Terrorismo e instabilità del Corno d'Africa/ 10 – Di M. Di Liddo
Ultima puntata – L’Italia è fortemente impegnata su tutti i fronti di cui abbiamo parlato
Il ruolo e le priorità della politica estera italiana nel Corno d’Africa
Il nostro Paese è stato tra i più attivi sia nelle missioni internazionali in ambito NATO.
Le problematiche di sicurezza e le ragioni dell’importanza strategica del Corno d’Africa sinora descritte assumono una rilevanza ancor più marcata se collocate nel contesto della politica estera italiana.
Ad oggi, le priorità per il governo di Roma sono state la lotta alla pirateria, il contrasto al traffico di esseri umani e all’immigrazione clandestina. Per quanto riguarda la prima problematica, il nostro Paese è stato tra i più attivi sia nelle missioni internazionali in ambito NATO («Ocean Shield») ed Unione Europea (EUCAP «Nestor» ed EUNAVFOR «Atalanta»), sia tramite l’implementazione di misure legislative nazionali che aumentassero la sicurezza del naviglio commerciale.
In particolare, la decisone di autorizzare la formazione e l’imbarco dei Nuclei Militari di Protezione (NMP).
Al contrario della pirateria, il traffico di esseri umani non ha potuto essere affrontato direttamente nella regione del Corno d’Africa.
Tuttavia, il governo italiano ha cercato di porre un freno al fenomeno dell’immigrazione clandestina nei limiti delle possibilità della sua azione internazionale.
Dunque, non potendo monitorare e limitare direttamente l’origine del flusso migratorio dall’Africa orientale, ha dispiegato il proprio apparato militare nel Mediterraneo.
Nella fattispecie, la missione umanitaria «Mare Nostrum» ha avuto, sino ad ora, il grande merito di salvaguardare la sicurezza della navigazione nel Mediterraneo e di salvare la vita delle migliaia di disperati che cercano di approdare sulle nostre coste, offrendo, in modo indipendente, una soluzione efficace ad un problema che accomuna tutta l’Unione Europea.
Oltre alla pirateria e al traffico di esseri umani, l’Italia è in prima linea per la stabilizzazione della Somalia e la lotta al terrorismo qaedista.
Il nostro Paese è parte dell’European Union Training Mission (EUTM) Somalia, missione di addestramento per le truppe dell’Esercito nazionale somalo impegnate, al fianco di AMISOM nella guerra contro le milizie di al-Shabaab.
L’Italia partecipa ad EUTM Somalia, la cui sede operativa è a Mogadiscio, con 17 addestratori. Occorre sottolineare come il governo di Roma sostenga le istituzioni somale non soltanto a livello militare, ma soprattutto a livello politico e umanitario, seguendo da vicino e incoraggiando il lavoro delle autorità centrali e del Presidente Hassan Sheikh Mohamud.
Una delle testimonianze più concrete dell’impegno e dell’interesse italiano in Africa orientale è offerta dalla costruzione della prima base militare interamente nazionale fuori dai confini europei. Infatti, il 23 ottobre il capo di Stato Maggiore della Difesa (CSMD), l’Ammiraglio Luigi Binelli Mantelli, ha ufficialmente inaugurato la base italiana di Gibuti.
Nel dettaglio, il nuovo avamposto delle nostre Forze Armate ha un’estensione di 5 ettari e sorge nei pressi del villaggio di Nagad, a circa 10km a sud-est dell’aeroporto internazionale del piccolo Stato africano. La volontà di costruire una base a Gibuti si è manifestata, per la prima volta, nel 2007, quando alcune unità della Marina Militare sono state integrate nel dispositivo navale internazionale delle missioni «Atalanta» e «Ocean Shield».
I lavori per la costruzione della base sono iniziati nell’agosto del 2013 e sono stati effettuati dalle truppe dell’Esercito, nello specifico dalla Task Force «Trasimeno», inquadrata nel 6° Reggimento Genio pionieri di Roma.
Durante i lavori di realizzazione della base, i militari italiani si sono distinti per le numerose iniziative sociali a beneficio della popolazione locale, come incontri con i leader delle comunità dei villaggi, distribuzione di aiuti umanitari, utilizzo della manodopera gibutiana per i piccoli lavori di manutenzione.
Si tratta di azioni indispensabili per incrementare la fiducia reciproca e, dunque, la sicurezza, tra il contingente italiano e il popolo gibutiano.
Secondo quanto dichiarato dai vertici della Difesa, la base di Gibuti, che accoglierà 300 persone, potrebbe essere pienamente operativa entro dicembre del 2013.
La base italiana di Gibuti è stata concepita per adempiere ad una grande varietà di missioni legate alla stabilizzazione del Corno d’Africa ed al contrasto alla pirateria nel Golfo di Aden.
Infatti, la base servirà come hub logistico per preparare i NMP e come supporto alle navi della Marina Militare impiegate nelle missioni internazionali.
