La malattia neurodegenerativa di Parkinson – Di Nadia Clementi
Ne parliamo con il dott. Daniele Orrico, direttore del reparto di Neurologia presso l’Ospedale S. Chiara di Trento
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La Malattia di Parkinson, descritta per la prima volta nel 1817 dal dottor James Parkinson e considerata la seconda malattia neurodegenerativa più comune dopo il morbo di Alzheimer, è un disturbo del sistema nervoso centrale. È caratterizzato dalla progressiva morte delle cellule nervose (neuroni), situate nella cosiddetta «sostanza nera», una piccola zona del cervello che, attraverso il neurotrasmettitore dopamina, controlla i movimenti di tutto il corpo.
Coloro che sono colpiti dal Parkinson, proprio a causa della progressiva morte dei neuroni, producono sempre meno dopamina, perdendo progressivamente il controllo del proprio corpo. Arrivano così tremori, rigidità, lentezza nei movimenti.
La malattia colpisce prevalentemente le persone anziane, ma essa può esordire anche prima dei quarant’anni.
Alla luce dell’evoluzione demografica e dell’invecchiamento della popolazione, in futuro si dovrà fare i conti con un incremento del numero di pazienti affetti dal Parkinson, che si trasformerà in una grande sfida politico-sanitaria. Di conseguenza, continueranno a crescere anche l’importanza di una diagnosi tempestiva e la necessità di predisporre controlli regolari e specifici.
Per scoprire le cause del Parkinson, imparare a riconoscere i sintomi, adottare un’alimentazione corretta e scegliere l'attività fisica più adatta a combattere e a rallentare il problema, siamo ritornati nello studio del dott. Daniele Orrico, che abbiamo conosciuto nella precedente intervista dedicata al mal di testa (Vedi).
Dott. Daniele Orrico, quali sono i sintomi della malattia di Parkinson che dovrebbero far preoccupare le persone e spingerle ad effettuare un controllo neurologico?
«Il sintomo più frequente ed evidente è il tremore, più spesso ad una mano. È lento e ha la caratteristica di essere presente soprattutto a riposo, mentre si attenua fino a scomparire con il movimento volontario.
«C’è da dire però che spesso i familiari o lo stesso paziente si accorgono che piano piano la posizione del corpo si è modificata nello stare in piedi o nel camminare, e che i movimenti sono lenti, costano più fatica.»
Il Parkinson è una malattia genetica o autoimmune?
«Raramente è una forma genetica ed in tal caso il quadro clinico può indirizzare la diagnosi. Più spesso è una malattia non familiare sporadica, la cui causa comunque non è sino ad ora nota.»
Ci sono dei piccoli segnali di allarme che si manifestano anche molti anni prima della diagnosi della malattia?
«Una delle caratteristiche delle malattie neurologiche degenerative è di avere un esordio subdolo ed insidioso.
«Vale a dire che la persona non si rende conto di una condizione clinica che cambia improvvisamente da un giorno all’altro (come succede per le malattie cerebrovascolari o per eventi traumatici).
«La malattia si manifesta a mano a mano che passa il tempo e i sintomi, dapprima inavvertiti, ad un certo punto si fanno evidenti.
«A quel punto si arriva alla diagnosi, ma nessuno può dire quale sia stato il preciso momento di comparsa.»
Quali sono le persone più colpite e perché?
«Certamente la malattia si manifesta nelle fasi più avanzate di età ma non sono rari casi anche tra i giovani.
Essendo la malattia di Parkinson una patologia neurologica degenerativa per la quale non si conosce la causa, diventa dunque difficile capire perché alcune persone tendano ad essere più colpite rispetto ad altre.»
Come si diagnostica questa malattia?
«La diagnosi è essenzialmente clinica, magari supportata da una particolare indagine che si esegue in Medicina Nucleare.
«Anche la risposta ai farmaci specifici per la malattia di Parkinson va a supporto della correttezza della diagnosi.»
È possibile curare il Parkinson con una terapia farmacologica?
