Terrorismo e instabilità del Corno d'Africa/ 8 – Di Marco Di Liddo

Ottava puntata – Le minacce della sicurezza: la pirateria

Dedichiamo questa puntata sulle minacce alla sicurezza mondiale ai marò italiani Latorre e Girone tenuti ingiustamente prigionieri in India con l’accusa di aver ucciso per errore dei pescatori indiani scambiati per pirati.
I fucilieri di Marina della Brigata San Marco Massimiliano Latorre e Salvatore Girone erano imbarcati su una nave mercantile con l’incarico di difenderla dagli attacchi dei pirati nell’ambito della missione NATO «Ocean Shield» che è la maggiore espressione della volontà internazionale di porre fine al fenomeno del pirateggio.
Il comportamento dell’India che intende processare i nostri marò cozza contro il diritto internazionale, al quale aderisce lo stesso stato indiano, ma soprattutto è diseducativa nei confronti dei pirati che da questa vergogna traggono innegabili vantaggi.

 La pirateria
Una delle note più positive nel quadro di sicurezza del Corno d’Africa è rappresentata dal significativo ridimensionamento, negli ultimi due anni, del fenomeno della pirateria. Il merito di questo risultato è da attribuire, in larga misura, all’impegno della Comunità internazionale che, attraverso le missioni anti-pirateria della Nato e dell’Unione Europea nel Golfo di Aden, ha contrastato efficacemente le bande dei pirati.
Inoltre, la decisone da parte di molti governi, compreso quello italiano, di consentire l’imbarco di personale militare a bordo delle imbarcazioni civili ha permesso aumentare la sicurezza del naviglio commerciale.
Infatti, i Nuclei militari di protezione (NMP) si sono rivelati il miglior strumento di deterrenza contro gli attacchi pirateschi.
Tuttavia, la pirateria non è affatto scomparsa, bensì ha solamente ridotto il numero di attacchi riusciti e, dunque, la quantità di denaro a disposizione.
L’estirpazione definitiva del fenomeno dipende dalla prosecuzione delle missioni internazionali e, soprattutto dalla ricostruzione economica e politica della Somalia, il Paese patria della pirateria contemporanea.
 
Il fenomeno della pirateria, assieme alla diffusione del radicalismo islamico ed alle attività di al-Shabaab, trae origine dal crollo del regime di Said Barrè e dal fallimento dello Stato somalo nel 1991.
Il collasso delle istituzioni centrali, delle burocrazie statali e delle strutture di sicurezza ha favorito l’emergere di milizie e bande armate legate ai signori della guerra ed ai criminali locali.
A livello economico, la cessazione del controllo sulle risorse naturali e la scomparsa del sistema di welfare ha incentivato politiche predatorie sia da parte di attori locali che da parte di attori internazionali.
Infatti, la pirateria nasce e si sviluppa come conseguenza di due principali fattori: il collasso dell’autorità politica centrale e delle strutture di sicurezza ed il crollo del settore ittico somalo causato dall’attività indiscriminata di pescherecci stranieri, soprattutto iraniani, indiani ed europei.
I pescatori locali, ridotti in povertà e senza alcuna forma di sussidio statale, hanno riconvertito le proprie imbarcazioni per le attività di pirateria.
Le principali basi dei pirati somali si trovano nella regione semi-autonoma del Puntland, nel nord della Somalia, nel territorio corrispondente all’estremità orientale del Corno d’Africa.
I porti sotto il controllo dei pirati sono Xabo a nord, Garad e Hobyo ad est ed infine Harardhere a sud. Fino a due anni fa il «santuario» dei pirati era il solo porto di Eyl, nel distretto di Nugaal, ma le Forze di Polizia del Puntland sono riuscite a ridurne sensibilmente le attività, costringendo le bande a migrare verso sud ed a colonizzare le coste della regione semi-autonoma del Galmudug, nella parte centrale del Paese. 
 
 
Il riscatto per la liberazione della Sirius Star viene paracadutato sul ponte di coperta della nave. 

Dunque, i nuovi «santuari» della pirateria, dunque, sono diventati Harardhere e Hobyo.
I pirati somali operano in tutto il settore occidentale dell’Oceano Indiano e sono particolarmente attivi lungo le coste dello Yemen e dell’Oman.
Nel corso degli anni, le bande hanno acquisito equipaggiamenti ed hanno affinato tecniche sempre più sofisticate che permettono loro di assaltare le navi in mare aperto ed a diverse migliaia di km dalle coste somale. Nel recente passato i pirati hanno attaccato navi nelle acque territoriali delle isole Maldive, a 3.000 km dalla Somalia, a sud del Mar Rosso e nel mezzo del Canale del Mozambico.
Le bande di pirati riescono ad operare in mare aperto grazie all’utilizzo di «navi madre», solitamente navi da trasporto o pescherecci adibiti a rudimentali navi per il comando e controllo delle operazioni, dalle quali partono velocissimi barchini modificati che possono raggiungere i 30 nodi, una velocità decisamente superiore a quella del naviglio assaltato (13-18 nodi).
Le armi utilizzate sono soprattutto fucili AK-47, lanciagranate RPG di fabbricazione russa o cinese ed arpioni debitamente modificati.
 
