Giuliano Caporali espone a Trento – Di Daniela Larentis
La personale dell’artista è stata da poco inaugurata nelle splendide sale del Grand Hotel Trento – L’intervista
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Nelle splendide sale del Gran Hotel Trento, nel cuore della città, è stata da poco inaugurata la personale di Giuliano Caporali, artista di Arezzo apprezzato sia a livello nazionale che internazionale.
L’esposizione, curata da Nicola Cicchelli e presentata dal noto scultore e gallerista milanese Stefano Soddu (la prestigiosa galleria Scoglio di Quarto si trova in uno dei quartieri più antichi e affascinanti di Milano), sarà visitabile fino a settembre 2019.
Giuliano Caporali si è dedicato fin da giovanissimo alla pittura. «La mia formazione artistica nasce soprattutto dalla volontà assidua di sperimentazione e di ricerca, concretizzata e sedimentata nei complessi rapporti tra materia e colore», racconta.
Diplomatosi all’Istituto d’Arte della sua città natale, ha lavorato dalla metà degli anni Settanta al Ministero per i Beni e le Attività Culturali, presso la Soprintendenza di Arezzo, con l’incarico di disegnatore.
Nel corso degli anni ha partecipato a numerose collettive e personali sia in Italia che all’estero, in prestigiose gallerie ma anche in importanti sedi istituzionali (ha esposto a Firenze a Palazzo Pitti, tanto per fare un esempio), affinando una ricerca che lo ha condotto alla quiete silente del monocromo, una quiete apparente che internamente ribolle di sempre nuove pulsioni.
Non sarebbe peraltro corretto definire questo ciclo di opere monocromatiche, in quanto esse, attraverso la suggestione di alcuni dettagli, rivelano sottostanti stratificazioni. Attraverso i suoi lavori pittorici, che richiedono moltissimi passaggi di colore, Giuliano Caporali cerca di creare un ponte tra il contemporaneo e il mondo che ci ha preceduti, quelle da lui create sono ampie superfici in cui domina il colore, legate in maniera indissolubile alla pittura dell’affresco.
Sottolinea a tal riguardo Stefano Soddu: «Non è un’operazione affine a sé stessa ma ha una propria poetica che è quella di far emergere anche degli stati d’animo, delle visioni, dei sogni; in questo lavoro informale c’è anche del lirismo molto marcato».
Alcune opere presentano cromie più sfumate, altre sono una continua alternanza fra tinte piatte e tavolozze policrome; nel realizzarle egli trae ispirazione da visioni e immagini immediate, da emozioni vissute e trasferite mediante il colore sulla tela, attraverso un lavoro di riduzione e affinamento continuo.
Sono solchi di memoria personale e collettiva, in cui ogni osservatore può trovare traccia del proprio vissuto, della propria storia, l’uomo è in fondo ciò che ricorda e ogni quadro dell’artista sembra evocare frammenti di emozioni vissute.
La sua arte ha la principale funzione di suscitare nell’osservatore forti stati emozionali; si tratta di una pittura spontanea, «informale», «a stretto contatto con l’inconscio» come lui stesso la definisce.
L’eleganza e il minimalismo dei suoi quadri possono suggerire un pensiero che ha molto a che vedere con la necessità impellente di ridimensionare il nostro stile di vita.
Viviamo in una società dell’accumulo, dove oggi più che mai c’è bisogno di dirigere l’attenzione verso un’unica direzione, quella della sobrietà.
Sono opere che, a nostro avviso, sembrano rinviare all’idea di una generale riduzione quanto mai necessaria (riduzione innanzitutto dei consumi sfrenati).
Oggi come oggi è fondamentale evitare gli sprechi, sarebbe auspicabile tornare a riparare gli oggetti rotti, riutilizzare anziché buttare, come facevano le nostre nonne, in fondo.
