Missione giornalistica in Libano, il Paese dove vivono i Cedri/ 3
Un tavolo della pace affidato alla diplomazia dei nostri militari
Il 6° Reggimento Cavalieri di Aosta svolge un ruolo determinante sia nella costruzione della Blue Line (il confine marcato dall’ONU con una serie di Blue Pillar) che nel mantenimento dei rapporti tra i due eserciti libanese e israeliano.
Un battaglione, al comando del tenente colonnello Massimiliano Quarto, presidia il territorio a ridosso del confine e gestisce i rapporti tra le due parti.
Ci ha raccontato come avvengono i contatti a scadenza mensile.
«Entrano insieme in una sala riunioni che abbiamo appositamente costruito sulla linea del confine. – Ci spiega Quarto – Non si guardano e vanno a sedersi dalla parte opposta, in modo che ogni delegazione volti le spalle al territorio nemico. Non parlano tra di loro ma a noi, in modo che l’UNIFIL sia l’interfaccia dialettica tra le parti.»
Ci racconta un paio di aneddoti.
«Una volta un delegato aveva sete, ma non ha voluto bere l’acqua che avevamo messo sul tavolo perché proveniva dall’altra parte. Da allora portiamo l’acqua S. Benedetto, così sono certi che non sia né libanese né israeliana: islamici e ebrei non hanno santi…
«Un’altra volta un israeliano non ha voluto mangiare del riso che avevamo preparato come spuntino di fine lavori, per la sola ragione che se ne era servito il libanese. Da allora prepariamo doppie portate.
«Però il clima migliora. E sono convinto che un pranzo giusto, all’italiana, potrebbe far fare grandi passi avanti nella distensione tra i due popoli.»
Il mantenimento dei rapporti di buon vicinato è fondamentale, perché, lo ricordiamo, non è mai stata firmata una pace definitiva. Potrà essere sottoscritta solo quando il confine sarà stato ratificato dei rispettivi parlamenti.
Il colonnello Quarto (foto sopra) non è solo un abile negoziatore. È stato il primo del suo corso e da allora ha mantenuto il primato in tutti gli incarichi che ha ricevuto. Piace ai suoi uomini, ma lo definiscono mitico anche gli altri reparti.
Nei distaccamenti che dipendono da lui tutto funziona a meraviglia e, anche se è difficile che possano scoppiare incidenti, ha predisposto dei bunker a prova di bomba e di isolamento.
Gli osservatori non perdono mai di vista il settore di propria competenza, sia visivamente che elettronicamente, e aggiornano costantemente il comandante su eventuali movimenti sospetti.
Anche la notte ci sono pattuglie di cavalleria che perlustrano la zona di confine assegnata all’UNIFIL. Grazie alle attrezzature moderne è possibile vedere tutto come se fosse giorno. Abbiamo guardato anche noi con i visori notturni che amplificano la luce della notte, così come abbiamo traguardato dai visori a infrarossi.
«Una notte ero qui, in questo punto. – Ci racconta. – Luci spente, visore in mano. A un certo punto vedo un’autovettura militare israeliana ferma sulla stradina al di là del confine. Metto a fuoco e vedo il collega che comanda il campo israeliano che ci sta guardando con il nostro stesso visore notturno. Ci siamo salutati in silenzio. Un gesto di cavalleria.»
Nell’accampamento del suo battaglione è riuscito a creare l’ambiente giusto di lavoro e di tempo libero.
Una sera siamo stati a cena da lui e abbiamo avuto la sorpresa di mangiare delle fantastiche pizze calde fatte come da noi in Italia.
«Avete un pizzaiolo?»
«Abbiamo un cavaliere che si diletta a far pizze (foto a latere). – Ci ha risposto, mangiando un goloso boccone di pizza alla diavola. – E direi che le fa proprio bene. Per lui è un secondo lavoro, che pare proprio sia apprezzato dai suoi commilitoni. Così come è apprezzato il deejay che dopocena fa ascoltare le musiche più gettonate.»
Il suo battaglione ha palestre per consentire ai soldati di mantenersi in forma, sale cinema e TV.
«Mens sana in corpore sano. – Ci ricorda. – Tutti lavorano meglio e quando smettono trovano un ambiente familiare.»
