La «scusa» della pena di morte per i nostri Marò

Sollevata l’ipotesi di «omicidio a fini di pirateria», l’unica che consentirebbe il processo in India

Torna nell’aria l’ipotesi di un processo nei confronti dei nostri Marò con l’imputazione di «pirateria».
La questione è sostanzialmente oltraggiosa nei confronti del nostro Paese, perché le motivazioni altro non sono che una scusa per poter celebrare un processo in India che altrimenti non reggerebbe sotto nessun punto di vista.
In altre parole, dopo due anni di elucubrazioni sul come uscire dal vicolo cieco in cui si sono cacciate le autorità indiane nella vicenda dei marò, l’India si trova davanti alla necessità di ipotizzare l’unica imputazione che consentirebbe all’ordinamento giudiziario di celebrare il processo: la pirateria.
Infatti secondo la legge Indiana tale reato sarebbe universale, nel senso che sarebbe oggettivo indipendentemente dal dove e il quando sia stato consumato, quindi anche fuori dalle acque territoriali.
 
Ovviamente le nostre autorità, finalmente, si sollevato denunciando da una parte la violazione degli accordi per cui i marò erano tornati in India solo perché era esclusa l’ipotesi di reato con pena di morte, dall’altra perché la faccenda sta diventando grottesca.
Per i nostri Marò e per i cittadini italiani il problema non si pone, perché tale ipotesi porterebbe ad una più rapida soluzione. Un paio di udienze sarebbero infatti sufficienti per far smontare l’ipotesi di omicidio ai fini di pirateria.
Questo in un paese civile, naturalmente. In un paese in via di civilizzazione tutto è possibile.
Ma quello che speriamo possa scaturire dalla situazione divenuta grottesca è che il nostro governo cominci a ragionare con determinazione.
Questo, naturalmente, in un paese civile.