Dopo Geddafi… Al Assad? – Di Valentina Saini

Le prostettive del mondo arabo, viste da una Trentina che da quattro anni vive a Barcellona

Il tono delle dichiarazioni del governo iraniano su uno dei suoi maggiori alleati, il regime siriano di Bashar Al Assad, è cambiato negli ultimi giorni.
Ahmadinejad ha raccomandato al presidente siriano di fermare la repressione delle manifestazioni e di intraprendere un dialogo per trovare una soluzione politica al conflitto.

Ma anche nell'ipotetico caso che Bashar Al Assad lo facesse, è difficile pensare che l'opposizione siriana, che continua a manifestare nelle strade di varie città nonostante i pericoli che corre, si accontenterebbe ora di un dialogo con un presidente ormai tanto odiato, specialmente se la prospettiva fosse che questi rimanesse al potere.
Tra l'altro, alcuni esponenti dell'opposizione siriana hanno cominciato a richiedere l'intervento della comunità internazionale per proteggere i civili dalla repressione, mentre fino a pochi giorni fa rifiutavano qualunque possibilità di un intervento straniero.

Il successo delle forze ribelli, aiutate dalla NATO in Libia, ha sicuramente avuto un peso in questo nuovo atteggiamento.
Il ministro degli esteri francese, Alain Juppé, ha fatto un passo in questa direzione recentemente, accusando il regime siriano di crimini contro l'umanità.
Stessa cosa l'ha dichiarata l'ex primo ministro britannico Tony Blair, in un'intervista al giornale The Times.

E anche la Brookings Institutions, un "think tank" particolarmente vicino al presidente Obama da prima che questi venisse eletto, ha elaborato alcune raccomandazioni che, presumibilmente, il presidente terrà in considerazione.
Sono raccomandazioni di due tipi. Da una parte consiglia una serie di azioni politiche per promuovere un cambio di regime, appoggiando un ipotetico omologo siriano del Consiglio Nazionale di Transizione della Libia con la partecipazione delle potenze vicine, tra le quali Turchia e Arabia Saudita.
La seconda serie di raccomandazioni è invece di tipo militare. La Brookings Institutions presenta quattro possibili strategie in Siria e propende per la combinazione di un'operazione marittima per far rispettare le sanzioni, soprattutto in merito allo scambio di petrolio e prodotti ad alta tecnologia.
Si ipoticca una serie di bombardamenti delle strutture del regime siriano.

Sempre secondo la Brookings Institutions, l'alternativa a un intervento militare sarebbe lasciare che la situazione continuasse nell'impasse attuale.
Tutto ciò, a medio termine, potrebbe spingere l'opposizione siriana a prendere le armi, anche perché sembra che le diserzioni stiano aumentando nelle fila dell'esercito.
Nel qual caso, la Siria cadrebbe in una guerra civile.
Ed una Siria in guerra civile interessa molto meno che un cambio di regime, in particolar modo ai suoi vicini più diretti, tra i quali Israele, già molto occupata (e preoccupata) per la nuova situazione neo vicini Egitto e Turchia.

La settimana scorsa, il presidente Obama ha presentato il suo piano per la creazione di posti di lavoro ed investimenti al settore imprenditoriale per un valore totale di circa 447 miliardi di dollari.
Forse la produzione delle armi e degli altri prodotti e servizi necessari per un intervento militare contro il regime di Bachar Al Assad, secondo l'amministrazione statunitense, contribuirebbe all'economia nazionale.

Dopo essere riuscito ad eliminare Osama Bin Laden, Obama potrebbe vedere come un ulteriore successo il fatto di contribuire a smantellare uno degli ultimi regimi totalitari che rimangono in Medio Oriente.
Dato che la maggior parte del bottino della Libia è stata divisa tra paesi europei come Francia e Regno Unito, come premio per aver gestito la gran parte delle operazioni della NATO in Libia, la Siria si presenta come occasione imperdibile per isolare ulteriormente l'Iran.

Un intervento militare tuttavia si presenta estremamente pericoloso perché la Siria non assomiglia per nulla alla Libia, quanto piuttosto all'Iraq.
Quello stesso Iraq dal quale gli Stati Uniti stanno cercando di ritirarsi totalmente e il più in fretta possibile, dopo che l'invasione venne presentata come un'operazione lampo.
Fallimento della comunità internazionale che gli iracheni stanno pagando, da otto anni, ad un prezzo immensamente caro.

Valentina Saini

V. Saini è una giovane trentina che sta terminando un dottorato di ricerca in comunicazione e giornalismo per l'Università Autonoma di Barcellona. La tesi è incentrata sul mondo arabo e, in modo particolare, su come la stampa europea ed araba trattano l'informazione sui gruppi e partiti islamisti del mondo arabo.