Inoltre, la struttura potrà essere utilizzata per l’addestramento delle truppe gibutiane e somale, come stabilito dagli accordi di cooperazione militare tra l’Italia e questi due Paesi.
Infine, in caso di emergenza, da questa istallazione militare potranno partire team di Forze Speciali per operazioni di liberazione ostaggi.
La stabilizzazione della Somalia è fondamentale per la lotta contro la pirateria e contro il terrorismo di ispirazione qaedista.
Tuttavia, l’impegno in politica estera dell’Italia nel Corno d’Africa è funzionale non soltanto all’eliminazione di minacce contingenti, ma soprattutto alla creazione di una partnership forte e duratura con i governi dei Paesi della regione.
Infatti, negli ultimi anni, il governo di Roma è tornato a guardare alle opportunità che offre il continente africano con rinnovato interesse.
Attraverso le aziende strategiche (ENI, FINMECCANICA), l’Italia è già presente in molti scenari africani occidentali e meridionali, quali la Nigeria, il Mozambico e l’Angola.
Tuttavia, in nessuno di questi Paesi è stato costruito un rapporto esclusivo e profondo, sia a causa della concorrenza internazionale sia per le differenze storiche e culturali tra Roma e gli altri governi continentali. Al contrario, la Somalia, Gibuti e, in futuro, l’Eritrea potrebbero diventare dei nuovi potenziali partner economici e politici.
L’opera di stabilizzazione e l’impegno nel miglioramento del quadro di sicurezza potrebbero condurre a rafforzare i rapporti tra i rispettivi governi e gettare le basi per una cooperazione più ampia, trasversale e mutualmente benefica.
Conclusioni e raccomandazioni
Gli scenari geografici, economici e di sicurezza sin ora descritti evidenziano la complessità umana e politica del Corno d’Africa, una regione del Continente africano che oggi combatte contro il sottosviluppo, la conflittualità tra etnie e la minaccia terroristica, ma che, nel prossimo futuro, potrebbe aumentare il proprio peso strategico globale.
Le opportunità economiche legate al Corno d’Africa riguardano il traffico marittimo nel Golfo di Aden, la costruzione di infrastrutture per la commercializzazione delle risorse energetiche sud sudanesi ed etiopi e il rinnovamento dei porti kenioti, somali (compresi quelli del Puntland) ed eritrei.
Lo sviluppo che potrebbe caratterizzare il Corno d’Africa appare minacciato dalle attività di pirateria e dalla progressiva internazionalizzazione dell’agenda politica di al-Shabaab, che potrebbe incrementare gli attacchi fuori dai confini somali e destabilizzare l’intera regione del Corno d’Africa.
Nel prossimo futuro, il Golfo di Aden vedrà ulteriormente aumentare il traffico marittimo commerciale mondiale.
Infatti, la crescita economica asiatica e l’incremento produttivo da parte dei Paesi africani saranno le due condizioni che renderanno l’Oceano indiano il punto di passaggio del 30% dell’interscambio commerciale globale, una percentuale che sale al 50% se si considerano le sole tratte tra Europa ed Estremo oriente.
Per questa ragione, la lotta contro la pirateria continuerà a mantenere una forte centralità nell’agenda europea.
La necessità di eliminare le attività dei pirati prevede la prosecuzione delle missioni internazionali, l’implementazione dei piani di stabilizzazione della Somalia, il cui territorio continua ad essere la base per le loro sortite, e la continuazione della cooperazione con le marine militari, le guardie costiere e le autorità Portuali dei Paesi rivieraschi che altresì potrebbero aumentare la richiesta di addestramento ed equipaggiamento da parte dei Paesi occidentali.
Appare evidente come simili richieste potrebbero essere inoltrate a quei Paesi che hanno partecipato alle missioni internazionali contro la pirateria e quindi hanno sviluppato una grande esperienza sul campo.
Inoltre, finché la pirateria non sarà sensibilmente ridimensionata, le compagnie armatoriali e i governi potrebbero continuare a disporre la presenza degli NMP a bordo delle navi.
Nell’ultimo quinquennio, l’attività internazionale e dei singoli governi per limitare il fenomeno della pirateria ha evidenziato come, a livello giuridico, persistano alcune lacunosità nel diritto marittimo, soprattutto con riferimento alle prerogative statali al di fuori delle acque territoriali e nelle zona economica esclusiva.
Infatti, la lotta alla pirateria ha posto interrogativi sul trattamento giuridico dei pirati e sul conflitto tra responsabilità degli armatori, dei NMP e degli Stati rivieraschi.
Alcuni casi, come quello dei Marò, ha messo in risalto le carenze legali e la mancanza di un meccanismo arbitrale unanimemente riconosciuto per la risoluzione di quelle controversie oggi non regolate da alcun codice.