Nei quadri di Caporali, i particolari che emergono dalle sottostanti stratificazioni possono prestarsi anche a questa lettura, possono essere interpretati come un invito a volgere lo sguardo verso un passato che ha molto da insegnarci, simboleggiando uno scavare dentro epoche in cui l’atteggiamento verso le cose era diverso rispetto ad ora, nel nostro presente per esempio disfarsi di manufatti ancora del tutto utilizzabili (con la scusa che sono superati) purtroppo è ormai diventata un’insana abitudine.
Curiosi di conoscerlo meglio, lo abbiamo incontrato e gli abbiamo rivolto alcune domande.
Quando è nata la passione per la pittura?
«Credo di aver sempre amato l’arte fin da piccolissimo, sono sempre stato affascinato dal colore e dal disegno. Dal 1976 sono entrato nei ruoli del Ministero per i Beni e le Attività Culturali, presso la Soprintendenza di Arezzo, in qualità di disegnatore.
«Questo mi ha permesso di frequentare e studiare da vicino alcuni fra i principali maestri del passato, da Piero della Francesca a Beato Angelico, dal Signorelli al Vasari a Cimabue e tanti altri, per i quali ho curato elaborati, rilievi, grafici per il recupero e lo studio delle opere, partecipando in prima persona ad allestimenti di mostre e progetti architettonici.
«Queste esperienze istituzionali, fondamentali per la mia crescita artistica, mi hanno permesso di essere a contatto e respirare le muffe e le polveri dei colori degli antichi affreschi e delle tele, man mano si è fatta strada in me la consapevolezza che i concorsi d’arte e il linguaggio figurativo non erano corrispondenti alla mia aspirazione, così ho iniziato una ricerca dialogando con la poetica.
«Ho tratto essenziali suggestioni dall’ambiente antico dei muri corrosi, dalle loro crepe e fenditure, soffermandomi sul rapporto tra memoria e spazio, tra pittura e architettura, tra natura e artificio, lavorando nel silenzio dello studio e dedicandomi alla sperimentazione, limitando le rassegne pubbliche.»
Come considera la sua arte?
«La pittura di oggi è improntata ad un approfondimento di equilibri e armonie tra forma e colore, attraverso cui rivivere il vissuto personale che si fa collettivo nel dialogo con lo spettatore, recuperare valori mai dimenticati, emozioni istintive che variano in funzione dello stato d’animo.
«Considero ogni mia opera non un punto d’arrivo ma un passaggio per una nuova serie di lavori, per una ricerca a ritroso nel tempo a fermare momenti, attimi e impressioni.
«Nella mia arte io cerco me stesso, io non so mai cosa sto per creare, non dipingo quello che vedo ma quello che sento. In questi anni ho fatto un grande lavoro di pulizia interiore, ho cercato di esprimere attraverso la mia pittura la necessità interiore di ridurre all’essenziale.»
Come la definirebbe?
«Il mio ambito lavorativo si colloca ai margini dell’informale, una pittura gestuale, immediata, in rapporto stretto con l’inconscio.
«Dalla materia, segno, colore fino a che la superficie dipinta non prende il sopravvento lasciando intravedere forme reali legate al mondo della natura, spesso usando alfabeti conosciuti e a volte sconosciuti.
«Ci sono segni nati da gesti semplici che raffigurano la vita quotidiana, da forme fatte di colore, di sola materia o graffiate che vanno spesso a coprire o ritrovare la stesura iniziale del quadro, come traccia del nostro vissuto.
«Non ci sono contorni, i colori si contengono a vicenda, si mischiano compenetrandosi, generando contrasti cromatici e formando una patina di materia pittorica di energia raggrumata.»
Ci sono dei soggetti o tematiche da cui oggi trae maggiormente ispirazione?
«Il mio lavoro attuale è orientato ad esprimere la calma della mente, a manifestare il silenzio. Chiedo all’io di azzerarsi, convinto che debbano essere le mie opere a parlare.
«Credo che l’artista dovrebbe sottrarsi alla vista, è la sola opera ad esprimersi. Le opere sono universi di significato che chiedono di essere capiti e guardati intensamente, diventando occasione di una meditazione infinita.»
Daniela Larentis –[email protected]