È Pasqua, il saluto di Mons. Luigi Bressan – Di Nadia Clementi

Dopo 17 anni l’arcivescovo di Trento lascia la Diocesi per raggiunti limiti di età – Lascia un Trentino che da terra di emigrazione è divenuto di immigrazione

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Dopo 17 anni l’arcivescovo Bressan ha dato le dimissioni dal suo incarico. I motivi di questa scelta non sono di salute come accadde per Joseph Ratzinger, bensì ordini dall’alto, direttamente da una disposizione di papa Francesco che riguarda i vescovi diocesani e che prevede la presentazione volontaria delle dimissioni da parte dell’interessato al compimento dei 75 anni.
Età che monsignor Bressan ha compiuto il 9 febbraio scorso, settantacinque anni portati splendidamente e ancora carichi di impegni.
L’arcivescovo emerito infatti è molto impegnato su innumerevoli fronti e in questo momento ricopre due prestigiosi incarichi: è presidente della Conferenza mondiale delle religioni per la pace (cui fanno riferimento ben 600 guide religiose di tutti e cinque i continenti) ed è anche presidente della Caritas internazionale.
L’arcivescovo di Trento ha obbedito alle disposizioni del Santo Padre e il giorno del suo settantacinquesimo compleanno ha presentato le dimissioni, accolte il giorno seguente da Papa Francesco.
A succedergli sarà don Lauro Tisi che ha pronunciato mercoledì 9 marzo, nella cappella del palazzo di Curia, la professione di fede e il giuramento di fedeltà in vista dell'assunzione dell’incarico.
 
Luigi Bressan è nato a Sarche il 9 febbraio 1940 ed è il quarto di undici figli.
Viene ordinato sacerdote nel 1964 e il 25 marzo 1999 papa Giovanni Paolo II lo nomina arcivescovo metropolita di Trento.
Durante il suo servizio alla Chiesa Cattolica Bressan ha girato il mondo; dalla Corea al Pakistan, dalla Malesia al Brunei ma è stato anche inviato a Ginevra per le Nazioni Unite.
Poi, come sempre, il ritorno a casa, tra la propria gente e i fedeli che lo hanno riabbracciato sapendo di trovare un uomo di chiesa concreto, quasi d’altri tempi: autore prolifico, studioso e attento ai bisogni dei poveri, autore di omelie e richiami alle coscienze che difficilmente i trentini dimenticheranno.
Un vescovado quello di Bressan che rimarrà certamente impresso nella memoria, quasi un ventennio in cui Monsignor è stato sempre presente nella vita dei fedeli, della città e anche della periferia.
Il grande affetto dei cattolici trentini gli è stato dimostrato anche in occasione delle ultime messe da lui celebrate: l'ultima lunedì santo insieme ai ragazzi dell’Anffas e in occasione dell’apertura della porta santa per il Giubileo della Misericordia, cerimonia che hanno visto la partecipazione di centinaia di persone.
Noi, a pochi giorni dal saluto ufficiale alla Diocesi, siamo andati a trovarlo nella sua dimora di Piazza Fiera per farci raccontare questi anni di lavoro e fare un bilancio sulle attività della Curia trentina.
 

 
Monsignore, Lei è Trentino, ma ha passato gran parte della sua vita in giro per il mondo a incontrare la sofferenza. Può dirci il pensiero che si sente di esprimere al termine del suo pellegrinaggio?
«Sono stati anni importanti vissuti nel cammino di una Chiesa viva, con un buon clero e sane tradizioni, che ho trovato ben consolidate nelle diverse parrocchie.
«Il rapporto con le persone è stato sempre bello, aperto e schietto. In occasione di feste, incontri e Cresime, mi sono sempre sentito a mio agio e ben accolto dai sacerdoti e dalla gente.
«Ho sempre percepito un grande senso di comunione poiché negli anni passati si viveva in modo più semplice ed era più facile gestire piccole comunità parrocchiali.
«Oggi, invece, la società è cambiata, è più individualista e per questo siamo tutti chiamati a favorire il cambiamento, a ristabilire lo spirito umanistico di appartenenza sociale.
«Le nuove generazioni studiano di più, imparano lingue, hanno maggiori competenze e gli attende un futuro di buone speranze perché la vita è un'avventura che va assunta e non subita.
«E i giovani devono avere il coraggio di andare contro le tendenze per essere costruttori del loro destino. Nel cristianesimo, infatti, Dio desiderava una vita vissuta in pienezza non in sopraesistenza e lo stesso concetto lo afferma oggi anche Papa Francesco: non si deve vivacchiare ma vivere
 
