Le iniziative per celebrare il centenario della Grande Guerra
Perché il Trentino è stato scelto come territorio naturale per le celebrazioni
>
Ci stiamo avvicinando alla data dell’attentato di Sarajevo, il gesto omicida che portò alla Prima Guerra Mondiale. L’attentato avvenne alle 10.30 del 28 giugno 1914, quando lo studente 19enne Gavrilo Princip sparò, uccidendoli, l’Arciduca Francesco Ferdinando d’Austria e sua moglie.
In realtà, per quanto il gesto criminale fosse stato fatto a fini politici antiaustriaci (Princip militava nel partito per l’unificazione degli «Slavi del Sud», gli Jugoslavi), gli storici concordano che il casus belli era ghiotto anche se non irreparabile. Ma la grande catastrofe era ormai inevitabile.
Dell’attentato ne parleremo allo scadere del centenario, il 28 giugno appunto. Qui vogliamo solo ricordare per quale motivo il Trentino giochi oggi un ruolo fondamentale nelle celebrazioni del Primo conflitto mondiale per quella parte che vede coinvolto l’Impero Asburgico.
Si guardi qui sopra la cartina storica dell’Impero Asburgico nel 1914 e vediamo che di tutti questi stati, in buona sostanza, solo il Trentino c’è ancora. Ed è tutto italiano.
Le sanguinosissime battaglie sull’Isonzo, undici per la precisione se togliamo Caporetto, hanno un problema insormontabile: i teatri dei più grandi eroismi italiani e austriaci non sono più in Italia. Il trattato di pace della Seconda Guerra mondiale assegnò all’allora Jugoslavia di Tito luoghi sacri per l’Italia come il Sabotino, il Monte Nero, la Bainsizza…
La maggior parte dei caduti sul fronte Italo Austriaco furono registrati nelle trincee dell’Isonzo, di cui però ci rimane solo il sacrario di Redipuglia. Sicuramente ci saranno grandi cerimonie anche su quei teatri che più videro il sangue dei nostri ragazzi, ma il Trentino rimane il territorio nazionale che ben rappresenta l’intera tragedia.
Il Trentino, peraltro, non avrebbe dovuto essere un teatro di battaglie, perché l’orografia rendeva tutto troppo complicato. E i forti che vennero costruiti lungo il confine, da entrambe le parti, avrebbero avuto il solo ruolo di impedire attacchi di una certa importanza.
Purtroppo, così non fu. L’Italia iniziò subito ad attaccare i forti degli altipiani di Lavarone e Folgaria, secondo noi, solo perché i vari comandanti non accettavano la posizione statica cui erano mandati a gestire. Insomma, volevano medaglie anche loro...
Il risultato fu solo quello di un mare di sangue sparso inutilmente da entrambe le parti.
Un anno dopo il conflitto, Austria e Italia tentarono di far saltare in aria intere montagne. La cosa riuscì meglio agli austriaci, che fecero saltare il Pasubio. Ne seguì la Strafen Expedition, che non portò comunque da nessuna parte. La guerra di movimento non funzionava ancora.
Un anno dopo, l’Italia mosse guerra per conquistare l’Ortigara. Fu la più grande battaglia mai combattuta in quota, con ben 400.000 soldati impiegati. E i risultati furono pari a zero.
Le perdite da entrambe le parti furono immani, i risultati sempre insignificanti. E già questo di per sé potrebbe giustificare il Trentino come centro naturale della memoria della Grande Guerra.
Ma il nostro territorio ha subito perdite ben più gravi e sopportato sofferenze disumane che meritano essere ricordate, dopo anni e anni di silenzio.
In una popolazione di 300.000 persone, ben 60.000 furono gli arruolati. Di questi, 11.400 persero la vita. Molti altri lasciarono il Trentino per arruolarsi volontari nel Regio Esercito Italiano. Di questi persero la vita più di 1.000.
Ma quel che è peggio è che i soldati caduti con la divisa austriaca nevvero fatti «dimenticare» dal Fascismo. Erano morti da nemici.
Solo negli ultimi anni la Provincia autonoma di Trento è riuscita a dare dignità ai propri morti. Ma c'è ancora molto da fare.