Attualmente in Somalia operano dodici bande di pirati, per un totale di circa mille uomini, la cui struttura è fortemente legata ai clan ed ai sub-clan, soprattutto Darod e Hawiya.
Il reclutamento dei pirati avviene non soltanto sulle aree costiere, ma anche nell’entroterra, dove è possibile ingaggiare disoccupati e disperati offrendo loro cifre inferiori rispetto alle città marittime.
Oltre alle bande strutturate, nel contesto delle attività di pirateria operano «liberi professionisti» che prestano servizio su specifiche commissioni.
Si tratta dei cosiddetti «assalitori», pirati particolarmente esperti che dirigono l’assalto e compongono la prima linea durante un abbordaggio.
Gli «assalitori» sono i pirati che ricevono la percentuale più alta dei riscatti, intorno al 8-10% (in media 450.000 dollari).
 
Tra il 2004 e il 2011, il periodo d’oro della pirateria, le attività delle bande hanno rappresentato una delle principali minacce internazionali per i loro costi sia umani che economici. Nel 2011, infatti, sono stati registrati oltre 250 attacchi, oltre 600 persone sono state fatte prigioniere e 24 sono morte durante la detenzione e gli assalti, a testimonianza della gravità della minaccia piratesca.
I principali bersagli dei pirati sono le portarinfuse (26%), i pescherecci (18%), le petroliere (15%) e le navi cargo per trasporto di materiali chimici (15%).
Anche il nostro Paese ha dovuto confrontarsi con la drammaticità dei sequestri da parte dei pirati. L’ultimo caso di una imbarcazione italiana catturata risale al 27 dicembre del 2011, quando il cargo «Enrico Ievoli» e 6 membri del suo equipaggio sono stati trattenuti per ben 5 mesi.
Nonostante il numero di abbordaggi riusciti sia calato del 15%, i danni economici inferti dalla pirateria hanno raggiunto cifre insostenibili.
Nel 2011 la pirateria è costata 7 miliardi di dollari, di cui 2 miliardi per il consumo di carburante legato all’aumento della velocità negli spazi di mare a rischio, 1,3 miliardi per le misure di sicurezza private a bordo (scorta di personale armato ed equipaggiamento specifico), 1,2 miliardi per le missioni internazionali e le misure militari dei Paesi maggiormente a rischio (India, Kenya, Puntland, Madagascar, Sudafrica), 635 milioni per l’aumento delle assicurazioni ed infine 160 milioni per i riscatti pagati ai sequestratori.
 
 
Pirati somali armati di fucili d'assalto e lanciarazzi tengono in ostaggio l'equipaggio della M/n Faina.

Per quanto riguarda le assicurazioni, le compagnie navali sottoscrivono due polizze, una denominata K&R (Kidnapping and Ransom, Rapimento e Riscatto) e l’atra che copre il carico ed il servizio commerciale.
Dal 2004 al 2009 il costo della polizza è passata da 500 a 150.000 dollari a nave per viaggio. Un simile incremento è dovuto al fatto che le principali compagnie assicuratrici considerano le zone a rischio pirateria alla stregua di aree di guerra, sottoposte, quindi, a clausole speciali.
Per quel che attiene ai sequestri, la cifra media per il rilascio di un’imbarcazione è stata, per il 2011, di 5 milioni di dollari, 500.000 in più dell’anno precedente. Negli ultimi mesi è emerso un fenomeno nuovo, ossia l’aumento del volume di affari tra i pirati ed al-Shabaab.
 L’organizzazione terroristica somala, trovandosi in un momento di grave difficoltà finanziaria e dovendosi confrontare con l’offensiva congiunta di Kenya, Etiopia ed AMISOM, ha cominciato ad affacciarsi nel business dei rapimenti, catturando cittadini occidentali e vendendoli alle bande dei pirati.
L’ultimo caso, nel gennaio 2012, è stato il rapimento del giornalista statunitense Michael Scott Moore, preso da membri di al-Shabab e venduto ai pirati per una cifra vicina ai 200.000 dollari.
Successivamente, i pirati hanno chiesto 8 milioni di dollari per il rilascio dell’ostaggio.
 
Una delle principali difficoltà nel combattere la pirateria, da parte delle autorità locali, è il crescente sostegno che le bande hanno guadagnato presso la popolazione locale.
I pirati, infatti, non trattengono i ricavi delle loro attività ma li dividono tra tutti i membri del clan di appartenenza.
In questo modo, essi si assicurano l’indispensabile sostegno logistico terrestre.
Inoltre, il denaro guadagnato viene re-investito nella costruzione di nuove moschee ed infrastrutture, nell’acquisto di cibo e beni di prima necessità e nell’istituzione di una rudimentale forma di welfare. 
 
