Massacri jiadisti: il «J’accuse!» del presidente Dorigatti

«Fino a quando volteremo il nostro sguardo egoista altrove, mentre affrettiamo il passo verso l’età della pietra?»

Non vorremmo sembrare presuntuosi, ma sembra proprio che finora solo noi e il presidente del Consiglio provinciale, Bruno Dorigatti, restiamo indignati di fronte ai massacri che avvengono per mano dei criminali dell’ISIS.
Si tratta di cialtroni che nel nome di un dio che hanno creato a propria immagine e somiglianza si permettono di violare tutti i diritti fondamentali dell’uomo, dalla vita alla libertà religiosa.
Non passa un giorno che non si venga a conoscenza di nuovi massacri, ma noi non restiamo certo indifferenti.
 
Domenica abbiamo ammonito che «la Pasqua 2015 ricorda troppo la vergogna dell’olocausto».  
Ecco come avevano concluso il nostro atto d’accusa:
«Non possiamo tollerare altre stragi di persone innocenti, non possiamo più aiutare i deboli senza colpire i forti, non possiamo limitarci alla condanna verbale di questi delitti atroci. È il momento di decidere cosa fare, altrimenti una delle prossime generazioni si troverà a contare i morti come ha dovuto fare la nostra.»
 
Oggi il presidente Dorigatti ha inviato il suo «J’accuse!», aggiungendo la nostra stessa osservazione che a suo tempo avevamo fatto di fronte all’indignazione per l’uccisione di Daniza.
«Con il pieno rispetto per tutti gli esseri viventi – avevamo scritto a commento dell’occupazione della Provincia – ci domandiamo perché questa gente non vada a occupare anche la segreteria di Ban Ki-moon, che nulla fa per impedire terribili delitti contro l’umanità.»
Pubblichiamo volentieri il suo intervento in una nota destinata alla stampa, che riprende quello che continuiamo a scrivere noi: è la storia del mondo che si ripete e non facciamo nulla per impedirlo.

Eppure credevamo che tutto il male del mondo si fosse esaurito nell’inferno della Shoah.
Eppure credevamo che quella tremenda lezione della storia avesse insegnato.
Eppure eravamo convinti che l’umanità ci abitasse ancora.
E invece oggi assistiamo, in un silenzio assordante, all’ennesimo massacro di innocenti.
Il campo profughi di Yarmuk, alle porte di Damasco in Siria, è diventato una nuova Belzec, una nuova Srebrenica, un ennesimo inferno sulla terra, dove, in nome di un falso ideale che si nutre di sangue, migliaia di essere umani sono stati sterminati per un odio che non conosce confini ed appartenenze.
Yarmuk è un ritorno alla bestialità. Yarmuk è come il Kenia, l’Iraq e tutti gli altri luoghi della disperazione.
Yarmuk grida il suo dolore ad un mondo sempre più ostinatamente sordo. Qui non c’entrano nulla le religioni, i riti, le culture. Qui si sta ripetendo, in un crescendo vertiginoso, la saga dell’intolleranza e dell’odio più radicale. Qui stiamo tornando ad un medio evo atroce, dove nessuna voce sembra in grado di essere ascoltata dai fanatismi più ciechi.
Solo il terrore si staglia, con il suo profilo spaventoso, sul nostro orizzonte, anche se facciamo finta di non vedere, di non sapere e di non reagire. Solo il terrore che, pur di affermarsi è disposto perfino a calpestare la causa stessa per cui prende corpo.
Penso al recente sollevarsi diffuso dell’indignazione di fronte all’uccisione di un orso.
Ho il massimo rispetto delle sensibilità ambientali e delle culture di salvaguardia della fauna, ma mi chiedo se, almeno un briciolo di quella indignazione non può anche essere riservata oggi alle teste mozzate ed esibite di persone, barbaramente massacrate per la sola colpa di esistere.
E mi chiedo ancora dove sta arenandosi la nostra coscienza, che guarda, quasi con assuefazione, al compiersi di una macelleria criminale che ha pochi esempi di pari entità nel tempo nostro.
Fino a quando volteremo il nostro sguardo egoista altrove, mentre affrettiamo il passo verso l’età della pietra?
 
Bruno Dorigatti
Presidente del Consiglio provinciale