Poi è tornato a casa, diventato arcivescovo di Trento 17 anni fa nel 1999. Come ha trovato la sua Diocesi? Era molto cambiata da quando Lei se ne era andato?
«Nel corso degli anni la Diocesi è cambiata eccome! Anche se non ero presente l'ho sempre seguita attraverso le relazioni dei miei collaboratori e la corrispondenza.
«Sono partito nel 1967 quando c'era l’emigrazione della nostra povera gente verso la Germania e la Svizzera e sono ritornato con l’immigrazione del Terzo Mondo, di coloro che cercavano da noi una vita migliore.
«Ma dopo 32 anni di studi a Roma, in un ambiente internazionale, ho avuto la fortuna di comprendere che nessuno è straniero, tutti siamo cittadini del mondo.
«Il periodo iniziale del '99 è stato favorevole, c'era un parroco in ogni paese e la vita sociale era più semplice, ma poi dall'anno 2000 le organizzazioni pastorali sono cambiate e hanno dovuto adeguarsi a questa nuova evoluzione comunitaria.
«Di conseguenza anche la Chiesa ha dovuto fare i conti con la crisi economica attivandosi alla creazione di nuovi posti di lavoro, come per altro aveva già fatto negli anni '50 e '60 con diverse leggi e istituzione pubbliche.
«E oggi si devono fare i conti anche con i rifugiati, che sono categorie particolari. Ma la chiesa non è rimasta passiva, ha cercato subito delle soluzioni e degli aiuti concreti: sono 29 le persone accolte nelle nostre parrocchie e 140 i posti ancora disponibili su tutto il territorio trentino.
«Ultimamente anche il Papa ha lodato l'accoglienza e l'operato della Diocesi di Trento.»
 

 
Lei è stato vescovo di Trento nell’era di Dellai. È soddisfatto dei risultati che è riuscito a ottenere insieme con la Provincia Autonoma di Trento?
«La politica non è il nostro campo, noi ci occupiamo più di formazione e di trasformazione, del passaggio dalla catechesi a quella che noi chiamiamo iniziazione cristiana assieme alle famiglie. L'importante non è solo imparare, ma contribuire a una crescita di partecipazione in particolare del mondo giovanile.
«Oggi abbiamo dei ragazzi che si impegnano in buone azioni sociali e l'attività pastorale giovanile, in collaborazione con la Caritas, si è sviluppata a livello umanitario anche negli ospedali e nel carcere.
«Per quanto riguarda i risultati ottenuti fino a questo momento mi ritengo particolarmente soddisfatto della realizzazione del nuovo Centro Culturale e della ristrutturazione del Seminario maggiore per il quale abbiamo provveduto alla sua rinascita senza fondi pubblici.»
 
È riuscito a riportare a casa i missionari trentini con l’iniziativa «Sulle strade del mondo». Un anno è stato dedicato alle Americhe, uno all’Africa, un altro all’Oriente. Come può descriverci questi momenti emozionanti e quali risultati hanno portato?
«L'iniziativa Sulle strade del mondo voleva essere una manifestazione che vedeva protagonisti i missionari e le suore del Trentino impegnati in ogni angolo del pianeta, nonché le tante associazioni che sviluppano progetti di solidarietà internazionale in Africa, Asia, America Latina ed Europa.
«L'idea era partita dall'Ente pubblico, da Dellai, ed è stata svolta con entusiasmo.
«Avrebbe dovuto continuare, con l'obiettivo di affrontare altre tematiche di prevenzione riguardanti la donna, l'acqua e l'educazione, ma poi il progetto è stato abbandonato e la chiesa da sola non ha potuto portarla a termine.
«Comunque hanno luogo diversi Festival internazionali che coinvolgono più di 250 organizzazioni non governative, anche se alcune di queste parlano molto e lavorano poco.
«Si collabora con 850 missionari con i quali è nata una campagna di sensibilizzazione per le popolazioni in via di sviluppo attivata attraverso i media e le scuole.»
 

