Giorno della memoria – La soluzione finale di Adolf Eichmann
Per non dimenticare che la Shoah è stata voluta e organizzata da uomini della civilissima Europa Centrale
L'anno scorso avevamo pubblicato il
racconto di uno dei 6 milioni di poveri disgraziati che si sono
persi nel vento, come recitava una canzone scritta da Guccini
quando la Shoah era ancora una tesi che i più consideravano
inverosimile.
Era il 1964 e si intitolava «Auschwitz».
In quell'epoca pochissimi volevano credere quello che si diceva sui
lager tedeschi, anche perché nel corso della Grande Guerra erano
circolare voci altrettanto atroci di tedeschi che tagliavano le
mani ai bambini e altre vergogne del genere, ma che a guerra finta
si dimostrarono solo fantasie create ad arte dagli alleati
dell'Intesa per accrescere l'odio della gente verso l'imbattibile
Germania.
Scoprire il primo Lager toccò ai sovietici, che avevano anche loro
qualcosa di simile da nascondere in casa. L'ironia della storia
volle tuttavia che entrando in quello di Auschwitz il 27 gennaio
diedero il via alla data in cui si commemora il grande sacrificio
degli ebrei, la Shoah.
Poi li scoprirono anche gli americani e venne alla luce la catena
istituita dai nazisti per compiere la soluzione finale,
come l'aveva chiamata il suo burocrate, Adolf
Eichmann.
Non ci credette nessuno e ci vollero anni e anni perché tutti un
po' alla volta si rendessero conto di che cosa avevamo
fatto. Sì, ho usato la prima persona plurale, perché quando
accadono cose di questo genere è impossibile chiamarsi fuori.
L'abbiamo fatto noi esseri umani, punto.
Quando andai in Germania nel 1966, chiesi a mio zio di Monaco di
Baviera di parlarmene.
«Non sapevamo… - Mi disse con voce incerta. - Come
potevamo sapere?»
Aveva ragione e gli credetti. Durante il conflitto era un uomo di
mezza età che faceva l'impiegato e aveva imparato solo a odiare gli
alleati per i continui bombardamenti che i tedeschi dovevano
sopportare ogni giorno, apparentemente senza motivo.
In realtà, però, era vero: senza motivo.
Mio zio sapeva del Lager di Dachau, a pochi km da Monaco, ma per
lui e per tutti i suoi concittadini era solo un campo di
prigionia.
Quando venne a conoscere la verità, dapprima la rifiutò. Poi pian
piano si accorse che la colpa era anche sua. Non in quanto tedesco,
ma in quanto essere umano. Perché la vergogna era accaduta
nell'Europa Centrale, il cosiddetto cuore della
civiltà.
Tutti siamo consapevoli di questo.
Quello che non è mai emerso con sufficiente onestà è la vergogna
dei bombardamenti a tappeto avvenute su tutte le città tedesche per
opera degli alleati. Ma col tempo si dovranno ricordare anche
quelli, perché è l'unico modo per far sì che non si ripetano
più.
L'anno scorso, dicevamo, abbiamo pubblicato il racconto di uno quei
6 milioni di poveri disgraziati finiti nel vento. Era la
storia di Oscar Zannini, che consigliamo ancora di leggere
(vedi).
Quest'anno non vogliamo raccontare altre storie delle vittime,
perché più avanti dedicheremo la nostra memoria ad altre vergogne.
Più recenti. Ma che proprio per questo bruciano ancora. E di
più.
Resta naturalmente invariata la nostra indignazione per quello che
«abbiamo fatto» quando non eravamo ancora nati.
Vogliamo invece ricordare la storia di uno dei carnefici, Adolf
Eichmann, perché la sua storia ha segnato il primo dopoguerra. Ed è
stato grazie al suo processo che abbiamo imparato a conoscere
quanto fosse accaduto davvero ai tempi della Shoah.
GdM
Adolf Eichmann nacque a Solingen, in
Renania settentrionale, figlio di Adolf Karl Eichmann e Maria
Schefferling. |