Storie di donne, letteratura di genere/ 38 – Di Luciana Grillo

«Storia della bambina perduta - L’amica geniale», ultimo volume di Elena Ferrante

Titolo: Storia della bambina perduta. L’amica geniale
Autrice: Elena Ferrante
 
Editore: Edizioni e/o 2014
Collana: Dal Mondo
 
Pagine: 464, brossura
Prezzo di copertina: € 19,50
 
Chi è davvero Elena Ferrante, la scrittrice napoletana autrice di romanzi memorabili come «L’amore molesto», «I giorni dell’abbandono», «La frantuma glia», «La figlia oscura»?
Dicono che sia una persona famosa che si nasconde dietro uno pseudonimo ordinario, dicono persino che sia un uomo, autore già famoso di altri romanzi.
Io sono convinta che sia una donna, perché delle donne ha la vivacità, la creatività, l’intuito, la generosità, la forza, il coraggio che nella scrittura le fanno mettere tutta se stessa, senza infingimenti.
Ha scritto una lunga storia, quella che si dipana in quattro volumi e che racconta un’amicizia profonda e contraddittoria fra due bambine che diventano donne in un rione soffocato dal conformismo e dalla delinquenza, insanguinato dalla sopraffazione e dalla violenza.
Sono diverse, Lenù e Lila, una va via da quell’intrico di vicoli e parentele, nella speranza di una «redenzione», l’altra rimane e sembra tirare i fili nel teatrino che è la vita; una si sposa, diventa scrittrice affermata, sembra aver dimenticato il rione, ma vi ritorna per coronare un sogno di adolescente, lasciando sicurezze ed agiatezza, e la presenza ingombrante ma rassicurante di un marito e dei suoceri; l’altra si inventa imprenditrice di successo, sentendosi la leader carismatica del rione.
Quando si ritrovano, lasciandosi alle spalle amori e rivalità, fughe e successi, sono guidate loro malgrado come da un’attrazione magnetica l’una verso l’altra.
Vorrebbero evitarsi e si cercano, vorrebbero diversificarsi eppure le loro vite si intrecciano: riescono persino a vivere contemporaneamente una gravidanza che le renderà madri, a pochi giorni di distanza, di due bambine che cresceranno, anche loro, in perpetuo confronto, sia pure amandosi, cercandosi continuamente.
 
Non si capisce, entrando nelle vite di queste due donne ormai adulte, se e quanto siano l’una dipendente dall’altra, e viceversa.
Il rione, i vecchi amici d’infanzia, i matrimoni, le separazioni, i figli fanno da sfondo in questo romanzo corale a vicende drammatiche, a grandi fatti che negli anni sono nella memoria di tutti noi lettori.
La Ferrante ci introduce in questo mondo con abilità consumata, presentandoci fin dall’inizio le famiglie che compongono l’affresco nel quale anche l’io narrante – Elena detta Lenù – si descrive con lucido rigore, con dolorosa sincerità: «in quei momenti mi vidi all’improvviso per quello che ero: succube, disposta a fare sempre come voleva lui, attenta a non eccedere per non metterlo in difficoltà, per non dispiacergli. Buttavo via il mio tempo»… Mentre Lila le consigliava altri comportamenti e le suggeriva altre scelte.
Ma Lenù voleva fare di testa propria, non voleva sentirsi manovrata da Lila, però proprio accanto a lei andò ad abitare quando, finito il nuovo-vecchio amore tornò nel rione!
A Lila affidò le sue figlie ogni volta che il lavoro la portava fuori città e sopportò che le sue figlie si affezionassero tanto alla zia Lila da considerarla migliore di lei!
 
Lenù scrivendo romanzi, articoli, recensioni si sentiva realizzata e nutriva i suoi scritti «degli echi di tanti minuscoli fatti del rione» che Lila rifiutò sempre di leggere: «Non ho letto nemmeno l’ultimo che hai pubblicato, disse, sono cose per cui non ho competenze».
Intanto, la vita va avanti, il terremoto del 1980 trova ancora le due amiche insieme, a farsi coraggio reciprocamente; i giornali parlano di Lenù e dei suoi romanzi, ma gli articoli creano malumori nel rione, mentre l’uso di droga coinvolge il figlio di Lila che «scoprì per caso che Gennaro aveva le braccia piene di buchi. La sentii urlare come non l’avevo mai sentita».
Gli eventi si susseguono, come in una giostra che non può fermarsi, ma che stritola nel suo continuo andare chi si trova a tiro, i figli crescono, nascono nuovi amori, scompare misteriosamente la bimba di Lila. Tutto si modifica, si spezzano i consolidati equilibri, si frantumano rapporti ed affetti.
Lenù si sente impotente, «non so raccontare il dolore di Lila…il dolore non si rapprese intorno a niente».
 
La storia va verso la sua conclusione, fughe e ritorni, sconfitte e vittorie elettorali scandiscono gli anni; la Ferrante sa raccontare con maestria la sofferenza, la vecchiaia, il fallimento, la delusione, e anche le nuove famiglie che si formano e i bimbi che nascono.
La vicenda di Lenù finisce a Torino, in compagnia di un labrador e di due vecchie povere bambole misteriosamente riapparse, quella di Lila evapora nel nulla e lascia in noi lettori il sapore amaro della sconfitta.
La scrittura della Ferrante è così potente, così graffiante, così «ipnotica» che ti prende e non ti lascia fino all’ultima pagina di questo poderoso romanzo.
Nel secolo scorso si disse che la Morante stava al Novecento come Manzoni all’Ottocento.
Oggi credo si possa dire che la Ferrante è la voce più potente della nostra letteratura, perché di questi tempi ha la forza, la rabbia, la capacità di entrare «dentro».
 
Luciana Grillo
(Precedenti)