 
La Provincia autonoma di Trento destina una notevole cifra alla beneficienza nei paesi più poveri del mondo. La Chiesa trentina collabora strettamente con tali iniziative?
«Alcuni progetti sono stati creati e coordinati con la PAT e la Regione, ma in genere l’ente pubblico collabora con noi direttamente sul territorio.
«Invece lo 0,25% del bilancio della Provincia è destinato alle popolazioni povere del mondo. Difficile trovare un analogo impegno…»
 
Quali sono i risultati che le hanno dato più soddisfazione in questi anni da arcivescovo di Trento?
«In particolare, l'accoglienza e il costruire una Comunità condivisa con il Clero e con le parrocchie che lavorano e collaborano in un clima di apprezzamento e di sollecitazione.
«Poi una lode va a tutta l'attività della Caritas che è molto ramificata e molto attenta alle sofferenze.
«Un altro segno di grande ricchezza spirituale è la numerosa presenza di vita religiosa delle comunità, laici compresi, uniti in una fratellanza attiva.»
 
C’è qualcosa che avrebbe gradito fare ma che non Le è stato possibile?
«Non grandi cose, forse mi sarebbe piaciuto avere più sacerdoti, anche se in questi ultimi anni è un po’ cresciuto il numero dei seminaristi.
«Mi fa soffrire, invece, il forte calo delle vocazioni femminili anche se pare ci sia una timida ripresa. Molti conventi femminili sono stati chiusi, ma ora sono anche previste le aperture di due nuove case a Drena e a Caldonazzo.
«Per quanto riguarda la realizzazione di iniziative importanti non sempre è possibile concretizzare quello che si vorrebbe. Per finanziamenti fino a 250mila euro è necessario il parere di due organismi: quello incaricato degli affari economici diocesano che approva la liquidità e il Consiglio dei Consultori il quale vede l'opportunità di realizzare il progetto.
«Per investimenti superiori è necessaria l'approvazione del Consiglio, che non è sempre favorevole.»
 

 
Può darci un pensiero da inviare a quella parte dei nostri lettori che non sono credenti?
«Chi sia credente o no, lo lasciamo giudicare a Dio. Per quanto mi riguarda ne sono riconoscente, ho ricevuto il dono della fede che considero un privilegio e mi dà una grande forza.
«Possiamo convivere bene anche con chi non è credente poiché la fede da speranza e coraggio di fronte alle difficoltà e alle sofferenze della vita: l'umanità è unica e sono convinto che Dio sia presente in ogni uomo.»
 
Un suo pensiero sulle nuove famiglie?
«È un dato di fatto che aumentino le convivenze rispetto ai matrimoni e sono sempre più numerose le nuove famiglie.
«Per quanto riguarda le unioni civili non credo si possano unificare al vincolo del matrimonio perché l’unione tra un uomo e una donna ha uno scopo preciso.
«Altrettanto penso delle unioni dello stesso sesso, le quali chiedono uno specifico accordo.
«Sinceramente non si comprende perché queste dovrebbero avere un trattamento diverso e personalmente non credo sia compito dello Stato decidere delle loro relazioni private.»
 
Per chiudere Le chiediamo una sua breve riflessione riguardante il Terrorismo islamico?
«Nel mondo 1 miliardo e 800 milioni di persone sono di fede musulmana, circa 2 miliardi sono i cristiani.
«In entrambe le religioni esistono o sono esistite delle branche estreme che vanno ovviamente arginate.
«L’Islam non è una religione di guerra, ma di pace come tutte le altre. Le guerre in seno alle quali nascono le follie estremiste sono state provocate da noi occidentali, basti pensare alla Libia o all’Iraq, e questo è un dato su cui non credo si rifletta mai abbastanza.
«Il terrorismo islamico nasce da conflitti politici non religiosi.»
 
Nadia Clementi - [email protected]