Il futuro del Trentino, fra crisi e autonomia/ 3 – Di Nadia Clementi
Ne parliamo con l’assessore all’Industria, Artigianato, Commercio e Cooperazione, dott. Alessandro Olivi, candidato alle Primarie provinciali per il Centrosinistra
Come abbiamo anticipato, parliamo con i principali candidati alla presidenza della Provincia autonoma di Trento.
Abbiamo già parlato con Ugo Rossi e con Mauro Gilmozzi. Ora è la volta di Alessandro Olivi, assessore della Provincia autonoma di Trento all’Industria, Artigianato, Commercio e Cooperazione, dott. Alessandro Olivi.
Alessandro Olivi è candidato alle primarie del Centrosinistra insieme ad altri politici della sua coalizione. Colui che uscirà vincente candiderà per la guida del Trentino per i prossimi cinque anni.
Curriculum Alessandro Olivi, nato ad Ala 47 anni fa e cresciuto tra Rovereto e Folgaria, dove sono stato Sindaco, la prima volta a 29 anni, per tre mandati. La mia passione per la politica e per la nostra Autonomia nasce fin da ragazzo. Mi sono laureato in Giurisprudenza, presso l'Università di Bologna, discutendo una tesi su I Diritti Culturali nello Statuto d'Autonomia del Trentino-Alto Adige. Dopo la laurea ho svolto la pratica forense e sono diventato avvocato nel 1996. Ho iniziato a maturare la mia esperienza a livello comunale impegnandomi sul fronte della valorizzazione degli Enti locali svolgendo anche le funzioni di Vicepresidente vicario del Consiglio delle Autonomie Nel 2008 sono stato eletto in Consiglio provinciale nella lista del Partito Democratico del Trentino e sono attualmente Assessore all’industria, al commercio, all’artigianato e alla cooperazione della Provincia autonoma di Trento. Nel mio percorso ho sempre cercato di coniugare politica e professione. Nel (poco) tempo libero ogni intervallo è utile per la montagna e lo sport. Alessandro Olivi |
Assessore Olivi, anzitutto le chiediamo di fare un riassunto commentato della sua esperienza da assessore provinciale sostanzialmente all’Economia, in un periodo in cui la Grande Crisi ha messo a dura prova anche la struttura produttiva del Trentino e la capacità di reazione della Provincia autonoma di Trento.
«In questi ultimi cinque anni, nei quali mi sono sentito orgogliosamente parte di un progetto politico collettivo che ha avuto nella coesione sociale, nell’innovazione, nello sviluppo i suoi principali cardini, mi sono occupato di attività economiche nell’ambito del Governo della Provincia.
«Ho quindi cercato di stare il più possibile a contatto con il mondo del lavoro e dell’impresa veri. Non si può infatti conoscere l’economia e il tessuto imprenditoriale se non si ha l’umiltà di andare nei luoghi reali della produzione.
«Ho conosciuto un Trentino produttivo multiforme, nel quale, molto spesso si ha la fortuna di veder convivere, talvolta anche fisicamente in luoghi contigui, eccellenze industriali che fanno delle ricerca e dello sviluppo la ricetta per superare la crisi, un artigianato operoso che si espande puntando su innovazione e formazione e piccole eccellenze dove la creatività e la cultura plasmano i prodotti.»
Cosa è cambiato in Trentino in questi ultimi cinque anni? Cos’è che non sarà mai più come prima?
«Da quasi cinque anni lo scenario globale economico e sociale dominante è rappresentato dalla crisi insidiosa che ha impattato anche sul Trentino. Si tratta ormai di una vera e propria messa in discussione di un modello di sviluppo che ci dovrebbe ormai convincere a modificare anche il lessico corrente e parlare sempre meno di crisi e più di cambiamento strutturale degli equilibri economico-sociali i quali saranno profondamente diversi da quelli che abbiamo conosciuto in precedenza.
