Galleria Fogolino, arte trentina del 900 – Di Daniela Larentis
«La luce delle cose. Natura morta nell’arte trentina del Novecento», è la mostra curata da Massimo Parolini e dal gallerista Adriano Fracalossi, visitabile a Trento
Adriano Fracalossi.
«La luce delle cose. Natura morta nell’arte trentina del Novecento» è il titolo della prestigiosa esposizione curata da Massimo Parolini e dal gallerista Adriano Fracalossi, da poco inaugurata a Trento nella storica Galleria «Fogolino» di via S. Trinità.
Sarà visitabile fino al 4 maggio 2019 nei seguenti orari di apertura: 10-12|16-19.
Si tratta di opere appartenenti soprattutto a collezionisti privati, altre a pittori viventi che le hanno messe a disposizione per l’evento, preziose testimonianze artistiche del secolo scorso, rilevanti non solo per il livello qualitativo, per la varietà, ma anche per la loro capacità di rinviare alle nostre radici.
Sentirsi parte di un territorio significa infatti anche riconoscerne la cultura, le opere di questi pittori trentini sono da leggere come il frutto di qualcosa di più grande delle storie individuali che raccontano, sono e diventano idealmente un bene comune da custodire, da valorizzare e da far conoscere, grazie al quale la stessa comunità a cui appartiene può trasmettere la ricchezza dei propri valori.
Gino Castelli.
Meriterebbero forse anche per questo una collocazione in spazi istituzionali, passare in galleria ad ammirarle può essere non solo per i trentini ma anche per i tanti turisti che affollano in questi giorni le vie cittadine un’occasione di arricchimento culturale.
Il Trentino è la terra di molti grandi pittori del Novecento, alcuni meno celebrati e meno noti di altri ma non per questo meno validi (del resto non è il fatto di non essere entrato nel circuito dei grandi musei istituzionali che fa di un bravo pittore o di un bravo scultore un artista necessariamente meno capace di chi ha avuto questa occasione e questa visibilità).
Il Trentino ha prodotto artisti di grande valore, non solo quelli entrati nell’immaginario collettivo, questa mostra dedicata alla natura morta nell’arte trentina del secolo scorso ne è un piccolo significativo esempio.
Attilio Lasta.
Il curatore Massimo Parolini ricorda come solo «a partire dall’eco di «natura inanimata» coniato dall’Enciclopedista Diderot, nel 1800 si imporrà la definizione di nature morte (adottato anche in Italia)».
Sottolinea: «In questo secolo il genere assume un valore di poetica artistica intima e riflessiva, e di ricerca formale, con Fantin-Latour, Courbet, P. Cézanne, V. van Gogh; nel Novecento nel Cubismo e nel Purismo, nelle avanguardie (dada, surrealismo), fino alla pop-art e al nuovo realismo. In pittori come il bolognese Giorgio Morandi, è diventato l’oggetto privilegiato della propria ricerca creativa».
Gino Pancheri.
Spiega lo stesso Parolini nel suo intervento critico: «In mostra si possono godere i cromatismi e le forme di una ventina di artisti novecenteschi del nostro territorio che si sono cimentati nella rappresentazione di oggetti, frutta già colta, cacciagione, fiori recisi, bottiglie, vasi, strumenti musicali, libri, oggetti generici posti di fronte allo sguardo cercandone l’anima, la relazione profonda col soggetto che indugia sull’oggetto strappato al suo ordine naturale ed entrato nei confini della riproduzione artistica umana.
Dipingere -o scolpire o fotografare- una natura morta è una specie di sfida: l’artista deve rendere la vitalità di tali oggetti inanimati o strappati alla vita da un atto umano o naturale (per fiori frutta cacciagione) […]».
