La vergogna del collega trucidato in Iraq per rappresaglia
Il male va fermato. Se necessario con la forza. Perfino con la guerra
Quando il papa, nel volo di ritorno dalla Corea, ha detto ai giornalisti che «il male va fermato», aveva specificato anche che non stava invocando la violenza o tanto peggio la guerra.
«Va fermato», aveva detto. Punto.
Secondo noi non escludeva la forza e neppure la guerra, se queste fossero state necessarie per fermare il male. Sia pure come ultima ratio.
Fatto sta che, mentre pronunciava queste parole, un assassino decapitava il nostro collega James Foley, collega anche dei giornalisti che stavano ascoltando le parole di pace del papa.
Non sappiamo quanto quella assurda dimostrazione di strafottenza del carnefice che si è fatto filmare mentre tagliava la testa al giornalista sia stata generata dal tentativo (legittimo) attivato dagli USA per liberare i propri cittadini ostaggio.
Quello che sappiamo è che chi uccide un giornalista lo fa perché ha paura della verità, altrimenti gli farebbe comodo proprio lasciarlo libero perché denunci al mondo la propria verità.
Di solito, i colleghi che muoiono nei teatri di guerra perdono la vita per cause accidentali. È un rischio che si corre sapendo di correrlo, anche se oggettivamente si pensa sempre che non accadrà.
Ma quando il giornalista viene ucciso per volontà di qualcuno che prima di trucidarlo gli fa addirittura pronunciare un’ultima frase che la vittima non condivide, non ci sono scusanti che tengano.
Il male va stroncato. Se necessario con la forza, perfino con la guerra.