Sentirsi parte del gregge – Di Daniela Larentis

Tutti, almeno una volta nella vita, siamo stati pecore...

>
Un po’ tutte le persone istintivamente sono portate a imitare il prossimo (pensiamo alle mode, ma non solo), tuttavia è anche vero l’opposto: ogni individuo cerca anche di distinguersi dagli altri.
Prevale quindi l’imitazione o il suo contrario, la ricerca di una propria identità?
E fino a che punto siamo influenzati dagli altri, fino a che punto siamo contagiati da chi ci circonda?
La faccenda è assai complessa; c’è da dire che la letteratura sociologica offre numerose analisi teoriche ed empiriche relative a quello che è definito il comportamento sociale, ossia quell’insieme di interazioni che si verificano fra due o più persone, tuttavia noi ci limitiamo semplicemente a osservare il modo di fare di chi ci sta attorno: un passatempo che diverte e non costa nulla.
 
Meditando sulla questione (chiaramente questo è un pensiero che tutti possono fare, frutto di una semplice riflessione da non addetti ai lavori, non certo la spiegazione di esperti in psicologia o studiosi dei comportamenti umani), verrebbe da dire che la tendenza ad atteggiarsi in un modo anziché nell’altro possa dipendere più che altro dal carattere di ogni individuo, anche se certi meccanismi in determinate situazioni sembrano comuni un po’ a tutti; quello che pare evidente è che non sia sempre facile ragionare con lucidità, poiché comportarsi come pecore è più naturale di quanto si possa immaginare.
Per tutti, più o meno, pare essere così (consideriamo certi comportamenti sociali). Sembra davvero che sentirsi parte del gregge sia tanto rassicurante quanto comodo, rassicurante perché facendone parte si ha la sensazione di essere meno soli (l’unione fa la forza, questo lo sanno tutti), comodo perché in fondo si delega ad altri la responsabilità delle proprie scelte e soprattutto dei propri pensieri.
 
Talvolta, risulta essere anche pericoloso; pensiamo a chi per emulazione inizia a fumare (e spesso sono gli adolescenti).
Comportarsi da pecore toglie inoltre la libertà di poter giudicare: «l’uomo pecora» non è in grado di valutare se una cosa è giusta o sbagliata, per lui quella cosa risulterà essere giusta se considerata giusta dal resto del gruppo e viceversa sbagliata.
Guardarsi intorno per vedere che cosa fanno gli altri, alla ricerca della riprova sociale, è molto comune in determinate circostanze, e non solo fra gli uomini: tutti, almeno una volta nella vita, siamo stati pecore.
È un meccanismo antico presente anche nel mondo animale.
 
Nel libro «L’arte di pensare chiaro» di Rolf Dobelli, edito da Garzanti, l’autore scrive un intero capitolo sull’argomento, intitolato «La riprova sociale - Sei milioni di persone hanno opinioni stupide, ma non vuol dire che siano vere».
Ecco cosa si legge a pag. 20: «Il semplice esperimento di Solomon Asch, condotto per la prima volta nel maggio del 1950, mostra come la pressione del gruppo comprometta un sano esercizio della ragione da parte del singolo.
«Al soggetto-cavia vengono mostrate righe di lunghezza diversa, e gli viene chiesto di stabilire se esse siano più lunghe o più corte della riga di riferimento. Se si trova da solo nella stanza, il soggetto azzecca tutte le risposte, anche perché il compito è veramente semplice.
«Ma poi entrano altre sette persone: sono tutti attori, ma lui non lo sa. Uno dopo l’altro rispondono in modo errato, dicendo più corta anche se la riga è chiaramente più lunga di quella di riferimento.
«Poi viene il turno del nostro. Nel 30 per cento dei casi darà la stessa risposta sbagliata della persona che l’ha preceduto; e questo solo per la pressione del gruppo.»
 
L’autore fornisce qualche riga più avanti la spiegazione a tale comportamento.
A pag. 21 si legge quanto segue: «Perché ragioniamo così? Perché nel nostro passato evolutivo un comportamento del genere si è rivelato una buona strategia di sopravvivenza.
«Facciamo un salto indietro nel tempo, a cinquantamila anni fa. Siete nel Serengeti con i vostri amici cacciatori e raccoglitori, che all’improvviso se la danno a gambe. Voi che fate? Rimanete lì a grattarvi la testa, domandandovi se quello che vedete davanti a voi è davvero un leone o se invece non sia un animale inoffensivo che semplicemente somiglia a un leone?
«Per riflettere c’è sempre tempo, una volta che si è al sicuro. Chi ha agito diversamente è scomparso dal pool genetico…»
 
Naturalmente, nella nostra epoca non si deve più lottare per la sopravvivenza come allora, eppure quell’atavico meccanismo viene da noi messo in atto anche oggi.
L’autore sottolinea che questo comportamento, così profondamente radicato in noi, «non ci dà nessun vantaggio in termini di sopravvivenza».
Forse, vien da pensare, non ci saranno leoni a minacciarci, e bestie feroci ad assalirci, non andiamo più a caccia e dormiamo in giacigli sicuramente più confortevoli, i nostri comodi letti, tuttavia anche l’uomo moderno si trova ogni giorno a dover combattere tutta una serie di pericoli, affrontando insidie una volta inimmaginabili, cercando di sopravvivere in un mondo che per certi aspetti è da considerarsi alla deriva.
 
L’autore parla anche dei talk show e delle commedie spiegando il meccanismo della riprova sociale.
Qui di seguito ecco il suo pensiero (pag. 21): «Le commedie e i talk show fanno leva sulla riprova sociale quando fanno partire le risate in determinati punti della trasmissione, inducendo al riso, com’è stato dimostrato, anche lo spettatore.
«Uno dei casi più impressionanti di riprova sociale è il discorso Volete la guerra totale? tenuto da Joseph Goebbels nel 1943. Lo si può vedere su YouTube.
«Nessuno, se preso singolarmente e con la possibilità di mantenere l’anonimato, si sarebbe dichiarato d’accordo con quella proposta assurda.»
 
Una riflessione andrebbe fatta anche riguardo alla pubblicità, venendo tutti quanti noi letteralmente bombardati da messaggi pubblicitari, ogni santo giorno.
Essa ci mostra persone nelle quali è possibile identificarsi per propinarci prodotti fra i più disparati, spesso inutili.
Rolf Dobelli, parlando della pubblicità, dice testualmente (pag 22): «Mostratevi scettici ogni volta che un’azienda dice che i suoi prodotti sono i più venduti. Si tratta di un argomento assurdo: per quale motivo il prodotto dovrebbe essere il migliore solo perché è il più venduto?
«Lo scrittore Somerset Maugham l’ha riassunto così: se sei milioni di persone hanno opinioni stupide, non vuol dire che siano vere.»
 
Daniela Larentis – [email protected]