Storie di donne, letteratura di genere/ 181 – Di Luciana Grillo
Ayelet Gundar - Goshen: «Svegliare i leoni» – Un romanzo possente e affascinante per la fine dell'estate
Titolo: Svegliare i leoni
Autrice: Ayelet Gundar-Goshen
Traduttore: O. Bannet, R. Scardi
Editore: Giuntina 2017
Pagine: 318, Brossura
Prezzo di copertina: € 17
Una giovane scrittrice ci fa aprire gli occhi sul mondo israeliano e imbastisce una storia forte e complessa con grande sapienza narrativa.
Ci parla dei migranti, che attraversano deserti e mari, che sono al centro dell’attenzione e dei discorsi di tanti.
Ciascuno di noi pensa che vengano solo qui, nell’Italia che conoscono male attraverso qualche racconto fantasioso o spettacoli televisivi caratterizzati da lustrini abbaglianti.
Non è così, i migranti che si muovono dal sud povero e sfruttato del mondo arrivano anche in Israele e finiscono col percorrere lo stesso cammino che fecero gli ebrei per uscire dalla schiavitù.
E come da noi, anche in Israele, sono «accolti» con diffidenza e spesso confinati in zone periferiche.
Ci sono eritrei clandestini anche a Beer Sheva, dove è stato mandato un neurologo, in punizione per aver rivelato episodi di corruzione avvenuti in un ospedale di Tel Aviv, «…L’avevano mandato in esilio, in un oceano di polvere e sabbia, cacciato dal grembo dell’ospedale del centro al deprimente deserto di cemento…», con la moglie Liat – commissaria di polizia – e con i due figli.
Una sera Eitan, tornando stanco e demotivato dall’ospedale verso casa, investe un uomo eritreo con l’auto e lì, in un luogo desolato e deserto, lo lascia morire e fugge.
Lo avrebbe abbandonato se fosse stato un bianco?
A parte questo dilemma, Eitan torna a casa e cerca di continuare a vivere come se nulla fosse accaduto. Invece, prima ancora che con la propria coscienza, deve fare i conti con Sirkit, la vedova dell’ucciso, che lo ricatta, promettendogli il silenzio in cambio dell’impegno a curare, in una vecchia officina, i clandestini ammalati.
Per Eitan, comincia la discesa in un girone infernale: non può sottrarsi al volere di Sirkit, non può parlarne con sua moglie – che forse intuisce qualcosa ma preferisce non sapere – non può raccontare ai colleghi questa vicenda, ma è costretto a inventare malattie dei familiari per assentarsi all’ospedale e a rubare medicinali per curare i clandestini.
Ma chi è Sirkit, questa donna che lo tiene in pugno, che decide chi deve essere curato, che lo osserva in un silenzio impenetrabile eppure carico di tensione?
«Sirkit sa che tutto succede perché da loro il sole sorge dal lato sbagliato, viene dal deserto e scende in mare. Il sole deve salire dall’acqua, pulito. Quando il sole sale dalla sabbia, i tuoi giorni non sono mai veramente puliti.»
E lentamente, di notte in notte, fra Eitan e Sirkit nasce un sentimento strano e forte, che sembra contemporaneamente avvicinarli e allontanarli: Sirkit lo immagina nella sua «villetta imbiancata di un quartiere elegante…», vorrebbe «infilarsi, silenziosa come il tramonto, nello stretto spazio fra lui e sua moglie. Annusare le lenzuola di cotone. Lei. Lui. Affondare un po’ nel fango dei suoi sogni…».
Tra loro, Liat, la poliziotta energica e amorevole, moglie e madre attenta e affettuosa, «lei, che a furia di guardare la vita da fuori rischiava di dimenticarsi di viverla», lei che pensa di conoscere perfettamente suo marito.
Ma «nessuno può conoscere perfettamente un’altra persona. Nemmeno se stesso. Rimane sempre una zona cieca».
Gli eventi si susseguono, tra indagini della polizia che si muovono in più direzioni e delinquenti che sfruttano i clandestini, tra «pacchetti» scomparsi e vendette violente.
Eitan vorrebbe comprendere, ma «non può capire la storia di Sirkit, come non può mangiare il suo cibo africano o bere la sua acqua africana», i loro mondi sono troppo lontani, «Eitan è arroccato nel suo silenzio, Sirkit ha fatto lo stesso; i muri sempre più alti…».
Per Eitan, «le storie devono finire. La vita deve continuare per la sua strada tranquilla e sicura… Che bello il mondo quando gira nel senso giusto. Che piacevole girarci insieme. Dimenticarsi che sia mai esistito un altro senso. Che un altro senso è possibile».
Con queste parole si chiude il romanzo, ma dentro di noi – lettrici e lettori – rimangono domande alle quali non possiamo rispondere.
Luciana Grillo – [email protected]
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