Storie di donne, letteratura di genere/ 184 – Di Luciana Grillo

Marina Corradi: «L’ombra della madre - tre donne sole» – Noi lettori e lettrici le siamo vicini e soffriamo perché vorremmo vederla finalmente felice...

Titolo: L' ombra della madre. Tre donne sole
Autrice: Marina Corradi
 
Editore: Marsilio 2017
Collana: Gli specchi
 
Pagine: 320, Brossura
Prezzo di copertina: € 17,50
 
Il romanzo, scritto con straordinaria scorrevolezza, semplice nel lessico, assai ben costruito, attraversa la seconda metà del secolo scorso e racconta la storia di una famiglia attraverso la mamma Alba, che «aveva sempre quell’aria da principessa di fiabe, nel biondo vaporoso dei capelli» e le figlie Viola e Teresa.
Poco presente il marito e padre Ermanno, un ingegnere che era stato perdutamente innamorato di Alba, sempre lontano per lavoro: tornava a casa per brevi periodi, viveva segregato nel suo studio, sembrava un estraneo anche alle sue bambine. Lontani e totalmente assenti gli altri parenti.
 
Alba viveva per le figlie, ma sembrava voler in qualche modo ritardare la loro crescita. Viola, ormai tredicenne, «di colpo in un’estate si era allungata tanto che era alta ormai come Alba… C’era una malinconia in Viola…per cui guardava alla realtà come desiderando di poter bloccare l’istante».
Teresa – che finisce con l’essere la protagonista della storia – era una bimba curiosa, appassionata delle vecchie foto custodite in una scatola polverosa. Vedendo quelle dei genitori giovani e felici si chiedeva perché tutto fosse cambiato.
E proprio tutto precipita quando una malattia colpisce Viola ed esplodono comportamenti strani in Alba, che rifiuta di andare dal medico, accusa il marito di considerarla pazza e rivela un rancore sordo «per ciò che non sapeva più nemmeno se chiamare Dio o destino. Chiunque fosse però a tirare le fila delle vite degli uomini, Alba se ne sentiva abbandonata e tradita».
 
E Teresa cresceva facendo anche da madre a sua madre, «le pareva che cercasse di camuffare sotto al trucco il suo strazio», in una solitudine angosciosa, nell’indifferenza dei condòmini: «Le grida e il fragore delle cose che cadevano a terra e si spaccavano non potevano non sentirsi, negli appartamenti contigui. Nessuno mai venne però a suonare alla porta. Così che Teresa capì che, per essere del tutto soli, non bisogna andare nel deserto, ma in un condominio di una grande città».
Alba si incattiviva sempre di più, a Teresa sembrava «un’altra donna, da quella che lei aveva tanto amato… Soltanto per fare del male – pensò atterrita – chiedevo a mia madre di consolarmi, e mi ha detto una cosa gratuitamente crudele».
 
Intanto, gli anni passano e Milano, dopo la ricostruzione e il boom vive i turbamenti e gli scossoni degli anni ’70: tutto scorre attorno a Teresa, che rimane isolata, chiusa e oppressa dal suo dolore e dai suoi tormenti.
Riesce a farsi un’amica, anche lei provata dalla scomparsa della madre e dalla presenza malevola di una matrigna; trova anche l’amore nel giovane Andrea e vive con loro momenti spensierati (finalmente!): «Accomunava i tre la voglia di liberarsi della famiglia, in fretta, come se venissero da una casa andata in fiamme» e ricorda «una massima cinica e molto amata e citata da Alba: La famiglia, è un focolaio di infezioni».
 
Questa è una recensione, non il riassunto del romanzo, perciò credo di dovermi fermare qui, anche se la storia di Teresa è ancora lunga, piena di eventi forse anche prevedibili, ma necessari, sempre complessi: l’autrice fa recuperare a Teresa il rapporto con suo padre, noi lettori e lettrici le siamo vicini, comprendiamo le sue scelte, come ad esempio quella di lasciare sua madre e il bell’appartamento milanese per andare a vivere da sola in una periferia desolata, soffriamo perché vogliamo vederla finalmente felice.
 
Luciana Grillo – [email protected]
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