Vademecum delle Feste Vigiliane/ 2
I 25 anni delle Feste dell'«Era Moderna» e quelle d'un tempo
Con un programma di circa 160 eventi
distribuiti su 13 giorni il patron Guido Malossini ha portato
quest'anno le Feste Vigiliane a tagliare il traguardo dei 25 anni
della cosiddetta «era moderna». Questo quarto di secolo è stato una
sfida continua, sempre alla ricerca di qualcosa di nuovo per
assicurare alla festa patronale anche momenti di svago e di
incontro, oltre ai fuochi artificiali e al tradizionale concerto
della Banda Cittadina. Per Guido Malossini ed il suo comitato,
collaudato in anni di Campionati Mondiali per le Polizie, si tratta
del decennale, contraddistinto da un crescendo di impegni che hanno
reso questo appuntamento di inizio estate un avvenimento di grande
rilevanza, riuscendo a coinvolgere l'intera città e centinaia di
migliaia di persone provenienti anche dalle province limitrofe.
Correva l'anno 1982 quando l'Amministrazione Comunale di Trento,
retta dal sindaco Giorgio Tononi, e l'Azienda Autonoma di Soggiorno
e Turismo, presieduta da Giulio de Abbondi, pensarono che sarebbe
stato opportuno organizzare dei festeggiamenti in onore del patrono
San Vigilio, che richiamassero le tradizioni di un tempo. Chi
meglio poteva interpretare questa esigenza assicurando la migliore
organizzazione se non Guido Malossini ed il suo staff, da anni
impegnati con i Campionati del mondo di sci e pattinaggio delle
polizie?
Già nel 1982 Malossini aveva abbozzato un programma di massima per
l'anno a venire. I festeggiamenti iniziarono venerdì 24 giugno alle
17 in Cattedrale con la consegna del cero di San Vigilio
all'Arcivescovo da parte del Consiglio comunale, seguito da un
brindisi offerto alla cittadinanza; alle 20 la sfida tra i rioni
con i giochi di un tempo. E così per tre giorni, con il centro
storico chiuso al traffico fino alla chiusura delle Feste, domenica
26, con la regata sul fiume Adige ed i fuochi artificiali.
"Io avevo fatto la mia proposta al Sindaco - dice Guido Malossini -
ma il mio coinvolgimento a quel tempo fu marginale, per mia
volontà. Nel 1983 si svolse l'edizione "numero zero" della
zatterata: una prova generale per preparare le future edizioni, che
avrebbe poi preso il nome di Palio dell'Oca".
Ma come si è arrivati all'idea di riproporre in chiave moderna i
festeggiamenti di un tempo? Lo scopriamo dai protagonisti. "Abbiamo
constatato che in molte città italiane - ricorda l'allora sindaco
Giorgio Tononi - c'era un rifiorire di manifestazioni
folkloristiche che riprendevano i festeggiamenti di un tempo. Anche
noi, ci siamo detti, dobbiamo fare qualcosa, e così ne abbiamo
parlato con il presidente dell'Azienda Autonoma di Soggiorno e
Turismo". "Siamo partiti con una piccola cosa - ricorda Tononi - e
siamo arrivati ad una manifestazione vera e propria; oggi tenere in
vita queste tradizioni è un fatto culturale oltre che una simpatica
occasione di incontro".
"Allora - osserva de Abbondi - l'Azienda non si occupava soltanto
di marketing, ma organizzava anche manifestazioni. In consiglio
abbiamo valutato positivamente la proposta di Guido Malossini.
Parlando poi con gli amministratori comunali, siamo giunti alla
conclusione che la festa per il patrono avrebbe potuto avere un
valore attrattivo per la società solo se fosse diventato un evento
vissuto in prima persona dal cittadino. Questa manifestazione
doveva diventare per Trento quello che è il Palio per Siena".
Nacque così l'edizione numero zero. "Naturalmente servivano i soldi
- conclude De Abbondi - e grazie alla Cassa Rurale di Villazzano
abbiamo ottenuto un mutuo con la mia garanzia personale". Nel
maggio del 1983 fu eletto sindaco Adriano Goio al quale spettò il
compito di portare avanti l'iniziativa. "Fu in impegno che vide
coinvolta tutta la giunta - precisa l'ex primo cittadino - ed il
vicesindaco Fernando Guarino in particolare. "Io avevo ricevuto in
eredità dal sindaco Edo Benedetti - ricorda Goio - il gemellaggio
con Berlino Charlottenburg e da Giorgio Tononi quello con San
Sebastian. Questi contatti ci permisero di verificare come
all'estero erano state riprese le antiche tradizioni e così
pensammo anche noi di dar vita a festeggiamenti importanti per il
patrono, impegnandoci anche nella ricerca dei costumi di un
tempo.