«Certamente, oggi disponiamo di un armamentario terapeutico molto vario con farmaci di diversa efficacia e differenti vie di somministrazione (le compresse, lo sciroppo, l’iniezione, il cerotto, la somministrazione attraverso una pompa collegata all’intestino).
«Quest’ampia varietà fa sì che riusciamo a dare un trattamento specifico per ogni paziente. Purtroppo va detto che la nostra è una rincorsa ai sintomi, dato che la malattia ha un decorso progressivo.»
Esiste un trattamento neuro-chirurgico. Di cosa si tratta?
«Il trattamento consiste nell’impianto di un sistema di stimolazione di determinati centri nervosi. Si usa una batteria, simile a quella dei pace makers, la quale, attraverso cavi ed elettrodi adeguatamente impiantati, dà uno stimolo elettrico a questi centri nervosi, modificandone quindi il funzionamento.
«La terapia chirurgica non sostituisce quella medica, ma le si affianca in pazienti molto particolari e aventi determinate caratteristiche cliniche. Le specifiche di stimolo di questa batteria possono essere modificate con un apposito apparecchio che si appoggia sulla cute.
«In questo modo riusciamo a trovare la migliore combinazione di stimolo possibile per ogni singolo paziente, agendo sulla pila dall’esterno, dopo che essa è stata impiantata.»
In che cosa consiste la riabilitazione? Quali comportamenti sono utili alla prevenzione della malattia del Parkinson?
«Con la riabilitazione si apprendono strategie di utilizzo delle capacità residue e talora basta poco per ridare maggiore autonomia alle persone.
«Non è realistico pensare che il soggetto con malattia di Parkinson possa essere sottoposto a riabilitazione vita natural durante, ma è comunque molto importante che apprenda nuovi comportamenti motori che migliorino la qualità della vita quotidiana.»
Il trapianto delle cellule staminali neuronali di origine fetale rappresenta una speranza?
«In generale per le malattie neurodegenerative si guarda alle cellule staminali come ad una delle possibili terapie del futuro, alla possibilità cioè di ricostituire il patrimonio cellulare danneggiato, utilizzando cellule in grado di riprodurre le caratteristiche delle cellule nervose che sono state perse.»
Èimportante la dieta? Quali alimenti consiglia ad un malato di Parkinson e quali sconsiglia?
«Soprattutto per alcuni dei farmaci che si usano per curare la malattia di Parkinson è opportuno che la loro assunzione avvenga lontano dalla contemporanea assunzione di cibi ad elevato contenuto di proteine, in quanto possono alterare l’assorbimento intestinale del farmaco.
Una dieta ideale prevede un 50-60% delle calorie introdotte giornalmente dai carboidrati, un 25-30% dai grassi, un 10-15% dalle proteine.
«Necessita dell’assunzione di almeno due porzioni di frutta e di verdura e l’introduzione di un litro e mezzo di acqua al giorno.
«Vanno limitati l’uso di bevande zuccherate e la quantità di vino, massimo due bicchieri durante i pasti.»
È vero che le proprietà contenute nella cannella possono dare beneficio a chi è affetto dalla malattia?
«Sui topi la cannella ha mostrato proprietà interessanti ma ad oggi non possiamo dire che l’uso di questa spezia sia la terapia per la malattia.»
L’attività fisica è una buona prevenzione e cura per i malati di Parkinson?
«Ogni paziente è un caso a sé, per cui generalizzare non sempre risponde alle esigenze del singolo individuo.
«Sarebbe illusorio dire che basta una certa attività fisica per scongiurare il rischio di malattia, che comunque va svolta in modo moderato e compatibile con le condizioni dalla persona.»
Sono in aumento i malati di Parkinson? Ci sono dati significativi sul nostro territorio?
«Difficile rispondere in maniera precisa, non avendo dati di frequenza della malattia specificamente riferiti al nostro territorio.
«Stiamo proprio in questi giorni concludendo un’indagine epidemiologica che abbiamo condotto nella nostra realtà trentina, per cui conosciamo i numeri attuali di persone affette ma, non disponendo di dati precedenti, il raffronto non è possibile.
