«Gli incontri del giovedì»: 7 dicembre 2016 – Di Daniela Larentis

Con Giovanni Kezich e Marta Bazzanella nella Sala Civica di Mezzolombardo si parlerà di tre secoli di graffitismo rupestre fiemmese

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Il ciclo di serate predisposte dall’Associazione Castelli del Trentino denominato «Gli incontri del giovedì» prosegue con l’appuntamento fissato il prossimo 7 dicembre 2016 (anticipato a mercoledì poiché il giorno in cui si festeggia l’Immacolata Concezione cade il giovedì).
Durante l’incontro, che si terrà come sempre alle 20.30 presso la Sala Civica di Mezzolombardo, Corso del Popolo 17, Giovanni Kezich, Direttore del Museo degli Usi e Costumi della Gente Trentina di San Michele all'Adige, e Marta Bazzanella, ricercatrice del medesimo Museo, terranno una conferenza dal titolo «Graffitismo rupestre: le scritte dei pastori in Val di Fiemme (1550-1950)».
 
 Due parole sui due relatori 
Giovanni Kezich, antropologo. Si laurea in Filosofia (indirizzo psico-pedagogico) presso l'Università di Siena.
Nel 1980 consegue il Postgraduate Diploma in Material Culture dell'Università di Londra, with a mark of credit, dopo un corso biennale a tempo pieno presso il Dipartimento di Antropologia dell'University College London.
Dal 1990 prende servizio presso il Museo degli Usi e Costumi della Gente Trentina di San Michele all'Adige, in qualità di conservatore. Nel 1993 è nominato Direttore del medesimo Museo.
Nel 1991, insieme a Pier Paolo Viazzo, dà l’avvio ai lavori del Seminario Permanente di Etnografia Alpina (SPEA); è Direttore dell’annuario del Museo, SM Annali di San Michele (ISSN 1120-5687) e responsabile del progetto Carnival King of Europe.
 
Marta Bazzanella, Etnoarcheologa, si laurea in Paletnologia presso l’Università di Trento, consegue la specializzazione in Archeologia Preistorica presso il Dipartimento di Antropologia e Ecologia dell’Università di Ginevra e il Dottorato di Ricerca in Scienze della Terra e Preistoria presso l’Università di Siena.
È autrice di numerose pubblicazioni sulle produzioni tessili preistoriche e protostoriche e sulle industrie in materie dure animali di epoca preistorica.
Dal 2003 è funzionario di ambito storico culturale presso il Museo degli Usi e Costumi della Gente Trentina, a San Michele all’Adige dove si occupa dei beni demoetnoantropologici materiali e di ricerche a carattere etnoarcheologico; coordina dal 2006 il progetto sulle scritte dei pastori della valle di Fiemme.
 
In attesa di incontrarli all’appuntamento di mercoledì 7 dicembre, abbiamo avuto il privilegio di porgere a Marta Bazzanella alcune domande.
 

 
Tre secoli di graffitismo rupestre fiemmese in prospettiva etnoarcheologica, questo è il tema che verrà da voi affrontato a breve nell’incontro organizzato dall’Associazione Castelli del Trentino. Da chi è stato ideato e condotto il progetto di ricerca?
«Il progetto di ricerca è nato nel 2006 in seguito ad alcuni sopralluoghi effettuati da me e da Giovanni Kezich in valle di Fiemme per comprendere la portata delle segnalazioni descritte da Giuseppe Šebesta nei suoi scritti etnografici relativi all’allestimento delle sale espositive del Museo di San Michele; in una vetrina del percorso espositivo sono infatti presenti alcune pietre con scritte in ocra rossa effettuate dai pastori di capre e pecore della valle.
«È stato chiaro fin dall’inizio che la portata del fenomeno non era marginale (le scritte che erano infatti moltissime!) e che per poterle capire bisognava addentrarsi sia nell’ambito della pastorizia che in quello dell’arte rupestre: i luoghi e la concentrazione molto alta di scritte richiamavano alla memoria le immagini delle incisioni della Valcamonica, del Monte Bego, della Maiella… Quindi un fenomeno non estraneo alle Alpi e nemmeno agli Appennini.
«Capimmo subito che per cercare di dare una spiegazione alla presenza di tutte quelle scritte in valle di Fiemme era necessario addentrarsi in un una ricerca che avrebbe avuto a che fare con testimonianze di epoca contemporanea, ma anche con documenti scritti molto vecchi, per i quali ormai non sarebbe stato più possibile recuperare la memoria, nemmeno negli archivi territoriali. Fece quindi capolino l’idea di intraprendere una ricerca interdisciplinare di carattere etnoarcheologico, coinvolgendo materie come la dendrocronologia, la fisica, la chimica, la geologia, l’archeologia, l’etnografia, la storia e l’etnostoria.»
 
Quando sono iniziate e quanti anni sono durate le ricerche complessivamente?
«Le ricerche sono iniziate nel 2006 e sono in via di conclusione».
 
