Matteo Boato e i «Luoghi trentini» – Di Daniela Larentis
L’importante esposizione di olii su legno e carta a Trento, allestita nella splendida location di Torre Mirana, Sala Thun, resterà aperta fino al 18 giugno
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Matteo Boato, apprezzato artista trentino molto attivo sia in Italia che all’estero, rientrato recentemente da New York e da un altro viaggio di lavoro a Hong Kong, espone a Trento dal 9 giugno 2016 una trentina di opere nella splendida location di Torre Mirana, Sala Thun.
Si tratta di un’importante personale dal titolo «LUOGHI TRENTINI», oli su legno e carta di grandi e piccole dimensioni (in esposizione anche un pianoforte dipinto interamente da Boato), che resterà aperta fino a sabato 18 giugno 2016, data in cui è previsto il Finissage musicale alle ore 18.00 (orari della mostra: martedì|sabato 10-12|16-19).
Lo abbiamo raggiunto in Via Belenzani, nel cuore della città, per porgergli alcune domande.
Partiamo dal titolo della mostra: cosa ha voluto rappresentare attraverso queste opere?
«I lavori sono tutti dedicati al Trentino e a luoghi tendenzialmente abitati, in particolar modo i centri storici.
«Si parte da Trento per poi toccare i maggiori centri, come Rovereto, Mezzolombardo, Mezzocorona, Riva, Arco, Pergine, fino a centri minori che in qualche modo ho avvicinato per motivi lavorativi, la maggior parte dei miei dipinti è infatti stata realizzata in occasione di concorsi d’arte.»
Le opere esposte appartengono a quale periodo artistico e con quale tecnica sono state realizzate?
«Si parte dal 2003 per arrivare al 2016, sono 32 opere, tutte a olio su legno, carta e cartoncino di grandi e piccole dimensioni. Si tratta quindi di olii, la tecnica che io preferisco.
«Sono per lo più realizzate mediante l’utilizzo di tinte pastello, ma non solo, come si può vedere: a seconda della superficie di supporto l’olio appare più o meno lucido.
«Mi piace molto l’irregolarità che deriva dall’uso della carta, dal fatto di dover sopperire alla mancanza di fogli di grandi dimensioni con giunzioni. Mi piace molto questa irregolarità, questa non perfezione.»
Sono state raggruppate secondo quale criterio?
«È un’esposizione molto legata al territorio. Ho raggruppato i lavori in mostra in base a una scelta più che altro cromatica, tematica, non geografica. Lo scenario è quello alpino, in particolare quello trentino.»
C’è qualche opera che rappresenta un luogo specifico a cui è legato in maniera particolare?
«Senz’altro Trento, amo molto le tre opere che ho collocato all’inizio del percorso espositivo e che ritraggono piazza Duomo. Ogni lavoro, tuttavia, ha la sua storia ed è per me molto importante, essendo ognuno legato a uno sforzo di progettazione più ampio: tutti, infatti, sono stati dipinti in occasione di concorsi per essere realizzati in grandi dimensioni.
«Mi piace, per esempio, molto l’opera che ritrae Levico, il mio paese di adozione, e poi ci sono diversi lavori interessanti legati alla mia storia, come il Castel del Buonconsiglio, uno degli edifici più conosciuti a Trento, Lagolo ecc.»
Le opere sprigionano una grande vitalità, sono tutte molto colorate, tranne una che è in bianco e nero. Che cosa rappresenta?
«Il lavoro che sto conducendo sul luogo urbano, e in particolare sulla piazza e il centro storico, è in sintonia con questo lavoro in bianco e nero, tipico di questa mia ultima fase pittorica; lo ho inserito come se fosse una finestra sul nuovo corso.
«È in realtà un bozzetto dell’opera collocata a fianco – sarebbe a dire il vero il bozzetto del bozzetto - che ritrae Levico».
Le piazze rappresentano un po’ il luogo della società civile. Alcune, progettate nei tempi più recenti da alcuni architetti, sembrano allontanarsi dall’idea della piazza a cui siamo abituati, intesa principalmente come luogo di relazione, nell’immaginario collettivo sembrano più simili a luoghi di passaggio. Qual è il suo pensiero di artista a riguardo?
«L’architetto guarda soprattutto alle linee, alle forme, al rapporto di volumi e al rapporto con l’ambiente, tutto quello che non è controllabile per l’architetto diventa faticosamente gestibile. La folla non è contemplata, così come le panchine e tutto ciò che permette una stasi.»
È quindi divenuta in certi casi un oggetto da esibire, come pensano alcuni? Come intende lei la piazza ritratta nelle sue opere?
«Potrei dire che io ho dipinto soprattutto piazze medievali e rinascimentali, anche se nei miei ultimi lavori mi è capitato di ritrarre piazze non concepite come incontro, ma più che altro ideate come opere monumentali. Lì, l’uomo si trova spaesato.
«Nelle piazze medievali l’uomo passa e si sente a casa, nei luoghi di nuova concezione, come in effetti alcune piazze, penso possa sentirsi solo.
«Le mie piazze sono luoghi di relazione, è interessante osservarle dall’esterno per me, dal punto di vista pittorico, guardarle dall’alto. La folla ti travolge, non ti fa percepire cosa succede a livello globale. Io mi allontano assumendo lo sguardo dell’osservatore che scruta dall’alto la piazza per coglierne le infinite relazioni.»
Il motivo per cui i suoi quadri ritraggono molto spesso vedute aeree è estetico o piuttosto quello che si viene a creare riproducendo artisticamente il punto di vista dall’alto verso il basso è una sorta di distacco che ha a che vedere con un pensiero filosofico?
«l distacco che si viene a creare deriva dalla necessità di cogliere il flusso dell’umanità che si rinnova attraverso questi luoghi urbani; la gente passando lascia una traccia di sé ma senza una specificità nella descrizione pittorica: la singola macchia non rappresenta una persona che io conosco, questo o quell’individuo. E’ un fluire di individui che lasciano dietro di sé una traccia.»
Un’ultima domanda: in mostra c’è un bellissimo pianoforte dipinto da lei. Ci potrebbe dare qualche informazione a riguardo?
«Il pianoforte è stato dipinto in collaborazione con la cooperativa CS4 di Pergine. Il lavoro è stato presentato in occasione della quarta edizione di Hai mai suonato un'opera d'arte? dell'associazione culturale Il Vagabondo in collaborazione con il Comune di Trento, la Fondazione Caritro e il Festival dell'Economia. Era visibile durante quest'ultimo Festival in centro città (piazza d'Arogno, via Mazzini).
«Mi è piaciuto moltissimo progettarlo e realizzarlo, essenziale dal mio punto di vista la necessità che fosse dipinto anche all'interno per godere appieno della creazione pittorica.
«Il Leopardo, così ha titolo lo strumento ora, ha la bocca aperta quando il piano è chiuso e viceversa, la bocca chiusa quando il piano è aperto e può cantare.
«Sarà in esposizione fino a sabato 18 e durante il Finissage della mostra verrà suonato dalla giovanissima e sorprendente Maddalena Zonta.
«Lo strumento sarà messo all'asta in queste settimane per premiare e rendere concreto l'impegno di tante fatiche.»
Daniela Larentis – [email protected]