«Questo per dire che anche e soprattutto per riuscire ad interpretare il cambiamento in atto la politica deve proporre nuovi paradigmi. La nostra Autonomia dovrà quindi essere sempre più strumento e laboratorio per sperimentare nuovi modelli e nuove vie.»
Quali sono le iniziative che lei ha messo in campo indipendentemente dalla Grande Crisi?
«Nell’ambito delle mie competenze ho cercato di elaborare e attuare specifiche politiche innovative, in particolare nel mondo delle imprese e del lavoro, tra le quali gli interventi orientati al rafforzamento strutturale e allo sviluppo della competitività del sistema economico locale, attraverso alcune riforme coraggiose come quella degli incentivi alle imprese, quella del settore minerario e del commercio che ha coniugato modernizzazione e sostenibilità sociale.
«Tra le azioni promosse per difendere la qualità del lavoro tengo a ricordare lo strumento delle procedure negoziali che ha previsto, unico esempio in Italia, l’accordo tra aziende, sindacato e istituzioni per garantire le ricadute sociali degli aiuti alle imprese, in larga misura finalizzati al sostegno di progetti di ricerca.»
Può scendere in dettaglio e spiegare come sono cambiate le logiche di sostegno alle imprese?
«Nel luglio 2011 il Consiglio provinciale ha approvato la legge relativa alla nuova politica degli incentivi con la consapevolezza che la nostra Provincia, proprio in un momento di profondi cambiamenti economici e sociali globali, debba disporre di una nuova e più adeguata cassetta degli attrezzi per sostenere il tessuto delle imprese.
«Si è quindi intrapresa una strategia diversa rispetto al passato, meno conservativa, più ispirata dalla necessità di interpretare i cambiamenti e favorire investimenti che sono in grado di produrre maggiore crescita, maggiore valore economico e maggiori ricadute sociali.
«Per questo le nuove politiche pubbliche provinciali si incentrano su una nuova idea di qualità delle impresa, su una nuova idea di economia intelligente, sostenibile, inclusiva dove l’obiettivo fondamentale è quello di alzare il tasso di una produttività stagnante (anche prima della crisi).
«Si vuole quindi accrescere la competitività delle nostre imprese introducendo criteri per una maggiore selettività degli aiuti, con particolare attenzione all'innovazione, alle reti tra imprese, all'internazionalizzazione del sistema trentino, all'imprenditoria femminile e giovanile, al riequilibrio territoriale.
«L’obiettivo è quello di favorire un accesso sempre maggiore da parte delle imprese ai contributi per l’innovazione, a favore delle reti, per la qualità dell’impresa piuttosto che ai contributi per il mantenimento di un assetto tradizionale che non è più compatibile con le dinamiche di una competitività sempre più accelerata.»
La riforma del commercio porta il suo nome. In cosa consiste?
«Fin dai primi mesi della legislatura, a quasi 10 anni dall’ultima revisione organica della materia, è stato necessario lavorare ad un progetto di riforma del settore del commercio che sapesse coniugare competitività e sostenibilità sociale. Questo è avvenuto con l'approvazione della legge n.17 del 2010 i cui obiettivi erano quelli di valorizzare la rete delle piccole e medie imprese e le vocazioni territoriali, favorire lo sviluppo di nuovi formati di vendita, difendere la qualità del lavoro.
«Nel dibattito pre e post approvazione della legge, qualcuno ha definito la riforma una riforma che scontenta tutti... Lo interpretammo come un segnale che ci stavamo muovendo nella direzione giusta. La legge è stata pensata infatti per non cedere alla tentazione di far prevalere interessi particolari, specifici, in un settore in cui si confrontano istanze diverse, talvolta contrastanti: quelle del commerciante e quelle della clientela, quelle della grande e della piccola impresa.
«Ci siamo subito mossi partendo dalla consapevolezza che il commercio offre opportunità economiche e, insieme, esprime una funzione sociale: infatti i negozi fanno vivere le nostre città e i nostri paesi in quanto sono luoghi di aggregazione dove si concentrano momenti di scambio e di solidarietà, in particolare fra i residenti delle comunità periferiche.