Nei primi anni di organizzazione, l'Amministrazione si appoggiò
alla regia dell'Azienda Autonoma di Soggiorno e Turismo ed in
seguito anche al Centro Servizi Culturali Santa Chiara per quanto
atteneva alla parte culturale. Nel 1999 si chiese la collaborazione
dei "Servizi Organizzativi ed Immagine Città di Trento" di Guido
Malossini, a cui vennero affidati gli eventi sull'Adige: Palio
dell'Oca e fuochi artificiali. "L'esordio fu tutt'altro che
positivo - confessa patron Malossini: le zattere andarono a fondo
perché i tronchi erano stati lavorati con un errato trattamento, ed
i fuochi presero una pericolosa inclinazione. Anche se la colpa di
questa debacle non poteva essere addebitata a noi - spiega
Malossini - fu davvero una brutta esperienza che, in un primo
momento, ci aveva fatto decidere di lasciar perdere tutto. Ma poi
mi sono ricreduto, perché non era giusto lasciare dopo un
fallimento, volevo dimostrare che il nostro Comitato sapeva fare le
cose per bene".
Nel 2000, su richiesta dell'Amministrazione Comunale, tutta
l'organizzazione venne affidata a Malossini e dai 4 giorni di
allora si è arrivati ai 13 della 25° edizione. È stato un continuo
crescendo che culmina quest'anno in un programma comprendente circa
150 eventi.
LE FESTE DI UN TEMPO
Un tempo, quando le occasioni di svago erano rarissime, particolare
significato assumevano le feste che scandivano i momenti più
importanti della comunità, dalla nascita alla morte, dal raccolto
alla carestia, dal matrimonio alle ricorrenze dei compleanni. La
festa veniva intesa come atto di culto, per assumere le vesti del
rito - quando faceva riferimento ad esigenze di purificazione -
oppure di rinascita, che doveva essere garantita da qualcosa che
stava al di là, ovvero dal divino. Capodanno, Carnevale,
Calendimaggio rappresentavano gli appuntamenti che scandivano la
vita per festeggiare il nuovo ciclo del tempo che si andava ad
affrontare.
Recentemente, tuttavia, si è sentito il bisogno di recuperare parte
di questa storia lontana e così a Trento, il 20 giugno 1984, venne
inaugurata la prima edizione delle risorte «Feste Vigiliane», in
onore del patrono della città San Vigilio, che riproposero il Palio
dell'Oca, competizione di zattere sul fiume Adige, e la Mascherada
dei Ciusi e dei Gobj. Fino ad allora la ricorrenza del patrono
della città veniva festeggiata solamente il 26 giugno con le
celebrazioni religiose nella Cattedrale del Duomo e con qualche
appuntamento profano, come il concerto della Banda cittadina e, non
sempre, i fuochi artificiali. Ma questo non è accaduto solo per il
capoluogo, perché anche nelle vallate trentine c'è stato un
recupero di vecchie tradizioni.
Nel lontano passato la ricorrenza del patrono era un avvenimento
particolare per la città di Trento che, per l'occasione, si
abbelliva a festa. Una testimonianza curiosa viene dal programma
dei festeggiamenti per il 26 giugno pubblicato nel 1830. "Il suono
dei sacri bronzi - si legge - annunzia il fausto giorno del 26
giugno, in cui la Diocesi di Trento e questa città da ben
quattordici secoli solennizzano la festa di San Vigilio loro
Protettore". Un'antica tradizione, dunque, quella delle Feste
Vigiliane, che prevedevano anche intrattenimenti profani, in
particolare i fuochi artificiali che anche in quell'anno vennero
eseguiti «dal celebre pirotecnico signor Angelo Oreni di
Treviglio». «Dopo i fuochi - prevedeva il programma del 1830 -
andrà in scena la tanto distinta opera la "Gazza ladra" con il
ballo "Il ribelle di Scozia"».
Un'altra testimonianza di quell'epoca viene dallo scrittore Aldo
Alberti-Poja, che racconta di un prussiano di nome Augusto Lewald
il quale, dopo aver combattuto a fianco dei russi nella guerra di
liberazione del 1813, girò l'Europa e scrisse dei suoi viaggi. In
uno di questi gli capitò di arrivare a Trento in occasione della
ricorrenza del Patrono San Vigilio. Mentre si accingeva a infilarsi
nelle coltri, Lewald fu incuriosito da un brusio di folla e da un
monotono salmodiare: era una processione che accompagnava il
feretro di un morto nella casa che stava proprio di fronte al suo
Albergo, La Rosa. Durante la cena, davanti a piatti succulenti, la
sua curiosità venne attratta dalla polenta servita con uccelletti,
un piatto modesto a quel tempo. Il viaggiatore prussiano ebbe modo
di constatare la trasformazione che Trento aveva subito per le
festività di San Vigilio, cosa mai possibile in alcuna città della
Germania.
«Da tutti i paesi - si legge nel racconto - erano affluiti in città
un'infinità di devoti e curiosi ed a certe ore, per esempio di
notte, negli intervalli dell'opera caffé, osterie e alberghi erano
affollatissimi. Trento era diventata d'un tratto una grande città:
gioventù elegante, signore in gran toilette, equipaggi anche a
quattro cavalli, bande musicali senza fine, bancarelle con le merci
più svariate… Già dalle primissime ore del mattino fino a tarda
notte tutti, senza distinzione di casta, prendevano parte alla
gioia comune.»