In futuro, la Comunità internazionale potrebbe avviare un programma di riforma del diritto marittimo, al quale potrebbe partecipare anche l’Italia.
L’estrazione petrolifera e gasifera in Sud Sudan, Etiopia e Somalia sarà di impulso sia alla ristrutturazione dei porti lungo la costa africana orientale, per la commercializzazione delle risorse energetiche, sia alla costruzione di una rete di distribuzione nazionale.
Inoltre, il Corno d’Africa conoscerà una vera e propria rivoluzione elettrica, guidata dalla produzione etiope, che necessiterà della realizzazione di linee di distribuzione.
Dunque, appare evidente che potrebbero aumentare le opportunità di investimento e di appalti statali nei Paesi della regione.
Al momento, nella regione africana orientale la penetrazione commerciale cinese non conosce concorrenti alla sua altezza, anche se è affetta dalla criticità di non essere accompagnata da un’agenda politica adeguata.
Infatti, nei confronti dell’Africa, la Cina ha tradizionalmente adottato una strategia predatoria e quasi neo-colonialista, incentrata sulla corruzione delle élite di potere nazionali e sul principio di non ingerenza negli affari interni dei singoli governi.
Tuttavia, la scelta di improntare i rapporti con l’Africa sulla teoria del «cash and carry», appare temporalmente limitata e difetta dell’indispensabile componete del capitale politico e della garanzia di sicurezza.
I Paesi africani non necessitano soltanto di denaro contante, ma anche di appoggio politico nelle organizzazioni internazionali e regionali, di programmi per la realizzazione di uno sviluppo sostenibile, di cooperazione economica che segni un’alternativa al modello monopolistico cinese e che permetta la realizzazione di piccole e medie imprese locali, di assistenza e aiuto militare nel caso in cui il quadro di sicurezza diventi precario.
Queste sono tutte opportunità che la diplomazia cinese non può e non vuole offrire ai Paesi africani. Al contrario, i Paesi occidentali fanno dell’indissolubile partenariato politico, economico e di sicurezza il loro modello relazionale con il continente.
Dunque, esiste la possibilità che le necessità di sviluppo economico-politico dei Paesi del Corno d’Africa abbiano bisogno di partner che garantiscano benefici multipli e trasversali ai diversi settore della cooperazione.
In quel caso, I Paesi occidentali sarebbero in grado di proporre un modello di cooperazione molto più «attraente» rispetto a quello cinese.
Oltre alla pirateria, le organizzazioni regionali ed internazionali continueranno a confrontarsi con le attività di al-Shabaab e degli altri gruppi qaedisti della regione.
Dunque, appare prematuro parlare di una exit strategy per AMISOM e tantomeno della conclusione di EUTM Somalia. Infatti, l’Esercito somalo continuerà ad avere bisogno del sostegno addestrativo e logistico dei Paesi occidentali ancora per lungo tempo.
La fase successiva del mentoring alle Forze Armate somale potrebbe consistere nella somministrazione di pacchetti d’addestramento specialmente dedicati a due aspetti.
Il primo, la formazione degli ufficiali somali che addestreranno le loro truppe (principio del «train the trainers»).
Il secondo, il miglioramento di quegli aspetti non strettamente operativi, ma che attengono alla professionalizzazione dei soldati e all’eliminazione di quei comportamenti in grado di mettere in pericolo l’incolumità dei reparti e la sicurezza delle strutture, quali la corruzione o la vendita di armi ed equipaggiamento al mercato nero.
Appare evidente che per ottenere un simile, ambizioso obbiettivo, l’azione della cooperazione militare e politica dovrà essere affiancata ad un’azione sociale e umanitaria che, cercando di combattere il sottosviluppo e la povertà, potrebbe ridurre le cause che costringono la popolazione e i militari a compiere simili pratiche.
La costruzione della base italiana a Gibuti non è un punto d’arrivo della politica estera e di difesa del nostro Paese, bensì un punto di partenza per incrementare il nostro ruolo nella regione.
I rapporti con la Presidenza gibutiana sono ottimi, ma potrebbero essere migliori, soprattutto in materia di facilitazione dei visti, trasferimento di materiali, merci, mezzi e uomini dall’Italia a Gibuti.
Infatti, una delle problematiche più sentite dal nostro contingente stanziato nel piccolo Stato africano è la lentezza della burocrazia e i lunghi tempi delle procedure doganali.
In Italia non esiste neppure una rappresentanza diplomatica gibutiana ed è l’Ambasciata francese ad occuparsi delle sue pratiche consolari e politiche.
Dunque, in futuro, potrebbe essere vantaggioso, per migliorare l’operatività della nostra base a Gibuti, sostenere l’apertura di una rappresentanza gibutiana in Italia ed avviare dei colloqui con la Presidenza per ottenere facilitazioni burocratiche e commerciali.
Marco Di Liddo (Ce.S.I)
(10 – Fine)
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