Storie di donne, letteratura di genere/ 50 – Di Luciana Grillo

Patrizia Belli, Figlia di tante lacrime – La storia di Bernardina, una donna di Rovereto che fu insignita del titolo di «venerabile»

Titolo: Figlia di tante lacrime
Autrice: Patrizia Belli
 
Editore: Casa editrice Il Margine, Trento 2013
Collana: Piccoli margini

Pagine: 64, con illustrazioni
Prezzo: € 8,00

Un prezioso, piccolo libro ci racconta la storia vera di Bernardina Floriani, vissuta a Rovereto nel XVII secolo, figlia complicata di un pittore e di una donna semplice che vedeva, in questa bambina che voleva curare i poveri e gli ammalati, che parlava con Dio e raccontava sogni terribili, che per ben tre volte avrebbe dovuto ricevere l’estrema unzione, la «figlia di tante lacrime».
Il papà amava questa bimbetta gracile, sempre pronta ad aiutarlo, quando mancavano le commesse di dipinti, a fabbricare saponi o al torchio, e fu proprio nella bottega del padre che il frate laico Tommaso da Olera vide in lei una luce speciale e la definì toccata da Dio.
Meno affettuoso fu il rapporto fra Bernardina e sua madre che era molto rigida e non condivideva, ad esempio, la decisione della figlia di digiunare, prima solo il sabato, poi anche il venerdì, per ottenere dalla Madonna protezione sulla sua famiglia, provata da un «susseguirsi di malattie, morti dei fratelli, difficoltà economiche e incomprensioni con la madre».
 
Bernardina ha solo quindici anni quando si inserisce nella vita religiosa, vivendo come vergine laica, ma prendendo il velo di clarissa molti anni dopo, nel 1650, all’età di quarantasette anni.
Da allora, il suo nome è Giovanna Maria della Croce.
Durante tutta la sua giovinezza, Bernardina ha lottato contro le tentazioni diaboliche, ha spogliato la sua cella di ogni suppellettile, si è autopunita e si è alimentata sempre meno.
Bernardina era generosa con i poveri e con le prostitute, sapeva confortare i moribondi, sapeva guarire gli ammalati e aveva senza dubbio doti profetiche.
In quel tempo, era sicuramente una persona scomoda, tanto che persino sua madre diceva: «Oh che filiola mi à dato Dio, che non poso da lei aver  alcuna consolazione».
E certo per lei, che non godeva di alcun privilegio né di protezioni, non era facile continuare nella sua opera, mentre le streghe venivano messe al rogo…
 
Fu dopo lo scoppio della grande peste, per intenderci quella descritta dal Manzoni, che si diffuse violentemente anche a Rovereto, che i poteri di Bernardina vennero in un certo senso «riconosciuti»: infatti solo a lei fu dato il permesso di muoversi in città per portare aiuto e conforto agli appestati.
Cominciarono a circolare voci di vario genere: c’era chi ne esaltava miracoli e profezie, chi avrebbe voluto invece allontanarla dalla città.
Ma Bernardina, che aveva meno di trenta anni, non si lasciava intimorire, anzi si mise in contatto con una nobile signora, Sibilla Lodron, e propose la realizzazione di un monastero, mentre iniziava una fitta corrispondenza con imperatori e nobili del tempo, fra cui l’arciduchessa del Tirolo, Claudia de’ Medici.
Insomma, una semplice, povera, giovane donna seppe coniugare la religiosità profonda con la politica, intrattenendo rapporti fecondi con i potenti che devolvevano i loro averi a favore delle opere di Bernardina.
 
Proprio nell’Istituto femminile voluto da Bernardina si ritirò la generosa benefattrice Sibilla Lodron.
In quel «Conservatorio femminile» si verificavano talvolta eventi straordinari «imputabili alla protezione che Dio riserva a lei e alle sue figliole», e si ospitavano i religiosi che andavano a predicare al Nord, dove si stava diffondendo il Protestantesimo.
All’aiuto di Claudia de’ Medici si deve la costruzione del convento delle clarisse a Rovereto, proprio mentre il principe vescovo di Trento Carlo Emanuele Madruzzo accusa Bernardina di eresia, pazzia e fanatismo!
Tutta la vita di Bernardina è stata resa più difficile dalla sua fragilità fisica: anche quando prese il velo vestendo l’abito di clarissa «io ero tanto inferma che il medico non voleva in modo alcuno levasi a prender l’abito. Ma io lo importunai tanto che mi lasiò andare».
Nonostante tutto, a Giovanna Maria della Croce non fu consentito di guidare la comunità, fin quando non andarono via le monache mandate da Bressanone per esautorarla.
E solo nel 1655 divenne badessa, incarico confermato per altre quattro volte, con una dispensa speciale.
 
Dunque, non ebbe vita facile la nostra Bernardina, finché fu giovane e ritenuta «pericolosa».
Negli ultimi anni della sua vita, finalmente, furono riconosciuti i suoi meriti e quando morì, circondata dalla «venerazione dei suoi concittadini…per sei giorni fu impossibile seppellirla cotanto vi si oppose la popolazione».
Era il 1673. Già due anni dopo Sigismondo Alfonso di Thun, principe vescovo di Trento, avviò il processo canonico di beatificazione.
Nel 1773 Bernardina fu insignita del titolo di «venerabile» grazie al decreto del Papa Clemente XII, ma dovettero passare poi quasi tre secoli perché nel 1927 il sacerdote roveretano Antonio Rossaro tentasse di riaprire la causa di beatificazione, appoggiato dal vescovo trentino Celestino Endrici.
Il fatto che Bernardina avesse parlato e scritto delle sue visioni fu considerato però motivo per «non procedere».
 
In ogni caso, oggi, a Rovereto, quando si parla di Lei, si dice «La Beata Giovanna», a prova che nella tradizione popolare la sua vita, le sue azioni, i suoi scritti sono considerati degni di una «beata» che l’abile penna di Patrizia Belli ci ha fatto conoscere con l’ausilio di preziosi documenti. 
 
Luciana Grillo
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