Riflettori su Claus Gatterer, grande cercatore di verità

Belle parole nella conferenza di ieri a Palazzo Trentini sul giornalista morto nel 1984

Un grande cercatore di verità. Così è stato raffigurato – oggi pomeriggio a Palazzo Trentini, sede del Consiglio provinciale – lo scrittore, lo storico, il giornalista pusterese Claus Gatterer.
Ricorre in questi giorni il trentennale della morte, avvenuta il 28 giugno 1984 a Vienna, la capitale in cui Gatterer lavorò a lungo per l’emittente televisiva Orf.
E l’Associazione Museo storico in Trento ha voluto contribuire a scolpire meglio una figura di grande spessore per la cultura della nostra regione.
Preziosa soprattutto perché seppe leggere i grandi fatti del Novecento, di qui e di là dal Brennero, togliendo gli occhiali del dogmatismo.
 
Come ha detto il Presidente del Consiglio, Bruno Dorigatti – introducendo l’incontro odierno – Gatterer fu «l’analista severo dei vizi e delle virtù di un territorio, come quello centrale alpino, che ha vissuto per secoli il transito della storia europea. (..) Egli non parteggia, non difende preconcetti e pregiudizi, non sta dalla parte dei vincitori, dimostrando una straordinaria capacità di osservazione globale dei fenomeni storico-sociali della nostra terra».
 
Il sindaco di Trento, Alessandro Andreatta, che presiede l’associazione del Museo storico, ha accostato a Gatterer l’altra figura di un intellettuale scomodo del Sudtirolo, quella di Alexander Langer.
Del primo ha poi detto che si assunse il compito di spiegare ai sudtirolesi come il fascismo non era nato al preciso scopo di tormentare loro, ma che fu un male assoluto, patito dall’intera Italia e dal mondo. Agli italiani, invece, Gatterer – ha continuato Andreatta – ricordò che le minoranze etniche e linguistiche non sono un impiccio, ma una straordinaria ricchezza.
 
Un saluto oggi l’ha portato anche il Presidente dell’Accademia roveretana degli Agiati, Fabrizio Rasera, che ha osservato quanto sia miliare l’opera di Gatterer su Cesare Battisti, scritta uscendo da percorsi identitari troppo angusti.
Così come il suo romanzo autobiografico, «Bel paese, brutta gente», che – ha detto Rasera – dovrebbe essere proposto a tutti gli studenti e potrebbe così offrire un antidoto straordinario alla diffusione di stereotipi culturali.
 
Lo storico Thomas Hanifle ha proposto un audiovisivo e raccontato il giovane Gatterer in fuga dalla Wehrmacht, il giornalista di afflato europeo, il difensore della minoranza slovena, lo storico che riabilita agli occhi dei tedeschi Battisti così come Oberdan.
Altri studiosi di vaglia si sono succeduti al microfono nella sala Aurora di Palazzo Trentini, a partire dal professore di letteratura tedesca Italo Michele Battafarano, che ha accreditato a Gatterer anche il merito di avere acceso riflettori su un aspetto storico poco lumeggiato, come quello dei crimini commessi dall’Impero austroungarico ai danni delle sue minoranze etniche, in Galizia, in Serbia, in Trentino.
 
Alessandro Costazza si è soffermato proprio sull’opera «Schöne Welt, boese Leut. Kidheit in Südtirol», interpretando che il «bel paese» alluda all’epoca dell’armonia, mentre la «brutta gente» si riferisca ai veleni penetrati in Sudtirolo a dividere gli animi e a contrapporre italiani a tedeschi, a dividere gli stessi abitanti della Heimat.
 
Il segretario dell’associazione Museo storico – Roberto De Bernardis – ha infine passato la parola a Vincenzo Calì, che ha zoomato attorno a quel 1966 in cui Gatterer scrive a Livia Battisti annunciandole un libretto di poco più che cento cartelle, dedicato a tratteggiare la figura del celebre irredentista. Un’opera in realtà decisiva, che nasce mentre scoppiano le bombe (anche sul Doss Trento), e che resta fuori dalle celebrazioni ufficiali del cinquantenario dalla esecuzione capitale al Buonconsiglio.