A fine mese Quarto lascia il comando per tornare in Italia. Al suo posto era già arrivato un tenente colonnello dei bersaglieri. Un mese per il passaggio delle consegne è indispensabile. Nonostante tra cavalieri e bersaglieri ci sia un forte senso di competizione, i due colonnelli sembravano in ottimo affiatamento.
La Blue Line (il confine ONU tra Israele e Libano) è formata da quasi 400 Blue Pillar come quello che si vede nella foto. Il loro posizionamento, fatto dai nosri militari, è frutto di delicate contrattazioni tra le parti in causa, isaeliani e libanesi. Al momento ne sono stati messi a dimora 100, mentre altri 70 sono apprtovati e in attesa di costruzione.
Nel pomeriggio del secondo giorno abbiamo attraversato un centro abitato raggiungibile grazie a una strada costruita da noi, tanto vero che si chiama Via Italia.
Non era nei programmi, ma la colonna di blindati si è ferma e siamo scesi.
Ci corrono incontro festosamente delle ragazzine e dei bambini. I soldati offrono loro pasta, biscotti, pane, bibite.
La famiglia che conosciamo è formata da padre madre e dodici figli.
«Per quanto lavorino, – ci spiega il tenente Francesco Cipollina – i genitori non riusciranno mai a sfamare tutti. Così, quando usciamo ci portiamo sempre quello che non consumiamo. Ci spetta qualche lattina, più pane del necessario. La pasta magari la comperiamo noi…»
Un bambino gli corre incontro e gli parla in italiano. Francesco lo prende in braccio e si lascia baciare.
«Ci vogliono bene, – ci dice sorridendo felice. – E non è per quello che gli diamo. Ci apprezzano perché siamo sempre disponibili. Se qualcuno sta male, abbiamo il medico. Anche la farmacia.»
Uno scorcio di vita tranquilla in un casolare del Libano meridionale, dove la presenza dei nostri militari è particolarmente gradita.
Lasciata alle spalle via Italia, passiamo a salutare il sindaco di una cittadina fiorente sulla costa mediterranea. Con lui c’è il colonnello Poli (entrambi nella foto che segue), comandante dei lancieri. Beviamo un tè eccezionale fatto dal sindaco e alla fine i giornalisti sono autorizzati a porre domande.
«Signor sindaco, – comincio quando tocca a me. – Cosa dobbiamo dire ai lettori che hanno mandato qui da voi i propri fili, i padri di famiglia? Siete soddisfati della loro presenza, oppure avete qualcosa da lamentarvi?»
«No no, – Ci risponde. – Dite pure ai vostri lettori che possono essere fieri dei loro ragazzi. Noi purtroppo abbiamo conosciuto tante occupazioni militari, alcune delle quali molto pesanti. Non parlo di quelli che quando se ne sono andati hanno lasciato sugli alberi le bombe a grappolo Ma di quelli che erano qui – a sentir loro – per il nostro bene. Sono sempre stati l’esercito di una forza straniera, che ci ha considerati quantomeno deboli. Mai amici. Con i soldati italiani invece ci siamo mai sentiti sempre e solo protetti. Sono degli amici. Non ci hanno mai fatto pesare nulla.»«Ha saputo che il contingente italiano verrà ridotto?»
«Sì, mi è stato detto. Sicuramente il governo italiano ha le sue buone ragioni per farlo… Anzi lo ringraziamo per averceli mandati qui a proprie spese. Ma lasceranno un vuoto. Sì, ci mancheranno…»
La risposta del sindaco mi ha colpito. La presenza del colonnello Poli poteva condizionare la sua risposta, ma gli sarebbe bastato esprimere il proprio deferente apprezzamento.
Essere all’estero e sentirsi fieri di portare il tricolore sulla spallina genera un senso di orgoglio che ricorda la soddisfazione di una medaglia d’oro vinta alle olimpiadi con tanto di inno di Mameli.
Non è stata la prima volta che abbiamo provato questo senso di sana commozione, ma non sapevamo che un paio di giorni dopo ci saremmo addirittura commossi.
Ma andiamo per gradi.
La prossima volta parleremo dell’attività più rischiosa di tutta la missione, quella che rappresenta il fiore all’occhiello della nostra migliore gioventù: la bonifica dei campi minati.
Guido de Mozzi
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