«Non so quindi dire se la malattia sia in aumento o meno per le diverse classi di popolazione. Certamente l’invecchiamento della popolazione porterà ad un aumento generale delle malattie dell’anziano, tra cui la malattia di Parkinson.»
Strutture dei gangli basali nel trattamento del morbo di Parkinson. Modello degli effetti dei farmaci sui sintomi motori.
In che modo sono assistiti i malati di Parkinson sul nostro territorio?
«In Provincia ci sono due reparti di Neurologia, uno a Rovereto e l’altro a Trento. Come specialisti sono presenti anche neurologi ambulatoriali; e ci sono i medici di famiglia. Nel complesso c’è una rete che, seppure talvolta sfilacciata, si fa carico del paziente affetto da malattie croniche.
«In particolare nel reparto di Neurologia a Trento, per chiamate in caso di emergenze o situazioni critiche è sempre disponibile una nostra infermiera che ha con sé, in orario di lavoro nei giorni feriali, un telefono, il cui numero è noto all’Associazione Parkinson della città.
«C’è inoltre un coordinamento con l’attività dei reparti di Riabilitazione e Logoterapia, per cui mi sento di dire che il servizio offerto è ricco e vario. Certamente tutto può essere migliorato e per questo contiamo anche sulle associazioni di malati, sulle loro richieste ed osservazioni.»
Quale il ruolo della famiglia per i malati di Parkinson?
«La famiglia ha un ruolo fondamentale nel seguire la persona malata e nel valutare, al di fuori del paziente, le variazioni nei sintomi, le fluttuazioni dei disturbi, la risposta ai farmaci.
«Va poi considerata naturalmente la capacità di fronteggiare insieme una condizione che è destinata ad accompagnare cronicamente la persona colpita, la quale, seppure con le possibilità terapeutiche fornite, vedrà aumentare il proprio impaccio motorio con il progredire della malattia.»
A sinistra, posizionamento di elettrodo nel cervello.
E per il futuro cosa si prevede?
«La ricerca farmacologica, l’utilizzo di cellule staminali, l’impianto di vettori ibridi modificati in laboratorio capaci di intervenire sulla attività di determinati centri nervosi, lasciano intravvedere scenari oggi difficilmente delineabili.
«Se si guarda lo sviluppo della terapia degli ultimi decenni, questo fa ben sperare per il futuro.»
Quali altri consigli può dare?
«La persona colpita dalla malattia di Parkinson deve avere la consapevolezza che si tratta di una malattia cronica, per la quale sarà necessaria una continua assunzione di farmaci. L’utilizzo della L-DOPA, che è il farmaco più rilevante nella cura della malattia, risale a pochi decenni fa.
«Oggi esistono trattamenti disponibili che un tempo erano assolutamente inimmaginabili. Certo è che una terapia efficace va personalizzata alla ricerca del miglior schema di trattamento possibile, ottimizzando le cure disponibili.
«Chi soffre di ipertensione arteriosa o diabete sa che la malattia deve essere tenuta nella maggior parte dei casi sotto controllo con l’assunzione dei farmaci necessari, in dose adeguata; allo stesso modo la malattia di Parkinson viene controllata dai farmaci prescritti, la cui assunzione deve essere continuativa e assistita dal medico di famiglia o specialista in Neurologia.
«Assieme vanno discussi i benefici sui sintomi e sugli eventuali effetti collaterali, al fine di trovare la miglior cura. Molto importante è che il paziente senta di poter contare su figure sanitarie che può facilmente raggiungere.
«Fondamentale per questo tipo di malattia è il ruolo dell’associazionismo, in primo luogo per non far sentire il malato solo o abbandonato ma per fargli avvertire che egli condivide con altri la medesima esperienza di vita; in secondo luogo per rendere esplicite le esigenze che, se espresse con voce singola, potrebbero non avere forza sufficiente per farsi sentire ed ascoltare.»
Dott. Daniele Orrico
Nadia Clementi - [email protected]
(Interviste precedenti)