Prodotti trentini: necessario intensificare la comunicazione
Una ricerca presentata oggi dimostra che tra pubblico e privato sono ancora necessarie forti alleanze e comunità d'intenti
Oggi nella sede di Palazzo
Roccabruna, davanti alla stampa e ai rappresentanti del mondo
imprenditoriale e delle associazioni di categoria, l'Istituto di
ricerca CRA (Customized Research & Analysis) di Milano ha
presentato i dati della ricerca nazionale sulla presenza e la
notorietà dei prodotti trentini nella GDO e nella ristorazione
italiane (in altro articolo la scheda di presentazione ragionata
dei risultati).
L'indagine, promossa dall'Osservatorio delle Produzioni Trentine
(la struttura camerale incaricata di realizzare studi e indagini
sull'agroalimentare locale), è stata condotta tra la fine del 2009
e l'inizio del 2010 su un campione di buyer e di gestori di
ristoranti.
Ed è assai probabile che la ricerca faccia discutere per un po' di
tempo, anche perché alcuni risultati sono per certi aspetti
piuttosto singolari.
Anzitutto perché, come emerge dalla ricerca, pare proprio che nel
Paese la gente tenda a non separare il Trentino dall'Alto Adige.
Ovviamente i ricercatori hanno messo dei filtri per isolare il
vissuto, ma resta il fatto che se si vuole davvero creare un
vissuto del Trentino diverso dall'Alto Adige, c'è ancora molta
strada da fare.
Ma sono emersi anche alcuni risultati certamente importanti, ma
proprio per questo da prendere con le pinze.
Ma partiamo dalla ricerca, che è stata condotta in tre direzioni
mediante la somministrazione telefonica (C.A.T.I) dei
questionari.
Il primo questionario, a domande strutturate per la ricerca
quantitativa, era rivolto a 83 buyer/responsabili d'acquisto
(operanti in area esterna alla provincia di Trento) della grande
distribuzione.
Il secondo questionario, a domande aperte per la ricerca
qualitativa, era rivolto a 32 buyer di centri decisionali
appartenenti alle principali marche della grande distribuzione
italiana.
Il terzo, sempre a domande strutturate per la ricerca quantitativa,
era rivolto invece alla ristorazione per tramite di un campione
rappresentativo di una selezione di 383 titolari e gestori di
ristoranti, ristoranti-pizzerie e trattorie diffuse sul territorio
nazionale.
Noi stiamo sempre dalla parte di chi fa la ricerca, perché
conosciamo la validità dei metodi impiegati sia nel rilevamento dei
dati che nella valutazione.
In questo caso, però, in sede di conferenza stampa abbiamo
sollevato dei dubbi sulla validità del campione di ricerca.
Mentre le interviste rivolte ai responsabili della GD ci sembravano
coerenti per numero, quei 383 scelti in rappresentanza di un
universo di estrazione oltre 50.000 ristoratori ci erano parsi
insufficienti.
Abbiamo chiesto alla relatrice se quello 0,6% di campione fosse
congruo e attendibile.
Ci è stato risposto che la possibilità di errore era stata
calcolata in una forbice del ± 5%.
Abbiamo domandato allora se fosse stata applicata la deviazione
standard e ci è stato eisposto che si sono avvalsi delle tavole di
devianza.
Tutto questo non è stato capzioso da parte nostra, ma ci sono dei
dati (vedi sopra) che,
come abbiamo detto, faranno discutere.
Il più eclatante è che ben il 93,5% del campione (e quindi, con ±
5%, siamo tra l'88,825 e l'98,175% del totale dei 50.000
ristoratori) ha dichiarato di essere in grado di proporre
almeno un prodotto trentino.
Sicuramente il dato sarà attendibile, ma questa iperbole avrebbe
magari meritato un filtro successivo o un'indagine ulteriore
mirata.
Passiamo ora ai dettagli della ricerca. I risultati sono
visionabili
tramite questo link.
Consigliamo di leggerli, perché comunque c'è da imparare ogni volta
che si sa qualcosa di più di noi stessi, in questo caso il vissuto
dei prodotti trentini, che sono l'anticipazione di come sia vissuto
il nostro territorio.
