Le mostre alla Centrale di Fies
Un centro di ricerca per le pratiche performative contemporanee, all’interno di una delle più importanti centrali idroelettriche e storiche del Trentino
Photo credits Roberta Segata.
Dal 9 giugno al 3 luglio Centrale Fies presenta la prima mostra personale di Madison Bycroft (classe 1987) a cura di Barbara Boninsegna, Simone Frangi e con la curatela esecutiva di Maria Chemello Uncommitted Barnacle, trasformando gli spazi della Galleria Trasformatori della Centrale in un percorso espositivo che prenderà vita grazie alle sue performance il 9 e l’11 giugno inaugurando le cinque giornate di LIVE WORKS SUMMIT (9 - 13 giugno). Accanto a Bycroft, Josèfa Ntjam e Joar Nango creano un percorso espositivo inedito nella Sala Comando di Centrale Fies.
La mostra site-specific di Madison Bycroft a Centrale Fies nasce stravolgendo l’architettura della Galleria Trasformatori. Bycroft crea una versione alterata e disorientante di uno spazio di 180 mq, sala iconica della Centrale, nella quale trovano combinazione inediti elementi architettonici, opere già facenti parte della sua produzione e oggetti pensati, de-costruiti e ricostruiti ad hoc, inaugurando una nuova e inafferrabile natura ed esperienza di immersione e attraversamento della Galleria.
Lavorando nel campo della performance, del video e della scultura, Bycroft esplora le nozioni di attività, passività, e dove questa dicotomia si rompe interessandosi a forme negative di espressione come una tattica di rifiuto o di deviazione.
L'eccesso e la proliferazione sono visti allo stesso modo come guardie di sicurezza contro la cattura e la delineazione - come rumore e tremori che confonde la figura e il campo.
Uncommitted Barnacle è la nuova performance di Madison Bycroft, che dà anche il titolo all’intero progetto espositivo, pensata a partire da una metodologia di galleggiamento e cerca di comprendere i pregiudizi che legano, orientano e in ultima analisi limitano i nostri corpi, i nostri desideri e le nostre storie, e come, sulla base di questo, essi possano essere portati alla deriva.
Bycroft si interessa a come possiamo re-immaginare la lettura (nel suo senso espanso) e la comprensione, non come obiettivo orientato alla realizzazione, ma come una relazione che aleggia e fa spazio: opaca, che non arriva mai, non radicata e fluttuante. Qui il galleggiamento è esplorato come una metodologia di disorientamento e una pratica di piacere non orientata all'obiettivo e bensì fratturata, errante, astratta e planctonica.
Attraverso la pratica video, performativa e scultorea, Madison Bycroft esplora un modo animista di essere nel mondo, ripensando a cosa significa essere una persona e come si possa capire, relazionarsi e comunicare con gli altri. Come può il linguaggio o la rappresentazione limitare la nostra prospettiva?
Il video e le performance di Bycroft spesso si presentano come brevi esperimenti per disimparare il sé o i modi tradizionali dell'essere ed esplorare la pratica dell'empatia e i processi per diventare altri.
Al posto del pensiero categorico e colonizzatore, Bycroft è interessat? alla comprensione relazionale, qualcosa che richiede compassione, un sentimento che si estende alla differenza, all'animale e ad altre persone, creando un senso di comunione con il mondo.
Anche nel suo nuovo cortometraggio The fouled compass, l'artista prende il galleggiamento come punto di partenza. Il film esplora il fluttuare come una metodologia: una sensazione di disorientamento, una pratica di piacere che non è orientata all'obiettivo ma piuttosto fratturata, errante, astratta o planctonica.
Affermare il diritto di rifiutare di essere pienamente riconoscibilii è ciò che Édouard Glissant potrebbe chiamare opacità. Tali strategie scivolose di opacità offuscano tatticamente mondi brulicanti di differenze, consentendo sia la resistenza a diventare leggibili alle strutture di sorveglianza e di polizia, evitando al contempo che questa illeggibilità crolli in un vuoto abietto.
In Sala Comando Josèfa Ntjam e Joar Nango danno vita ad una doppia personale unica fondendo le rispettive pratiche tra di loro.
Josèfa Ntjam è un'artista, performer e scrittor? che lavora con film, fotomontaggio, scultura, installazione e suono. Parte di una generazione di artist3 che attingono i loro materiali primari dalla rete, Ntjam utilizza il collage - di immagini, parole, suoni e storie - come metodo per decostruire le grandi narrazioni strutturando discorsi egemonici sull'autenticità, l'origine, l'identità e la razza. Il suo lavoro intreccia molteplici narrazioni tratte da indagini su eventi storici, scoperte scientifiche o concetti filosofici, a cui si confronta con riferimenti alla mitologia africana, rituali ancestrali e storie di fantascienza.
La fusione di discorsi e iconografie a priori eterogenei consente all'artista di reclamare la Storia speculando su tempi spaziali non ancora determinati - mondi interstiziali, dove si possono immaginare forme inedite di esseri, identità e collettivi.
Da lì, Ntjam compone cartografie utopiche e finzioni ontologiche in cui fantasia tecnologica, viaggi intergalattici e ipotetiche civiltà subacquee diventano la matrice di una pratica di emancipazione che promuove l'emergere di inclusivo, comunità processuali e resilienti.
Joar Nango è un artista Sàmi nato ad Alta nel 1979, vive e lavora a Tromsø, Norway. Si è formato come architetto e nella sua pratica diversificata affronta questioni come l'identità indigena e la decolonializzazione, spesso alla base delle contraddizioni osservate nell'architettura contemporanea.
La sua pratica artistica comprende installazioni site-specific, scultura, fotografia, strutture architettoniche, progetti sociali, abbigliamento, pubblicazioni e ricerca teorica. Le sue opere esplorano spesso i confini tra design, architettura, filosofia e arte visiva.
Nell'exhibit, Nango presenta un'installazione site specific e inedita, prodotta a distanza a causa dell'impossibilità dell'artista di raggiungere Centrale Fies. L'installazione è composta da materiali ed elementi sottratti all'ambiente circostante alla Centrale e schermi composti in una struttura organizzata assecondando un senso di instabilità e precarietà.
La serie video si intitola Post-Capitalist Architecture TV.
Il film è un viaggio attraverso i paesaggi del nord in una Mercedes Sprinter convertita, che funge sia da bivacco che da studio televisivo. Nel film una serie di incontri personali, interviste e conversazioni che avvengono in viaggio con amici, esperti, accademici, attivisti e artisti su vari temi che riguardano le popolazioni indigene dell'Artico e l'interazione tra natura e umanità.
Nella serie, Joar Nango e il regista Ken-Are Bongo viaggiano attraverso paesaggi innevati con uno studio televisivo mobile nel loro Sprinter rosso e in motoslitta. Lungo la strada, incontrano vari ospiti davanti a una tazza di caffè da campo: ricercatori accademici, artigiani e attivisti.
In questi dialoghi, analizzano le tecniche di costruzione popolari che esprimono forme di potere politico su larga scala e che costituiscono la base della struttura sociale nel nord.