L’esposizione rappresenta infatti una considerevole panoramica di opere di alcuni fra i più rappresentativi artisti trentini del 900, quali: Erminia Bruni (1870 – 1940), Umberto Moggioli (1886 –1919), Attilio Lasta (1886 – 1975), Guido Polo (1898 – 1988), Giorgio Wenter Marini (1890 – 1973), Gino Pancheri (1905 –1943), Carlo Bonacina (1905 – 2001), Bruno Colorio (1911 – 1997), Michelangelo Perghem Gelmi (1911 –1992), Carlo Sartori(1921 – 2010), Mariano Fracalossi (1923 – 2004), Luigi Senesi (1938 –1978), Marco Berlanda, Gino Castelli, Roberto Codroico, Gian Luigi Rocca, Pietro Verdini.
Giorgio Wenter Marini.
Ad attirare la nostra attenzione (fra le splendide opere esposte notiamo subito, in fondo alla sala, anche un meraviglioso dipinto di Gino Pancheri), due suggestive nature morte di Mariano Fracalossi, l’apprezzato pittore trentino scomparso nel 2004, a cui nel 2015 era stata dedicata un’importante mostra a Palazzo Trentini, curata da Elisabetta Doniselli (e al quale in futuro dedicheremo un articolo di approfondimento).
Abbiamo incontrato Adriano Fracalossi, figlio del noto artista (che fu anche uno stimato insegnante in numerose scuole trentine) e approfittando dell’occasione gli abbiamo rivolto alcune domande.
Guido Polo.
Come è nata l’idea di questa mostra?
«L’idea è nata con Massimo Parolini, avevamo già organizzato una mostra dedicata ai pittori trentini a Venezia. Ogni tanto ci piace organizzare qualche mostra storica, abbiamo pensato che poteva essere interessante proporre questo evento, attingendo anche dalle opere dei collezionisti, dando così modo alle persone di poterle ammirare.»
È esposta anche un’opera di Erminia Bruni. Chi era questa pittrice?
«Questa pittrice, nata nel 1870 e morta nel 1940, era la zia di Guido Polo. Studiò a Monaco di Baviera e lavorò parecchi anni anche a Trieste, fu un’artista di formazione mitteleuropea, questa impronta è rintracciabile nei suoi dipinti. A suo tempo ottenne numerosi riconoscimenti, è una pittrice estremamente interessante.»
La pagnotta ritratta nella natura morta di Giorgio Wenter Marini attira sicuramente l’attenzione del visitatore, sembra quasi che la si possa prendere, immaginando di avvertirne il profumo…
«Fra i quadri esposti questo dipinto è molto interessante sia per la composizione che dal punto di vista cromatico; Giorgio Wenter Marini è un pittore che come altri meriterebbe di essere conosciuto maggiormente…»
Potrebbe condividere con noi un pensiero sulle due nature morte dipinte da suo padre, l’artista Mariano Fracalossi?
«Lui non amava particolarmente dedicarsi a questo genere, tuttavia questa natura morta, datata 1959, la prima realizzata e la più colorata delle due esposte, è un quadro che io ho sempre visto appeso alla parete di casa e a cui lui era evidentemente affezionato.
«Successivamente ha condotto una ricerca che gli ha fatto percorrere altre strade, la seconda natura morta degli anni Settanta è infatti un’opera realizzata su una base di caseato di calcio su cui ha lavorato a matita, dà l’effetto del muro, è quasi una sorta di graffito.»
Un’ultima curiosità: qual era l’aspetto del suo carattere che le piace ricordare maggiormente?
«Mio padre aveva una grande qualità: era una persona generalmente ottimista, aveva sempre voglia di dire la sua, di impegnarsi, aveva la grande capacità di cogliere l’aspetto positivo delle cose».
Condividerebbe con noi un pensiero conclusivo, una brevissima riflessione finale sull’arte trentina del Novecento?
«Sarebbe bello che in futuro ci fossero delle novità a livello istituzionale, che venisse data maggior visibilità agli artisti trentini del Novecento»
Daniela Larentis - [email protected]
Roberto Codroico.