Quante scritte pastorali sono state catalogate fino ad ora?
«Oltre 47.000.»
 
In che zona sono state rinvenute le scritte?
«L'area di studio è delimitata a nord dal passo di Pampeago e dal gruppo montuoso del Latemar (foto in alto), a est dalla valle di Stava, a sud dal torrente Avisio e a ovest dalla Valsorda.
«Vi sono tuttavia sconfinamenti anche in valle di Fassa, val Venegia, a Passo Rolle e nel gruppo del Lagorai.»
 

 
Da un punto di vista cronologico qual è il periodo considerato, le scritte quando furono lasciate sulla roccia?
«La cronologia delle scritte presenti sulle pareti spazia tra la metà del '500 e la metà del '900, ovvero dagli albori della scrittura in valle fino al tramonto della società tradizionale basata sul sistema economico agrosilvopastorale.»
 
Quali sono le caratteristiche principali di queste iscrizioni, da che cosa sono composte?
«Le scritte sono composte dalle iniziali del nome e cognome del pastore, autore della scritta, seguite dalle lettere FL (abbreviazione di: fece l'anno) e dall’indicazione dell’anno, talvolta anche del mese e del giorno in cui è stata effettuata l’iscrizione; sotto o a fianco di questo è presente il conteggio del bestiame portato al pascolo.
«Inoltre le scritte possono essere racchiuse da cornici di varia foggia spesso accompagnate da disegni e simboli religiosi, cristogrammi e croci, o da motivi floreali. Ricorrono altresì figure di animali, sia domestici che selvatici, scene di caccia, ritratti, autoritratti, messaggi di saluto e annotazioni diaristiche.
«Quasi sempre il pastore apponeva anche il proprio segno di casa (localmente detto noda): questi segni familiari erano in passato molto importanti perché attestavano e distinguevano di chi fosse la proprietà delle pecore rispetto al grande gregge o a chi appartenesse la proprietà degli attrezzi da lavoro.»
 
In che modo sono cambiate nel tempo?
«Nella loro morfologia le scritte presentano una variabilità che le fa distinguere, ad un primo approccio visivo, in due gruppi: le scritte antecedenti alla seconda metà dell'Ottocento e le scritte successive alla seconda metà dell'Ottocento.
«Nelle scritte più antiche prevalgono le sigle del nome e cognome dei pastori, i segni di casa, i pittogrammi, i simboli sacri e i conteggi dei capi di bestiame.
«L'autore è difficilmente riconoscibile se non attraverso i segni di famiglia e la superficie di scrittura viene puntualmente delimitata da cornicette, creando spesso una sorta di piccola edicola sormontata da una croce.
«Lo spazio può anche essere campito da puntini o evidenziato facendo risaltare il negativo della scritta. Sono scritte stereotipate che sembrano esprimere la volontà di marcare un territorio, di lasciare la traccia del proprio passaggio.
«Nel secondo gruppo di scritte, quelle del tardo Ottocento e del Novecento, le sigle, le abbreviazioni e i segni di famiglia lasciano gradatamente il posto al nome e spesso al soprannome dell'autore, scritto per esteso, talvolta accompagnati dall'indicazione del comune di provenienza, a dimostrazione di una alfabetizzazione che si fa sempre più capillare.
«Compaiono inoltre messaggi che vogliono fissare un evento, come il freddo, la gran fame, il pericolo scampato…, assieme a brevi annotazioni con essenziali dati cronologici: quando e per quanto tempo, il bene e il male dell’esperienza lavorativa, la voglia di fare festa e di divertirsi, lo stato del tempo atmosferico, la ricerca di qualche pecora smarritasi, la gran fatica, la stanchezza, o gli stati d’animo meno felici.
«Soprattutto nel Novecento, compaiono anche sparuti messaggi di natura più prettamente pubblica, che riflettono i grandi eventi politici del tempo.»
 

 
Da che paesi provenivano gli autori di tali preziose testimonianze e quali erano i loro compiti?
«I pastori provenivano sostanzialmente dai quattro paesi che gravitano alle pendici del monte Cornón: Tesero, Panchià, Ziano di Fiemme e Predazzo: quattro comunità che, nell'ambito di un'economia agro-silvopastorale, si sono spartite lo sfruttamento di tutta la montagna alle loro spalle: dai prati di quota, riservati alla fienagione, ai ripidi pendii dei versanti che sovrastano gli abitati, non coltivabili a causa della pendenza, e destinati al pascolo degli ovini da lana e dei caprini asciutti che, non dovendo essere munti, potevano essere pascolati sui terreni più impervi alla ricerca anche dell'ultimo filo d'erba.
«Una ristrettezza di risorse che ben rappresenta la fatica svolta da sempre dall'uomo per poter sopravvivere in montagna: un contesto che prevedeva lo sfruttamento di tutto il territorio a disposizione, che veniva quindi rigidamente controllato e regolamentato dalle istituzioni locali. Compito dei pastori era allora quello di mantenere il gregge nella fascia altimetrica, sovrastante gli abitati, compresa tra gli ultimi terreni destinati alla coltivazione e quelli di quota riservati alla fienagione.
«Capre e pecore dovevano attendere che i prati delle sommità fossero stati falciati, pascolando soltanto nelle zone intermedie della montagna, a quote più basse, tra i 1.200 e i 2.000 metri.
«Solo a sfalcio avvenuto, per il restante periodo estivo e fino al primo autunno, capre e pecore potevano disporre di tutta la superficie prativa per il pascolo.
«Sulle pareti del Cornón sono tuttavia attestate presenze anche di pastori di altri paesi della val di Fiemme, del Bellunese, del Primiero e della val di Sole.»
 