 
Pirati somali armati di fucili d'assalto AKM, lanciarazzi RPG-7 e pistole semi-automatiche.

Esempi evidenti dell’opera di ricostruzione finanziata dalle attività di pirateria sono le città di Garowe e di Bosasso. La prima, addirittura, è una città al centro della Somalia, a centinaia di km dalla costa, testimonianza del fatto che i pirati investono in tutto il Paese e non soltanto nei porti.
Nelle due città indicate, dal 2002 al 2010 si è verificata la ristrutturazione integrale delle moschee, la costruzione di nuovi ambulatori medici, strade e case. Inoltre, Garowe e Bosasso sono le città maggiormente illuminate della Somalia, a testimonianza del grande incremento della copertura elettrica.
La maggior parte degli proventi pirateschi si muove attraverso il sistema hawala, il metodo di trasferimento del credito di origine antichissima che prevede l'utilizzo di un rete fiduciaria di intermediari sparsi al di fuori del territorio somalo, i quali sanno che i loro rappresentanti in Somalia hanno ricevuto la stessa quantità di denaro che loro sborsano: in tal modo i soldi molto raramente lasciano fisicamente il Paese e la loro tracciabilità risulta molto complicata.
Con questo metodo, anche oggi che gli introiti delle scorribande piratesche sono in netto calo, i capi dei pirati riescono a ripulire e far fruttare i loro patrimoni che prima venivano impiegati in attività principalmente illegali, come ad esempio nel traffico di armi, o per l'acquisto di beni semplici (auto e case).
 
Oggi, il riciclaggio di denaro da parte dei pirati avviene grazie all’aiuto della diaspora somala a Dubai, a Gibuti ed in Kenya. Infatti, tra le maggiori speculazioni immobiliari africane c’è quella relativa alla costruzione del quartiere Eastleigh di Nairobi, finanziata con i proventi derivanti dall'attività dei pirati nel Golfo di Aden.
Dopo il 2011, anno nel quale le sue attività hanno fatto registrare gli introiti più alti, la pirateria ha imboccato la parabola discendente. Infatti, nel 2012 a largo delle coste della Somalia sono avvenuti soltanto 75 attacchi.
Attualmente, 71 marinai sono ancora ostaggio dei pirati. Si tratta di cifre quasi irrisorie se paragonate a quelle del 2011, quando gli attacchi erano stati 250 ed i membri di equipaggi tenuti prigionieri 758.
Il danno economico complessivo della pirateria è passato da 7 miliardi dollari del 2011 a 3 miliardi dollari del 2012. 
 
 
Navi assegnate alla Combined Task Force 150.

Il ridimensionamento del fenomeno della pirateria è legato al miglioramento delle condizioni generali di sicurezza di navigazione nel Golfo di Aden.
A contribuire a rendere più sicure le rotte nell’Oceano indiano sono state sia una maggiore consapevolezza dei rischi da parte delle compagnie armatoriali sia il dispiegamento di un massiccio dispositivo navale militare da parte della Comunità internazionale.
Per quanto riguarda il primo aspetto, oggi il naviglio commerciale è meglio difeso dagli attacchi dei pirati, sia grazie al miglioramento dei sistemi di sicurezza a bordo (cannoni spara-acqua, cittadelle blindate) sia per la presenza degli NMP, i team di guardie armate deputate al respingimento dei pirati.
Nel caso italiano, gli NMP sono composti dai Fucilieri di Marina della Brigata San Marco.
 
Tuttavia, il contributo maggiore alla lotta contro la pirateria è stato possibile grazie agli sforzi della Comunità internazionale che hanno nella missione NATO «Ocean Shield» ed Ue «Eunavfor Atalanta» la maggiore espressione.
La volontà di debellare il fenomeno è ancora molto forte e sentita, a tal punto da spingere gli organi comunitari a rinnovare la missione «Atalanta» fino al dicembre 2014.
La missione, che costa 15 milioni di euro, può intervenire contro i pirati non solo in mare ma anche, e soprattutto, a terra, lungo le coste somale. Sino a questo momento, la debolezza di «Atalanta» era stata, oltre all’esiguo numero di mezzi a disposizione, l’impossibilità di colpire le basi dei pirati sulla terraferma.
Le previsioni per il 2014, dunque, dovrebbero essere ancora una volta positive ed in linea con i miglioramenti del 2012.
Tuttavia, i risultati positivi raggiunti nell’ultimo biennio non devono far pensare che il fenomeno sia vicino al tramonto.
Infatti, è possibile che i pirati modifichino il proprio modello di business, spostandolo dal sequestro di navi ed equipaggi verso il rapimento di cooperanti e turisti stranieri a terra.
 
Marco Di Liddo (Ce.S.I)
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Foto sotto il titolo: economiaweb.it. – Altre foto: Wikipedia.