Il viaggiatore si soffermò nel tratteggiare alcuni quadretti di
vita, come ad esempio il risveglio di buon mattino al suono delle
bande e le bordate dei cannoni, oppure l'apparizione di un medico a
cavallo che decantava la sua abilità ad un pubblico sempre più
incuriosito. Lewald racconta poi con molta dovizia della cerimonia
religiosa e la conclusione dei festeggiamenti con i fuochi
artificiali fatti partire nella fontana del Nettuno.
Un particolare cenno merita la tradizione dei fuochi d'artificio,
di cui si trova documentazione già nel XVI secolo, che era
profondamente radicata nella popolazione trentina e continua a
rappresentare un momento di forte richiamo nel contesto delle Feste
Vigiliane. All'allestimento dei fuochi venivano deputati due
consoli del Comune di Trento, i quali provvedevano a trovare i
maestri artificieri ed assistevano alle prove generali. Per
l'occasione veniva costruita una "macchina per fuochi" che si
avvaleva di una ricca scenografia che cambiava di anno in anno. Già
alla fine del Seicento, queste macchine offrivano uno spettacolo
pirotecnico davvero imponente, supportato, come si legge in una
cronaca del tempo, da 40 paia di razzi, 1450 girandole, 100 razzi
da sparare in alto e 12 grandi ruote.
Ai fuochi si dava moltissima importanza perché era credenza comune
che questi fossero molto graditi a San Vigilio. Infatti, quando si
pensò di allestire analogo spettacolo per festeggiare il Re di
Roma, si era nel 1811, non se ne potè far nulla perché la pioggia
impedì l'esplosione dei fuochi. E la vox populi sentenziò: "San
Vigilio vuole i fuochi solo in onor suo". Lo spettacolo pirotecnico
nei primi tempi si teneva in piazza del Duomo e quindi dal 1855
venne spostato in piazza d'Armi, l'attuale piazza Venezia. E' più
recente invece la collocazione lungo le rive dell'Adige.
Un altro appuntamento le cui origini si perdono nel tempo è quello
della Mascherada dei Ciusi e dei Gobj, che trova testimonianza
nelle memorie di diversi autori. Le notizie più antiche risalgono
al Seicento e ne è autore Michelangelo Mariani in un libro dove si
tratta di tutti i fatti notabili e storici dell'epoca. Di
consuetudine la rappresentazione veniva fatta in occasione del
Carnevale.
Un'altra descrizione della Mascherada appare due secoli dopo ad
opera di Gioseffo Pinamonti, il cui racconto differisce in parte da
quello del Mariani, mantenendone tuttavia il senso, ossia la difesa
dei trentini (Gobj) dai predatori feltrini (Ciusi) e la scelta
della polenta nella rappresentazione scenica, il cibo base di quel
tempo per le popolazioni del nord. Infine, in un articolo de «Il
Popolo» del febbraio 1902, si racconta che l'ultima
rappresentazione della Mascherada si tenne nel 1857.
Secondo la tradizione la Mascherada prende spunto da un episodio
storico realmente accaduto nel VI secolo quando Re Teodorico decise
di far fortificare diverse città del suo dominio. Una di queste
città era Trento. Per accelerare i lavori di costruzione delle mura
furono chiamati anche lavoratori da altre città e soprattutto da
Feltre. Sopravvenne una grande carestia e i Feltrini che rimasero a
Trento erano numerosi ed affamati, di conseguenza tentarono di
rapinare le vettovaglie custodite per soddisfare le esigenze della
città. Ne nacque una dura e furibonda battaglia, durante la quale i
trentini difesero strenuamente le loro provviste, sconfiggendo e
cacciando definitivamente i Feltrini dalla città. La Mascherada dei
Ciusi e dei Gobj era stata ideata con il preciso intento di
festeggiare ogni anno, nel periodo carnevalesco, con i Gobj sempre
vincitori, per ricordare quella storica vittoria ottenuta dai
Trentini. I Ciusi rappresentano quindi i feltrini, vestiti di
giallo e rosso ed i Gobj sono i cittadini di Trento, in abiti sobri
sul grigio chiaro bordati di blu. Secondo studi ed approfondite
ricerche storiche, si può far risalire l'origine della Mascherada
al 1200. Anticamente potevano partecipare alla Mascherada solamente
i Nobili ed i due schieramenti erano composti da circa 150/200
persone. I documenti e le regole del gioco che hanno permesso e
permettono tutt'oggi la rappresentazione della Mascherada si
trovano su alcuni libri storici a partire dal 1500 e sino alla metà
dell'800 questa venne rievocata in forme e modi diversi.
Dimenticata per più di un secolo è stata e viene riproposta,
mantenendone intatte le caratteristiche storiche e rappresentative
a partire dal 1984, come si è ricordato sopra.
e.b.