«Per questo sono state promosse politiche in favore dei centri storici e della rete dei piccoli negozi nelle aree svantaggiate e misure coerenti nella programmazione dello sviluppo delle grandi strutture di vendita.
«La riforma mira infatti a contenere l’impatto immobiliare nuovo e a valorizzare maggiormente il patrimonio edilizio esistente mettendo al riparo il commercio da una grande insidia: il prevalere degli interessi legati al business immobiliare rispetto a quelli di natura imprenditoriale e commerciale.»
Anche il cosiddetto «Fondo Olivi» porta il suo nome. Può spiegare ai nostri lettori in cosa consiste?
«Il Fondo Olivi è consistito nel contribuire ai maggiori costi che le imprese avrebbero affrontato per realizzare progetti di riorganizzazione delle loro aziende allo scopo di mantenere i livelli occupazionali esistenti.
«Il numero complessivo dei lavoratori mantenuti nelle oltre 100 medie e grandi imprese coinvolte è stato di oltre 12.000 unità.
«Nel momento più duro della crisi era necessario "tenersi strette" in tutti i modi le imprese sul territorio e cercare di evitare prevedibili licenziamenti. Sostenere poi quelle di maggiore dimensione, le più colpite inizialmente dal crollo della domanda, contribuiva anche a salvaguardare l'indotto e a contenere, per quanto possibile, le dure conseguenze della crisi mondiale.
«È inoltre riscontrabile un altro risultato positivo sul piano delle relazioni industriali: si è creato un confronto molto costruttivo e una vera e propria corresponsabilità nell'assunzione delle decisioni; aver gestito l'intervento mediante la progettazione congiunta e puntuali accordi tra le parti imprenditoriali e sindacali ha contribuito in modo significativo a mantenere viva, anche in tempi durissimi, la coesione sociale ed ha prodotto un ulteriore salto di qualità nei rapporti tra imprese e lavoratori e tra le istituzioni dell'autonomia e la società trentina.»
Quali altre iniziative ha messo in campo per contrastare la crisi?
«Nei primi mesi di Legislatura ci siamo subito trovati nel mezzo di una bufera: la caduta congiunturale dei fatturati e una diffusa illiquidità del sistema erano talmente forti da mettere a repentaglio la sopravvivenza stessa di molte imprese.
«Le nostre imprese erano (e molte lo sono ancora) a rischio di chiusura, bisognava tenerle in vita, ed indurle a non falcidiare i posti di lavoro. Con una massiccia iniezione di liquidità nel sistema e con incentivi al mantenimento degli occupati abbiamo evitato il disastro e consolidato migliaia di posti di lavoro. Tenere in vita le aziende, con il loro patrimonio occupazionale, era l'obiettivo più urgente.
«L’effetto delle azioni anticongiunturali poste in essere dalla Provincia hanno riguardato soprattutto il sostegno al riassetto finanziario delle imprese e il loro rafforzamento patrimoniale, la maggiorazione delle misure a sostegno degli investimenti, il piano straordinario di Trentino Sviluppo, gli interventi a favore del mantenimento dell’occupazione nonché una intensificazione della domanda pubblica di beni e servizi al servizio delle aziende locali.
«Notevoli sono stati gli effetti indotti da quelle misure che hanno sino ad oggi garantito il mantenimento in Trentino di alcuni importanti poli e filiere manifatturiere: si pensi solo al ricavo sociale prodotto dagli stipendi che sono stati pagati ai lavoratori.
«La crisi ci ha fatto subito accelerare alcuni processi. Sarebbe infatti illusorio guardare all’indietro pensando che la struttura economica esistente possa alla lunga partecipare all’economia globale senza una profonda rigenerazione orientata all’innovazione e alla conoscenza.
«Per questo il Trentino sta investendo nei suoi poli tecnologici e scientifici con l’obiettivo di far incontrare le imprese specializzate con la filiera della conoscenza ed è stata riformata, come si è detto in precedenza, la disciplina degli incentivi.
