermediari o dalle stesse municipalità, «orari, festività, giorni di astensione obbligata dal lavoro, proibizioni da rispettare erano minuziosamente fissati… i permessi di uscita sottoposti ad alcune condizioni…»
Maria Serena Mazzi non trascura nulla, indica numeri e fatti, cita le trasgressioni e le punizioni, la provenienza delle donne pubbliche, le correnti migratorie che facevano spostare uomini e donne, mercanti e meretrici, la clientela («giovani e vecchi, cittadini e campagnoli…»), le categorie a cui era vietato l’accesso ai postriboli («uomini sposati, religiosi, ebrei e musulmani»), le prediche del Savonarola.
Le meretrici erano comunque condannate a una vita dura, subivano umiliazioni e offese, erano «prede adatte, fragili, ricattabili», nei loro confronti non erano previste indulgenza, comprensione, solidarietà.
Infelici sicuramente, e non per scelta.
Questo è un testo amaro, complesso; è un saggio articolato, ricco di annotazioni utili, che rivela impietosamente la crudeltà umana (prevalentemente maschile).
Luciana Grillo – [email protected]
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