L'inaccettabile tragedia della pirateria al largo della Somalia
Il mistero dei dispacci che parlavano di un marinaio trentino a bordo della nave sequestrata dai pirati
Una giornata concitata quella di
oggi, con le notizie che si rincorrevano sui marinai a bordo della
petroliera italiana Savina Caylyn che è stata catturata
dai pirati somali.
Sembrava infatti che, dei cinque italiani a bordo, tre (compreso il
comandante) fossero campani, uno laziale di Gaeta e l'altro…
trentino.
I dispacci però riportavano due diverse informazioni. Alcuni
scrivevano che il quinto marinaio era trentino, altri che era
triestino. Il solito conflitto irrisolvibile, oppure una tragica
beffa delle coincidenze?
Era oggettivamente più probabile che fosse di Trieste, ma la
citazione così reiterata della trentinità del marinaio
restava sospetta.
Allora abbiamo telefonato alla società armatoriale, dove però
osservano il più stretto silenzio stampa.
L'ufficio Stampa della Difesa di ha sconsigliato di chiedere alla
Marina per gli stessi motivi. Quindi abbiamo chiamato il Ministero
degli Esteri.
E qui ci hanno detto che non rilasciano queste informazioni per
rispetto nei confronti delle famiglie coinvolte.
A nulla era servito spiegare che non ci interessava il nome ma solo
la residenza.
«Non vogliamo - ci è stato risposto - che i parenti di marinai
stiano in ansia.»
«Ma così - abbiano obbiettato - stanno in ansia sia familiari di
Trento che di Trieste…»
Eravamo in attesa che al funzionario venisse concessa
l'autorizzazione a rispondere, quando ci è arrivato il dispaccio
definitivo dal nostro corrispondente per i problemi del Medio
Oriente, Antonio De Felice. Il quale ci ha precisato che il
marinaio è di Trieste, fornendoci anche nome e
cognome.
Noi il nome non lo pubblichiamo, ci basta sapere che a bordo della
Savina Caylyn non ci sono trentini.
Qui di seguito pubblichiamo la corrispondenza del nostro Antonio De
Felice sulla vicenda della nave italiana.
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La petroliera italiana attaccata e sequestrata dai pirati mentre
navigava nell'Oceano indiano, a est dell'isola ymenita di Socotra,
prosegue la sua navigazione verso la Somalia.
A bordo ci sono 22 persone: 5 italiani e 17 indiani.
Al momento non ci sono stati ulteriori contatti con i rapitori.
Distante 500 miglia nautiche dal luogo dell'arrembaggio, quasi due
giorni di navigazione ininterrotta, la fregata della Marina
Militare Zeffiro si è subito messa in movimento sulle tracce della
motonave.
L'attacco è avvenuto molto lontano dalle coste somale ed è perciò
probabile che i pirati disponessero di una nave madre.
La petroliera trasporta un carico di greggio del valore di circa 86
milioni di dollari per una società che tratta materie prime, la
Arcadia Commodities Trading Company, ed era salpata dal terminal
petrolifero di Marsa Bashayer in Sudan alla volta del porto di
Pasir Gudang in Malaysia.
La tattica utilizzata è sempre quella: a bordo di lance veloci due
gruppi di fuoco composti ognuno da 5 - 6 persone armate con fucili
d'assalto AK 47, lanciarazzi RPG 7, granate e bombe a mano RGD 5 e
F1 di fabbricazione russa o cinese, si sono staccati dalla nave
madre e hanno raggiunto la preda, ne hanno scalato le fiancate e si
sono impadroniti del ponte di comando.
Inefficaci si sono dimostrati i tentativi del comandante di
sfuggire alla cattura con repentini cambi di rotta e lanciando
potenti getti d'acqua dagli idranti, come previsto dalle regole di
disingaggio.
Confitarma (la Confindustria degli armatori) e la Marina Militare
si sono trovati subito d'accordo nel riproporre l'immediata
attuazione di un piano d'emergenza che da mesi giace sul tavolo del
Ministro della Difesa e che prevede l'imbarco a bordo delle navi
che ne facciano richiesta di soldati del Battaglione San Marco.
«Si tratta di un costo pari ad alcune migliaia di euro a viaggio,
interamente a carico degli armatori.» - ha dichiarato Paolo D'Amico
presidente di Confitarma.
Già, peccato che il piano della Marina preveda l'apertura di 4 basi
logistiche nell'oceano Indiano a Gibuti (già sede di una base
operativa), una nel golfo di Oman, un'altra nel porto di Victoria
nelle Seychelles, l'ultima sulle coste della Tanzania.
Proprio in queste basi saranno operativi i fucilieri del reggimento
San Marco, sempre pronti a essere imbarcati su richiesta volontaria
degli armatori.
Solo l'approntamento e il mantenimento di queste basi logistiche ci
deve far pensare che il costo complessivo dell'operazione supererà
abbondantemente quelle «alcune migliaia di euro» paventate dal
dott. D'Amico e che il differenziale di tale spesa sarà come sempre
a carico del contribuente.