Eccone qui di seguito un bignami.
Distribuzione organizzata (indagine quantitativa)
Uno degli aspetti più interessanti dell'indagine riguarda, come
detto, il tema della percezione geografica. Come più volte emerso,
il termine «Trentino» evoca nella maggior parte degli intervistati
un contesto regionale anziché provinciale: solo il 42,9% dei buyer
vino individua correttamente l'area territoriale.
La categoria agroalimentare che emerge meglio in termini di
conoscenza spontanea è quella dell'ortofrutta.
Il 100% dei relativi buyer conosce almeno un prodotto
ortofrutticolo trentino e cita nel 45,8% dei casi il marchio
«Melinda», seguito (e questa è una piacevole sorpresa) dai piccoli
frutti di Sant'Orsola (41,7%).
Il 71,4% degli stessi dichiara inoltre che il quantitativo di mele
trentine trattate è aumentato rispetto al 2008.
Nel settore del vino il 76,2% degli operatori conosce almeno un
prodotto e cita prevalentemente il Müller Thurgau (47,6%), seguito
dal Teroldego (23,8%). Quel Müller Thurgau fa pensare sempre alla
confusione geografica regionale.
Nessun riscontro invece per il marchio TRENTODOC. E questo deve far
meditare i nostri maggiorenti, perché il nostro spumante dovrebbe
essere il miglior ambasciatore vinicolo del Trentino.
Nel comparto insaccati la conoscenza spontanea di almeno un salume
trentino sale al 71,4%: il più citato è lo Speck (66,7%). Siamo
sempre alla confuzione geografica?
Nel campo dei formaggi la percentuale si assesta intorno al 78%.
Emergono il Trentingrana (47,8%) e il Puzzone di Moena (30,4%). Da
notare che entrambi portano nel nome un preciso riferimento
geografico.
La percentuale scende al 42,9% per i buyer del pesce che citano nel
35,7% dei casi le trote.
Il filtro
Questo è utile per recuperare gli item della pubblicità da
veicolare.
Al test della notorietà suggerita [le dicono nulla questi nomi?
- NdR] sulle risultanze della stessa ricerca, Müller Thurgau e
Teroldego salgono al 90,5%, al 76,2% il Marzemino, al 72% il
marchio TRENTODOC.
Se si passa ai prodotti trattati direttamente, si scopre che tra il
20 e il 23% degli intervistati sostiene di acquistare vini trentini
(rossi e bianchi) per oltre il 10% degli acquisti di vini italiani;
nel caso degli spumanti il 33,3% degli operatori dichiara che la
quota di bollicine trentine supera il 20% delle bollicine nazionali
da essi trattate.
Il 78,3% degli operatori dice di acquistare almeno un formaggio
trentino, ma la percentuale scende al 26,1% per il Trentingrana e
sale al 34,8% per il Puzzone di Moena.
L'81% ordina almeno un salume trentino, il 61,9% Speck trentino, il
33,3% la Carne salada.
In tema di «qualità percepita», il 90,5% dei buyer è convinto che
il Trentino sia una terra di ottimi vini bianchi e di ottimi
spumanti, il 52,4% di ottimi vini rossi, il 95,7% di ottime grappe
e l'87,5% di ottime mele.
Grande distribuzione (indagine qualitativa)
In genere i prodotti trentini sono percepiti dai 32 buyer
intervistati come «prodotti di qualità elevata, assolutamente
affidabili, con i quali difficilmente si hanno problemi, se non a
causa del prezzo elevato che, in ragione di una scarsa conoscenza,
non sempre si riesce a giustificare al pubblico».
Si tratta di un vincolo meno percepito per i prodotti radicati
nella conoscenza profonda del consumatore (mele, piccoli frutti,
vini, i più noti brand del TRENTODOC), più avvertito per i prodotti
più locali che faticano a essere riconosciuti e che spesso sono
anche caratterizzati da un gusto particolare (luganega e
mortandela).
