Missione a Herat/ 17 – La vita militare nel deserto
Lo studio delle caratteristiche di attentati e le tattiche di prevenzione
I quattro alpini morti in agosto avevano eseguito le procedure
previste, portandosi così con il mezzo sopra una bomba ad alto
potenziale. Che poi è esploso. Un'azione, quella degli attentatori,
ad alto spessore tattico, che hanno dimostrato di essere sempre
presenti e acuti osservatori.
L'attentato ha imposto un repentino cambiamento delle prassi da
parte degli uffici preposti e dalle esercitazioni necessarie che ne
sono seguite.
Tra le esercitazioni necessarie, c'è anche la caduta del
rallista (il mitragliere). È il militare che rimane esposto fuori
dal tettuccio del mezzo per controllare, MG alla mano, il
territorio a 180 gradi (gli altri 180 sono a carico dell'altro
mezzo). In caso di esplosione, il ragazzo (che è l'unico a non
essere fissato ai sedili con le cinture di sicurezza) viene
sbalzato fuori dall'abitacolo. Oltre a prendere un'insaccata
terribile, farà una caduta da due metri di altezza. Con o senza
ginocchiere e gomitiere, nella migliore delle ipotesi si
sbuccerà.
Nell'attentato di un mese fa, accaduto dalle parti di Zeerko
Valley, un lince è finito su una mina, probabilmente interrata
ancora dai Russi, saltando in aria.
Nell'auto colpita c'è stato un ferito lieve, grazie al fondo
dell'automezzo che oltre ad essere corazzato è anche a V.
Ma un pezzo di copertone è andato a sbattere sul rallista (il
mitragliere) dell'altro lince, strappandolo fuori dall'abitacolo.
Il mitragliere si è rotto una clavicola. Niente in tutto, a ben
vedere.
L'attentato accaduto mentre noi eravamo in Afghanistan è avvenuto a
Bala Murghab, a nord della regione controllata dagli Italiani,
sulla strada che dalla base avanzata porta a un distaccamento
vicino al confine con il Kazakistan. Una bomba è stata fatta
esplodere mentre passava una colonna di tre lince. L'ultima vettura
è stata colpita. Non distrutta, ma comunque fuori uso. Anche in
questo caso il rallista è stato sbalzato fuori: ha preso
un'insaccata e si è sbucciato mani, gomiti e ginocchia. Visto che è
accaduto mentre c'eravamo, abbiamo seguito la prassi che ha seguito
l'attentato.
I due altri lince si sono messi a protezione del mezzo ferito e
subito è stato dato l'allarme. Dalla base sono accorsi altri mezzi,
che hanno anzitutto recuperato gli uomini dell'auto colpita, quindi
è intervenuta la scientifica militare, che ha isolato
l'area e ha rilevato tutto il rilevabile. È stato determinato che
la bomba era un proiettile da mortaio da 120 di origine russa,
interrato per l'occasione. Visto che i nostri mezzi sono dotati di
«jammer», strumento elettronico che disturba i collegamenti
telefonici e radio, l'ordigno era stato armato con un detonatore ad
accensione elettrica, collocato al posto di quello originale a
percussione.
Era stato quindi tirato (e nascosto) un filo della luce lungo circa
25 metri, in modo che il terrorista potesse farlo esplodere al
momento opportuno. Le indagini hanno appurato che l'individuo è
stato appostato per un paio di giorni, per cui non si riesce a
ricostruire per quale motivo avesse deciso di fare esplodere
proprio quel veicolo. Forse non ci era riuscito a farlo esplodere
prima, tanto vero che ha colpito l'ultimo mezzo di una colonna di
tre, cosa abbastanza inusuale.
Accanto al telecomando piezoelettrico sono state trovare racce di
orina, che la scientifica militare ha immediatamente raccolto per
recuperare il DNA.
Poi il mezzo danneggiato è stato caricato su un mezzo di trasporto
e trasportato alla base.
Nei tragitti di pattuglia nel deserto, i lince non seguono mai la
stessa strada. Non si può parlare di strade vere e proprie, dato
che consistono in tracce di autoveicoli precedenti. Ma poiché a
volte nei collettori che passano sotto la stradina vengono
collocati esplosivi (come avvenuto per l'attentato a Falcone), si
evita accuratamente di passarvi sopra.
Il viaggio di pattuglia a quel punto diventa insopportabile, perché
i sobbalzi sono davvero fortissimi. La velocità scende ai 30 km/h
nella migliore delle ipotesi. E l'autovettura che segue percorre
sempre le stesse tracce di chi ha aperto la pista.