«Hygge», la ricerca della felicità quotidiana – Di Daniela Larentis

Nel libro di Meik Wiking, direttore dell’Happiness Research Institute di Copenaghen, si parla della via danese alla felicità

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All’Happiness Research Institute di Copenaghen, un istituto di ricerca indipendente che analizza benessere, felicità e qualità della vita, vengono indagate le cause e gli effetti della felicità umana.
Meik Wiking, il direttore del centro, è autore di un saggio in cui tenta di spiegare in cosa consista esattamente questa pratica, dal titolo «Hygge, la via danese della felicità» edito da Mondadori.
Innanzitutto, sottolinea il fatto che la Danimarca sia ritenuto uno dei Paesi più felici al mondo, tanto che giornalisti di New York Times, Guardian, BBC e di altre famose testate scrivono settimanalmente chiedendo una spiegazione per gli alti livelli di benessere, di felicità e di qualità della vita del popolo danese.
Un vero mistero a detta di molti, considerando il fatto che i cittadini danesi sopportano un peso fiscale fra i più elevati al mondo. Il largo consenso dei danesi verso lo stato sociale, spiega Meik Wiking, pare derivi dalla consapevolezza che il modello assistenziale trasformi la ricchezza collettiva in benessere.
«Eppure – aggiunge -, di recente mi sono reso conto che potrebbe esserci un ingrediente sottovalutato nella ricetta della felicità danese: la hygge». Il termine deriva da una parola norvegese che significa «benessere».
 
Hygge è un termine usato anche come aggettivo o verbo, racchiude un mondo di significati, è un indicatore di successo per buona parte degli eventi sociali, è un punto di forza di numerosi esercizi.
Secondo l’autore un terzo della popolazione danese crede che sia un termine non traducibile in altre lingue e ritiene che venga praticata soprattutto in Danimarca.
Leggiamo a pag 30: «Un altro aspetto forse ineguagliabile della hygge danese è la misura in cui le persone ne parlano e vi si dedicano, considerandola un tratto distintivo dell’identità culturale e una parte integrante del DNA nazionale.
In altre parole, la hygge è per i danesi quello che è la libertà per gli americani, la precisione per i tedeschi e l’aplomb per i britannici».
E’ un termine che si può aggiungere, spiega l’autore, a qualsiasi altra parola o quasi.
«Una persona può essere hyggespreder (colui che diffonde la hygge), il venerdì sera è riservato alla familienhygge, e i calzini possono essere classificati come hyggesokker.»
 

 
Vi sono nel mondo dei concetti molto affini alla hygge, per esempio la «gezelligheid» olandese, un termine che non indica solo qualcosa di piacevole o di confortevole, ma è molto più di questo.
«Koselig» per i norvegesi corrisponde a una sensazione di intimità, di calore, in Germania per esprimere più o meno lo stesso concetto i tedeschi usano il termine «Gemütlichkeit».
Non sono concetti totalmente identici, ci fa notare Meik Wiking, però vi è un aspetto che li accomuna tutti, «l’essere versioni più sviluppate e complesse di un senso di benessere, calore e intimità. I termini denotano diversi gruppi di attività e scenari in grado di generare sentimenti simili e correlati, che si sono fusi in concetti linguistici».
 
«Che c’è nel nome?» si interroga l’autore, sottolineando il fatto che da un lato il nome specifico non ha valore di per sé, in quanto hygge funziona tanto quanto la gezelligheid, per esempio.
«D’altro canto, però, i nomi ci servono per catturare questa sensazione di benessere, calore e intimità, plasmarla in un concetto più raffinato e infine sviluppare un fenomeno che contraddistingua i nostri specifici tratti culturali.»
 
La lingua riflette il nostro mondo – osserva l’autore – e tira in campo l’antropologo Franz Boas, il quale studiando il popolo Inuit stanziato nel Canada settentrionale scoprì che per descrivere la parola neve esistevano numerosi vocaboli, come quello che indica la neve che cade piano e molti altri.
«Alla luce di queste scoperte – spiega poi – l’ipotesi di Sapir-Whorf sostiene che la lingua di una cultura riflette il modo in cui un popolo vive il proprio mondo e insieme ne influenza le azioni.»
Leggiamo nel capitolo che illustra perché in tutte lingue vi siano parole intraducibili: «Una spiegazione del perché sviluppiamo queste parole uniche e intraducibili è che, all’interno di una specifica cultura, ci rifacciamo a tradizioni e modelli di comportamento specifici. E abbiamo bisogno di parole per descriverli.»
Diventa semplice per quelle parole facili da tradurre, cose tangibili, molto più complicato risulta invece tradurre concetti.
 

 
Dunque, cosa è hygge? Nel libro ci sono molti esempi. Un momento hygge è versarsi una tazza di caffè e sedersi alla finestra, oppure una conversazione leggera e rilassata, l’atmosfera creata dalla luce giusta ottenibile posizionando con cura le lampade, la luce creata dal bagliore delle candele, lo è trovarsi con pochi amici condividendo l’intimità della casa, lo può essere una situazione che prevede lunghi momenti di riflessione.
«Il tempo trascorso in compagnia crea un’atmosfera calda, rilassata, cordiale, intima, confortevole, comoda, accogliente. Per molti versi è come un buon abbraccio, ma senza il contatto fisico.»
 
Questo termine lo si potrebbe associare anche a quelle famiglie in cui le persone vivono quotidianamente situazioni hygge, in cui nessuno domina la conversazione troppo a lungo, case dove si respira calore umano, gioia e condivisione, luoghi in cui sentirsi se stessi in perfetta armonia, dove vi siano tavoli apparecchiati con calore, dolci da gustare con gli amici, tazze di caffè fumanti, forni accesi e garbata allegria, buon cibo, coperte sui divani dove stare accoccolati, angoli accoglienti dove poter leggere un buon libro appoggiati su colorati cuscini, e candele accese.
 

 
Pare proprio che le candele siano un must, i danesi sono quasi ossessionati dalle candele, in Danimarca se ne trovano ovunque.
Del resto, leggiamo nel libro che oltre la metà dei danesi accende candele quasi ogni giorno in autunno e in inverno.
Una candela per le occasioni speciali, oltre a quella che si accende nei giorni che precedono il Natale, è quella del 4 maggio, il giorno della «lysfest», o festa della luce.
«La sera del 4 maggio 1945, la BBC annunciò la resa dell’esercito tedesco, che occupava la Danimarca dal 1940. Come altri Paesi durante la Seconda guerra mondiale, la Danimarca aveva adottato misure di oscuramento per impedire agli aerei nemici di lasciarsi guidare dalle luci della città.
«Oggi, i danesi celebrano ancora il ritorno della luce avvenuto quella sera, esponendo candele alle finestre.»
 
Le candele sono quindi considerate dai danesi hyggelige, nonostante la fuliggine che generano.
In conclusione, se abbiamo interpretato bene ciò che è scritto nel saggio, la hygge si può intendere come un modo di vivere la vita, una ricerca della felicità quotidiana attraverso piccoli gesti, un modo di apprezzare le piccole cose, il creare un’atmosfera calorosa e intima, e ha molto a che vedere con le emozioni e la cura non solo della propria casa, dei propri spazi, ma anche delle persone care.
 
Daniela Larentis – [email protected]