«Queste sono le più importanti sfide della politica di sviluppo industriale della Provincia che, tra gli altri aspetti di assoluto rilievo, consentiranno la creazione di opportunità di lavoro qualificato per i giovani.»
Sono all’incirca una trentina le aziende in Trentino che stanno per chiudere. Riusciremo a recuperare nuove attività produttive per le persone che si trovano senza lavoro?
«Questo è il nostro principale impegno. Per fare questo gli interventi pubblici devono sempre più essere nel segno della selettività investendo sulla qualità del lavoro, dovranno essere rafforzati gli investimenti strategici nell’istruzione, nella formazione, nella ricerca scientifica, ossia nella conoscenza come leva per uno sviluppo qualitativo incentrato sul valore primario del capitale umano.
«Il sostegno all’economia del territorio dovrà essere garantito da misure sempre meno settoriali e sempre più di sistema per rafforzare la competitività delle nostre imprese agendo su fiscalità, credito, investimenti in innovazione.
«Vi è quindi la necessità di ridurre la distanza tra la scuola, l’alta formazione, la ricerca e le imprese per far si che i talenti, intesi come portatori di competenze, possano trovare una struttura economica in cui finalizzare le loro aspettative di lavoro.»
La Ricerca pura serve a poco se non viene utilizzata dalle imprese. Cosa fa la Provincia affinché la ricerca diventi innovazione?
«Innanzitutto stiamo lavorando e continueremo sempre di più a fare per potenziare la collaborazione tra mondo della ricerca, dell'impresa e della formazione. È anche in questo senso che stiamo investendo nei poli scientifici, tecnologici e formativi di Rovereto e Trento.
«Il tema dell'innovazione è stato poi storicamente circoscritto, solo ed esclusivamente, all’interno dei confini dei centri di ricerca e sviluppo della grande impresa senza valorizzare l’innovazione diffusa potenzialmente presente nel tessuto delle piccole e medie imprese. Introdurre l'innovazione nei propri cicli produttivi significa investire in risorse, spesso ingenti, in sperimentazione, nell’acquisizione di conoscenze dall'esterno, nell’adattamento delle buone idee in prodotti e in buone prassi aziendali.
«Per le piccole e medie imprese innovative quindi, che precedentemente non avevano i requisiti per accedere ai contributi alla ricerca disciplinati dall’attuale normativa, sono stati previsti con la riforma della legge sugli incentivi nuovi aiuti per progetti di ingegnerizzazione o di innovazione, anche realizzati dal titolare o dai soci, affinché il piccolo imprenditore creativo possa remunerare anche il proprio lavoro.»
Se lei diventerà presidente della Provincia, destinerà la stessa quantità di risorse alla ricerca? Può dire quanto viene stanziato a favore della ricerca (compresa la Fondazione Mach)?
«L'Università e gli altri centri di ricerca possono e devono giocare un ruolo fondamentale nella trasformazione e nella crescita del tessuto industriale del territorio, valorizzando in tal modo un patrimonio di conoscenze che costituisce ormai un tratto distintivo del Trentino. Infatti, uno degli sbocchi che gli investimenti importanti realizzati in passato nella ricerca devono avere è, a mio avviso, quello di dare nuova linfa al sistema delle imprese industriali.
«Per questo la sfida è quella pur in un contesto di riduzione di risorse pubbliche di potenziare gli investimenti in ricerca promuovendo, come si sta già cominciando a fare (e in questo senso vanno alcune delle riforme di cui ho parlato in precendenza), un più stretto raccordo tra mondo dell'impresa e ricerca.
Abbiamo letto che nei suoi programmi c’è la chiusura delle APT. È corretto, o preferisce spiegare meglio il futuro che intende riservare alle APT?
«Il senso della mia proposta è quello di provare maggiormente a guardare a modelli europei nei quali ci siano meno costi sulla gestione della rete pubblica e più risorse su prodotto e imprese.
«Dentro questa prospettiva è quindi fondamentale valorizzare il protagonismo degli operatori per promuovere una nuova cultura dell’ospitalità.»