Un trend positivo stanno registrando i piccoli frutti e la carne
salada: in entrambi i casi si tratta di abitudini di consumo in
grado di rispondere alle attuali esigenze alimentari (valore di
servizio, prodotti freschi, pronti al consumo, leggeri, valida
alternativa ad alimenti più tradizionali).
Interessante scoprire che tra i plus di prodotto piccoli frutti ci
sia il package: «arrivano intatti grazie alla confezione».
Prodotti la cui richiesta è percepita in calo sono invece i
formaggi, privi di distintività (ad eccezione del Trentingrana che
spicca per la notorietà) e la trota che negli anni sta perdendo
d'interesse a fronte di un'offerta ittica marina sempre più varia
ed economica.
Gli intervistati auspicano un atteggiamento più propositivo, aperto
e flessibile (soprattutto sul versante prezzo) da parte delle
aziende trentine.
In particolare suggeriscono di promuovere i prodotti anche sul
piano salutistico, accentuandone i caratteri distintivi per
sostenere un prezzo spesso più alto rispetto ai competitor.
Ristorazione
Al test della conoscenza spontanea, il 61% degli intervistati
dichiara di conoscere almeno un prodotto o almeno un marchio di
prodotto trentino.
Nel caso del vino la percentuale scende al 35%: i primi nomi
compaiono solo a quota 2,6% con il Müller Thurgau seguito dal
Teroldego con l'1,3%.
Tra i salumi emergono lo Speck (23,2%) e la Carne salada
(2,1%).
Le mele si collocano al 16,7% (Melinda al 2,9%, La Trentina
all'1%).
Il 10,7% dichiara di conoscere almeno un formaggio. Il Trentingrana
è al 4,2%.
Poco sopra si colloca la grappa (generica) al 4,4%.
Solo il 2,9% dichiara di conoscere almeno uno spumante trentino:
Ferrari si situa all'1,3%, e a poca distanza, con un risultato
lusinghiero, fa capolino il marchio TRENTODOC (1%).
Fra i prodotti utilizzati nei ristoranti si segnalano il Müller
Thurgau (63,2%), le Mele DOP della Val di Non (62,1%), le varie
etichette delle bollicine trentine (50,7%), le tante marche della
grappa (50,1%), il Trentingrana (20,1%), il Puzzone di Moena (9,9%)
e le trote (4,2%).
Le motivazione di acquisto vedono in testa alla classifica il buon
rapporto qualità/prezzo del nostro agroalimentare (52,6% nel caso
degli spumanti e 63,6% nel caso del Trentingrana), seguito
dall'affidabilità del sistema produttivo trentino (49,4% nel caso
delle mele).
Ciò premesso, alla domanda Q.7. «Nel vostro ristorante utilizzate/
proponete i seguenti prodotti trentini?» si legge che il 93,5%
utilizza/ propone almeno un prodotto dell'elenco, il 69,2%
utilizza/ propone almeno un vino trentino.
Il commento
Condividiamo quanto detto dal presidente della camera di Commercio
Adriano Dalpez a presentazione avvenuta.
«Dai dati emerge una realtà fatta di luci e ombre - ha commentato
Dalpez. - Accanto al miracolo delle mele trentine, che ci è
unanimemente riconosciuto, ci sono prodotti che hanno difficoltà a
essere riconosciuti, come alcuni salumi o formaggi.
«Nella valorizzazione dei prodotti tradizionali - ha aggiunto, - la
vera svolta può venire solo da una forte alleanza fra pubblico e
privato che scongiuri i rischi di una comunicazione
autoreferenziale, spesso basata più su logiche industriali che su
prospettive territoriali.»
Da parte nostra, vogliamo aggiungere alcune considerazioni.
La prima è che l'essere abbinati nel vissuto all'Alto Adige non è
poi così male.
La seconda è che il Trentino rimane comunque una piccola realtà
produttiva, al punto da essere a volte più piccola di certi
produttori privati. Inevitabile la veicolazione di una continua
campagna di comunicazione che giustifichi il maggior prezzo che i
maggiori costi di produzione impongono.
La terza è che ci vuole comunque una regia unica che dia le
direttive ogni volta che si vengono a conoscere i plus e i minus
della nostra produzione tipica.