Il Mali e il buon samaritano francese – Di Myriam Scandola

Continuano gli scontri tra il fronte islamico e le forze francesi: cronaca di una nuova emergenza internazionale

«Perché loro hanno qualche cosa che noi non abbiamo ed è la passione. Hanno la fede e la passione. Nel male, in negativo, ma l'hanno.»
Forse aveva ragione la Fallaci quando parlava degli estremisti musulmani.
 
Il Mali di questi giorni e di questi mesi sopporta e conferma gli orrori di una passione, quella dell'integralismo islamico, che è sempre più ostinata, spietata, insana.
Ma carattere passionale ha mostrato di averlo anche Parigi, intervenuto subito dopo la presa, per mano dei figli di Al-Qaeda, della città di Konna il 10 gennaio scorso.
Per fermare l'avanzata islamica verso la capitale, l'ex potenza coloniale, ha deciso di mostrare i muscoli fin da subito.
Appena il tempo di ricevere la benedizione delle Nazioni Unite il 14 gennaio, infatti , e già due giorni dopo le forze di terra francesi si scontravano con i ribelli musulmani a Diabali.
 
Mentre tra le sabbie del Sahel si è arrivati all'ottavo giorno di raid aerei e al terzo di combattimenti corpo a corpo, nel vecchio continente, intanto, Hollande e la sua Francia collezionano pacche sulla spalle e strette di mano.
Il più grato è sembrato il presidente dell'Unione Africana Thomas Boni Yayi che, senza mezzi termini, ha precisato come i militari francesi «praticamente ci hanno salvato».
Ma sentito è stato anche il supporto del consiglio UE a Bruxelles, che oltre al suo benestare ha promesso l'invio di 450 unità come sostegno logistico all'inesperto e stanco esercito maliano.
Per non parlare, poi, del 75% dei francesi che appoggiano stupiti il vigore inaspettato del presidente, fino a poco tempo fa soprannominato «Flemby», in riferimento al suo carisma definito «debole e floscio» come l'omonimo budino.
 
Ma forse l'istinto missionario non è stato l'unico a spingere e a decidere l'intervento francese.
Le ragioni sono tra le più varie. Da quelle quasi affettive per un ex colonia che chiede aiuto, a quelle più nostalgiche che vogliono di nuovo la Francia paese forte capace ancora di cambiare la storia dei figli del suo impero.
Insomma in grado di dire ancora qualcosa in un Europa sempre più tedesca.
 
Certo pesano, in questo repentino scomodarsi dell'Eliseo, anche e soprattutto i terrori di un Sahel islamico che contagia e infetta i paesi confinanti.
Gli Al Shabaab e la loro Somalia, l'Aqmi e i disastri in Algeria, i Boko Haram con la loro insanguinata Nigeria, non sono che i primi e i più manifesti burattini del nuovo teatrino di Al- Qaeda.
 
Ancora più pericolosi ora che hanno imparato la convenienza dei «walking money», ovvero dei rapimenti di stranieri, i cui riscatti permettono di ampliare i loro forniti e disparati arsenali di armi.
La posta in gioco non sono dunque solo i 6.000 cittadini francesi che abitano in Mali, ma soprattutto l'assurdità islamica che potrebbe compromettere con la sua ortodossia violenta tutta la zona.
Destabilizzazione che già si disegna nelle rivendicazioni dei ribelli in Repubblica Centrafricana e che si teme coinvolga anche la Nigeria.
 
E quindi,ovviamente l'accesso al suo uranio. Inutile dire che i danni sarebbero ingenti per la compagnia francese Areva, impegnata nella produzione di energia atomica che si nutre quasi esclusivamente dei giacimenti nigeriani di Arlit.
Intanto con un filo di fiato si inizia a parlare di nuovo Iraq, di una seconda Libia, di un moderno, lungo e per questo terribile Vietnam.
Il passato torna ad attaccare il presente.
 
Myriam Scandola