Cosa sta succedendo a Hong Kong – Di Marco di Liddo
Per Pechino la gestione della crisi di Hong Kong è delicatissima perché tutto il mondo sta a guardare
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Dal 24 settembre Hong Kong è teatro di proteste da parte di studenti e attivisti democratici, rappresentati dalle piattaforme Scholarism e Occupy Central with Love and Peace, scesi in piazza per rivendicare il diritto dei cittadini hongkonghesi ad eleggere in autonomia i rappresentanti del proprio governo.
La protesta, infatti, giunge a poche settimane dalla decisione di Pechino di istituire una commissione ad hoc preposta ad approvare preventivamente i candidati eleggibili durante le prossime elezioni, che si terranno a suffragio universale nel 2017 per il rinnovo dei vertici dell’esecutivo nella regione automa.
Sebbene le Forze dell’ordine siano intervenute per cercare di contenere le proteste, gli scontri tra polizia e manifestanti non sono degenerati in episodi di violenza e i toni della protesta, per quanto risoluti, continuano ad essere al momento sostanzialmente pacati.
A fronte della richiesta giunta dalla piazza delle dimissioni dell’attuale Capo dell’Esecutivo, CY Leung, il governatore di Hong Kong ha accettato di aprire un tavolo negoziale con i manifestanti per discutere il completamento e l’implementazione di una riforma elettorale.
Benché, al momento, sembrerebbe essersi aperta l’opportunità per un dialogo diretto tra le parti, l’effettivo successo di questa strategia sarà però necessariamente vincolato all’accondiscendenza da parte del governo cinese.
Per Pechino, infatti, la gestione della crisi di Hong Kong rappresenta un fattore di grande delicatezza.
Da un lato, infatti, la visibilità internazionale degli eventi dei giorni scorsi rende difficile per il governo cinese scegliere di adottare un approccio duro nei confronti delle proteste senza suscitare il biasimo della Comunità Internazionale.
Dall’altro, le manifestazioni di Hong Kong potrebbero ispirare movimenti emulativi anche in altre regioni della Cina che, contrari alle politiche di Pechino, potrebbero decidere di scendere in piazza per rivendicare per rivendicare non tanto una maggiore autonomia quanto una vera e propria indipendenza.