Che tipo di pigmento usavano i pastori della Val di Fiemme e dove lo reperivano?
«Il pigmento utilizzato dai pastori, detto localmente ból, è un’ematite che veniva reperita principalmente in una miniera poco più a monte dell’abitato di Ziano di Fiemme: la Cava del Ból; altre miniere si trovano in Valsorda e sul versante settentrionale del Latemar.
«Per fare sì che l'ocra rossa attecchisse e rimanesse indelebile sul supporto roccioso, i pastori mungevano un po' di latte di pecora o di capra, lo ponevano su di una pietra piatta e sfregavano quindi un pezzo di ocra sulla pietra bagnata ottenendo una densa poltiglia.
«In alternativa al latte era usata anche la saliva o l'urina. Una preparazione molto efficace visto che le scritte sono rimaste ben evidenti per oltre tre secoli.
«Per pennello si usava un rametto masticato all'estremità o battuto con un sasso, per liberarne parzialmente le fibre.»
 
Quali difficoltà avete dovuto affrontare durante le ricerche?
«Principalmente l’asperità delle zone indagate, non facili da percorrere in quanto la maggior parte delle scritte si trova su terreni con pendenze comprese tra i 30°e i 60°.»
 

 
La ricerca etnografica e etnoarcheologica da voi condotta ha portato al rinvenimento di due ripari sottoroccia: di che cosa si tratta esattamente?
«La ricerca etnografica condotta dal Museo degli Usi e Costumi della Gente Trentina a partire dal 2006 tra i vecchi pastori della valle al fine di fornire un'interpretazione al particolare fenomeno delle scritte pastorali ha portato all'individuazione di due ripari sottoroccia, il riparo del Trato e il riparo Mandra di Dos Capèl, usati rispettivamente come luogo di sosta temporanea, nell'ambito di uno spostamento giornaliero dagli abitati di fondovalle per far pascolare gli armenti, e come ricovero stagionale, durante la stagione estiva.
«A partire dal 2007, nel nei due ripari, sono state condotte due campagne di scavo archeologico per cercare riscontro alle informazioni avute dai pastori intervistati.
«Le ricerche hanno messo in luce, al di sotto dei livelli storici, una serie di frequentazioni caratterizzate dalla presenza di focolari e di livelli carboniosi nonché dall'assenza di cultura materiale.
«Le datazioni radiometriche dei carboni di questi livelli hanno evidenziato inaspettatamente un'occupazione dei ripari già a partire dall'età del Rame.
«Le analisi dendrocronologiche condotte sulla struttura lignea presente in uno dei ripari, hanno identificato invece precise fasi di risistemazione del ricovero, confermando altresì le informazioni ottenute dall'indagine etnografica.»
 
Come è stata accolta dal pubblico la mostra da lei curata, organizzata a suo tempo dal Museo degli Usi e dei Costumi della Gente Trentina di San Michele all’Adige, relativa alle testimonianze lasciate dai pastori sulla roccia in val di Fiemme?
«Con la mostra si è voluta fare una sintesi critica del lavoro pluriennale svolto dal Museo degli Usi e Costumi della Gente Trentina, si sono potute ascoltare le videointerviste agli ultimi pastori-scrittori del Cornón, che si sono rivelate una fonte ricchissima di dati sulla vita, le abitudini, le pratiche e le regole della pastorizia praticata nel vicino passato su questa montagna che oggi non è più esercitata con le stesse modalità.
«La mostra, che è nata come un’esposizione itinerante e che ha visto la collaborazione della Comunità Territoriale, della Magnifica Comunità di Fiemme, dei Comuni di: Tesero, Panchià, Ziano e Predazzo, è stata ospitata in tutti i paesi della valle di Fiemme con l’obiettivo di pervenire ad una sensibilizzazione capillare delle comunità locali sull’importanza del fenomeno delle scritte dei pastori e sulla necessità che questo diventi, con la realizzazione di percorsi di visita e la creazione di un centro di documentazione, un polo di attrazione culturale.»
 
Progetti futuri?
«La pubblicazione di una guida sui percorsi di visita alle scritte dei pastori.»
 
Daniela Larentis - [email protected]