A Trentino marketing, ora incorporato in Trentino Sviluppo, continuerà a godere delle stesse risorse di oggi (in termini di disponibilità percentuale)?
«La politica deve avere il coraggio di guidare il Trentino su strade mai percorse in passato a partire dall’opera di semplificazione e miglioramento del settore pubblico. Per cui dobbiamo concentrarci sugli investimenti strategici.»
Alla Cultura saranno destinate da lei le stesse risorse? È contento del Mart e del Muse?
«Anche su questo tema dobbiamo sempre più concentrarci sulle priorità, che dobbiamo definire insieme ai protagonisti che operano quotidianamente in questi mondi. Gli investimenti sostenuti vanno valorizzati incrementando però il rapporto tra la rete museale e la comunità.»
Qual è il risultato che in questi cinque anni l’ha gratificata di più?
«Aver contribuito a costruire un patto solido tra istituzioni e corpo sociale, per far si che nessuno sia lasciato solo ma che allo stesso tempo nessuno abbia la presunzione di fare da solo. Solo cosi il Trentino potrà affrontare i radicali cambiamenti in corso valorizzando il suo forte capitale sociale.»
Qual è il risultato che avrebbe voluto raggiungere e che non le è stato possibile realizzare?
«Rafforzare la dimensione politica della Coalizione di Centrosinistra autonomista che viene percepita ancora oggi prevalentemente come un patto elettorale.»
Lei candida per le Primarie provinciali del centrosinistra. La prima domanda è: «Cosa cambierebbe il governatore Alessandro Olivi nella gestione del Trentino?»
«I forti cambiamenti in atto a livello globale e locale impongono al Trentino di innovare e riformarsi e ci obbligano a guidare il Trentino su strade diverse dal passato e mai percorse prima. La riduzione delle risorse pubbliche la politica deve tornare protagonista attraverso scelte dove tutti devono sentirsi responsabilizzati.
«C’è bisogno di un governo allargato del Trentino. Mi batterei quindi subito per l'immediata sottoscrizione di un patto comune tra categorie economiche, sindacati e mondo del volontariato per il rilancio dell'economia e per la creazione di lavoro. Bisogna operare in modo sinergico.»
La seconda domanda è: «Che traguardo vede per un eventuale Terzo Statuto della provincia autonoma di Trento?»
«L’Autonomia è un patrimonio collettivo che saremo in grado di consegnare alle nuove generazioni solo se sapremo valorizzare la vocazione del Trentino quale ponte tra mondi diversi promuovendo il dialogo e il confronto tra le comuni esperienze che stanno di qua e al di là delle Alpi.
«È partendo da questa consapevolezza che va intrapreso un eventuale percorso di riforma del nostro Statuto d'Autonomia.»
La terza è: «Può dare una buona ragione ai nostri lettori per convincerli che lei sarà il governatore giusto del Trentino?»
«Mi preme dire che non è tanto in gioco la candidatura di Alessandro Olivi alla presidenza della Provincia, ma la possibilità che il Partito Democratico del Trentino possa assumersi la responsabilità di guidare la nostra Comunità, con le proprie idee e le proprie proposte.
«Non sarà la stessa cosa per il Trentino se le primarie le vince il Patt, l’Upt o il Partito Democratico. Ogni forza politica della coalizione è importante, ma noi crediamo di poter rappresentare il Trentino in tutta la sua complessità e ci impegneremo per farlo crescere in modo uniforme, senza creare dannose contrapposizioni fra valli e città o fra categorie sociali differenti. Noi abbiamo una visione del Trentino che non si limita alla difesa della tradizione o al concetto di territorialità.
«Per quanto mi riguarda ritengo di poter mettere a disposizione un patrimonio di esperienze amministrative che si è rafforzato in una stagione difficile. In questi anni ho avuto l’onore di guidare un Assessorato complesso occupandomi di economia e di lavoro. Pertanto in una fase nella quale prioritario sarà il tema del lavoro, ritengo la mia competenza acquisita sul campo un grande valore.»
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