A sostenere poi le ragioni dell'inusuale sodalizio tra armatori e
Marina Militare, sono scesi in piazza alcuni quotidiani a carattere
nazionale che si sono spinti ad affermare, supportati da interviste
a indiscutibili professori universitari, che altri Paesi
appartenenti alla comunità europea si sono comportati nel medesimo
modo citando come esempi Francia e Spagna.
Mai tali esempi furono più sbagliati.
La Spagna, il 30 novembre del 2009, ha varato con un Decreto reale
una sostanziale modifica al proprio Testo Unico delle Leggi di
Pubblica Sicurezza, con cui autorizza le imprese di sicurezza
privata a imbarcarsi sulle navi battenti bandiera spagnola e a
disimpegnare attività di «force protection» in chiave
anti-pirateria a favore degli armatori.
Non solo, il 2 novembre 2009 (con un tempismo che non ha pari in
Europa...) il Governo spagnolo ha anche votato, approvato e reso
immediatamente esecutivo il decreto legge attraverso un regolamento
d'attuazione che di fatto ha modificato il proprio registro delle
armi comuni da sparo togliendo la dicitura «da guerra» a quei
calibri necessari per effettuare la giusta difesa delle mura della
nave e introducendo, infine, nuove norme per di trasporto delle
armi e dei relativi munizionamenti definendo finanche le modalità
d'imbarco delle stesse dai porti nazionali.
La Francia, invece, dopo la "brutta esperienza" maturata con il
rapimento del veliero "Le Ponant" (avvenuto nella primavera del
2008 e conclusosi con un raid condotto dalle teste di cuoio
francesi che costò la vita a 3 civili tra i membri dell'equipaggio
e gli ospiti a bordo, oltre che un numero imprecisato di pirati
somali), per parola del Ministro della difesa, definì inopportuna
l'idea di altri raid, ovvero di posizionare personale militare a
bordo delle navi poiché ciò sarebbe andato a discapito degli
ostaggi francesi futuri o ancora presenti nelle mani dei pirati
somali.
Evidentemente le fonti d'informazione dei professori universitari
intervistati devono essere state le riviste in-flight magazine
tipiche dei comodi viaggi fatti alla volta di ancor più blasonate
Conferenze Mondiali in cui si parla di Somalia, di Aree di Crisi
internazionale e poi si va tutti ai grandi buffet degli alberghi a
sette stelle di Dubai o di Abu Dhabi.
Fortunatamente il Ministro della Difesa Ignazio La Russa ha
raffreddato i facili entusiasmi dell'ammiraglio Branciforte che si
vedeva già in vacanza a spese del contribuente nei caldi mari della
Tanzania affermando che «risulta difficile immaginare che dei
militari possano, essere sotto il comando di un pur bravo
comandante civile di un mercantile.»
«Mi chiedo - aveva aggiunto il Ministro - se questo non farebbe poi
dire "perché non mettere un paracadutista in ogni pullman che
attraversa zone difficili d'Italia o in ogni tram che attraversa
quartieri malfamati delle nostre città?".»
«Io credo che la soluzione migliore - ha concluso il ministro - sia
una modifica normativa, se ce n'è bisogno, per equiparare le navi
alle banche e ai proprietari delle navi di assumere guardie giurate
per preservare la sicurezza. Se c'è bisogno di una modifica
normativa si può fare anche per decreto.»
Disegni di Legge che vanno in tale direzione (unica percorribile
vorrei aggiungere), in Parlamento, ne sono già stati depositati ben
quattro.
In due di questi, poi, a cui ho personalmente contribuito sia
durante la fase di progettazione che durante quella di
elaborazione, deposito e assegnazione alla Commissione competente,
l'ultimo capoverso recita così.
«Dall'attuazione della presente legge non devono derivare nuovi o
maggiori oneri a carico della finanza pubblica.»
Anzi, avrei voluto aggiungere che «dall'attuazione della presente
legge deriveranno maggiori posti di lavoro, contributi carico
azienda e carico dipendente, gettito Iva e Irap a favore della
finanza pubblica.»
Oggi la pirateria marittima nel mondo e nell'Oceano Indiano in
particolare rappresenta un danno economico che nel suo insieme vale
tra i 7 e i 12 miliardi di dollari per anno dove il valore dei
riscatti pagati per il rilascio degli equipaggi e delle navi
sequestrate solo nel 2010 vale una cifra come 238 milioni di
dollari.
Dollari che solo in parte finiscono nelle mani dei gruppi tribali
somali che alimentano i ranghi della pirateria e che invece vanno
nelle tasche dei warlords locali, dei trafficanti di armi e di
droga, dei politici locali corrotti che tutti insieme
contribuiscono a rendere quel pezzo di mondo dove transitano,
ahinoi, il 90% degli scambi mondiali di materia prima (lavorati,
semilavorati e dry) e il 35% del petrolio mondiale, un luogo molto
insicuro.
Agli armatori di Confitarma non resta che smettere con le ipocrisie
e contribuire direttamente al costo della sicurezza dei loro affari
e dei loro equipaggi nonché delle provate casse delle Difesa,
pagando le necessarie scorte ai convogli o imbarcando i security
team a bordo delle loro navi.
La Marina Militare si faccia una ragione del fatto che le ultime
tre guerre Kosovo, Afghanistan, Iraq, si sono combattute sulla
terraferma... sarà per una prossima volta.
Antonio De Felice